Decorrenza della prescrizione del risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3267/2011
Il termine di cinque anni entro cui, ai sensi dell’art. 2947 cc deve essere fatto valere il diritto al risarcimento, non decorre da quando è stato adottato il provvedimento che ha causato la lesione di un interesse legittimo e il diritto è sorto, bensì dal momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere ex art. 2935 c.c. (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 5995 del 2004) una volta annullato l’atto illegittimo responsabile del danno che il ricorrente assume di avere sofferto a causa di esso. Pertanto tale diritto sorge dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo che ha dichiarato l’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato.
(Litis.it, 1 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)
Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3267 del 31/05/2011
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra [OMISSIS], agente della Polizia di Stato, ricorreva dinanzi al Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, per ottenere il risarcimento del danno patito per illegittimo ritardo nell’immissione in ruolo, avvenuta a distanza di quasi nove anni dalla conclusione del corso frequentato presso la Scuola di Polizia a seguito di selezione pubblica, in virtù di più sentenze passate in cosa giudicata che avevano annullato precedenti dinieghi di ammissione.
In particolare la ricorrente, a seguito di selezione psico-fisico-attitudinale avvenuta presso la Scuola Tecnica di Polizia di Roma, veniva giudicata “non idonea” al servizio di polizia per “accertato difetto dei requisiti attitudinali di cui all’art. 4 D.P.R. 23.12.1983 n. 904, avendo evidenziato carenze nel livello evolutivo, nel controllo emotivo e nell’adattabilità”.
La ricorrente presentava ricorso (n. 2450/98) presso il Tar Sicilia, Palermo, che con ordinanza n. 2140/98, sospendeva l’efficacia del provvedimento dell’Amministrazione anche in considerazione degli accertamenti cui la Sig.ra [OMISSIS] era stata sottoposta presso l’Ospedale Militare di Messina conclusisi con giudizio favorevole.
In data 20.04.1999 la ricorrente veniva quindi ammessa alla frequentazione del 148° corso di formazione Allievi Agenti della Polizia di Stato presso la Scuola Allievi di Spoleto che si concludeva con il superamento degli esami finali a seguito dei quali però la Sig.ra [OMISSIS], anziché essere incorporata nei ruoli della Polizia di Stato, veniva rinviata presso il luogo di residenza.
La ricorrente proponeva nuovo gravame giurisdizionale presso il Tar Lazio, che si concludeva con sentenza non appellata n. 701/2000 del 09.12.1999 di accoglimento.
L’Amministrazione, a seguito della notifica della predetta sentenza, intimava alla ricorrente di presentarsi presso la Scuola tecnica di Polizia di Roma “per essere sottoposta a nuovo accertamento, della durata presumibile di giorni due, tendente a verificare il possesso dei requisiti attitudinali di cui all’art.4 del D.P.R. 23.12.1983 n. 904”.
A seguito di colloquio finale veniva nuovamente formulato un giudizio di non idoneità per asserito difetto dei requisiti attitudinali che reiterava le valutazioni che pure erano già state oggetto di censura da parte del Giudice Amministrativo.
L’odierna ricorrente ricorreva di nuovo al Tar del Lazio che, con ordinanza (non appellata) n.8263/2000 del 28.09.2000, “stante la fondatezza ad un primo esame, delle censure di eccesso di potere per contraddittorietà in relazione all’esito favorevole del corso di formazione”, riteneva di accogliere l’istanza cautelare proposta.
La signora [OMISSIS] veniva quindi ammessa a sostenere il previsto periodo di prova della durata di sei mesi presso la Questura di Reggio Calabria ma, al termine, nonostante l’esito del medesimo di cui al parere favorevole espresso dal Questore di Reggio Calabria che aveva giudicato il rendimento complessivo “ottimo”, con provvedimento n. 333-D/64420 veniva dichiarata, dall’Amministrazione, cessata dal servizio.
La ricorrente iniziava un nuovo giudizio che si concludeva, dopo l’iniziale rigetto in primo grado, con la sentenza del Consiglio di Stato VI, n. 6182/2007 con la quale venivano annullati i provvedimenti impugnati.
Solo a seguito di tale pronuncia, la ricorrente otteneva l’ammissione in servizio che avveniva in virtù del decreto nr. 333/D/0171926 del 27.6.2008, notificato il 13.12.2008, che disponeva la decorrenza giuridica della ammissione a far data “dal 20 ottobre 1999 (giorno successivo alla conclusione del 148° corso)” e quella economica a far data dal “17.03.2008 (data dalla quale ha assunto di fatto servizio)”.
La ricorrente chiedeva quindi al Tar Calabria, Sede di Reggio Calabria, l’annullamento del decreto di cui sopra nella parte in cui non faceva retroagire la data di decorrenza economica alla medesima data della decorrenza giuridica e, a titolo di risarcimento danni, la somma di euro 111.438,00 (o la minor somma equitativamente ritenuta dal giudice) per retribuzioni mancate e la somma di euro 30.000 (o la minor somma equitativamente ritenuta dal giudice), per mancato versamento delle ritenute e degli oneri previdenziali.
Il Tar accoglieva in parte il ricorso con sentenza n. 515 del 2010 ritenendo che le tesi difensive della amministrazione non fossero condivisibili richiamando al riguardo la sentenza del Consiglio di Stato n. 347/2009, contenente argomentazioni utili e sovrapponibili a quelle sostenute nel ricorso ad eccezione del solo capo inerente la prescrizione del credito.
2. Ha presentato appello avverso la suddetta sentenza il Ministero dell’Interno eccependo in primis la prescrizione del credito azionato.
Secondo il Ministero l’appellante avrebbe dovuto impugnare nei termini decadenziali l’atto di esclusione che di fatto ha prodotto l’asserito danno alla ricorrente e non il decreto di nomina.
In secondo luogo il Ministero ha lamentato che la sentenza appellata non avrebbe indicato alcuna circostanza dalla quale desumere la colpa della amministrazione. Al riguardo dovrebbe tenersi conto che i giudizi di accertamento dei requisiti psicofisici del personale della polizia di Stato sono caratterizzati da un alto indice di soggettività e specificità al punto che devono ritenersi irrilevanti tutti gli ulteriori accertamenti eseguiti presso altri organi ausiliari ed irripetibile l’esame tecnico eseguito che, nel caso della signora [OMISSIS], riguardava il livello evolutivo, il controllo emotivo e la adattabilità al servizio della medesima.
Si è costituita l’appellata chiedendo con dovizia di argomentazioni la conferma della sentenza del primo giudice.
Alla pubblica udienza del 6.5.2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione
3. L’appello non merita accoglimento.
Il primo profilo da esaminare attiene alla prescrizione del credito risarcitorio. Sostiene il Ministero appellante che, impostata dal primo giudice la questione sotto il profilo della riconoscibilità e della reale consapevolezza della esistenza e della gravità del danno subito, il primo atto riconoscibile da parte della signora [OMISSIS] risultava essere quello di esclusione dalla procedura concorsuale che di fatto aveva prodotto l’asserito danno e non il decreto impugnato che ha disposto la decorrenza degli effetti giuridici da data diversa da quella in cui ha fissato la decorrenza economica.
L’errore in cui è incorso il primo giudice risiederebbe nel fatto che il decreto impugnato dovrebbe configurarsi come evento lesivo solo ai fini della richiesta di retrodatazione degli effetti economici e giuridici, ma non ai fini del risarcimento del danno.
4. Tali argomentazioni sostenute dall’Amministrazione non vengono condivise dal Collegio in quanto in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato secondo il quale il termine di cinque anni entro cui, ai sensi dell’art. 2947 cc deve essere fatto valere il diritto al risarcimento, non decorre da quando è stato adottato il provvedimento che ha causato la lesione di un interesse legittimo e il diritto è sorto, bensì dal momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere ex art. 2935 c.c. (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 5995 del 2004) una volta annullato l’atto illegittimo responsabile del danno che il ricorrente assume di avere sofferto a causa di esso; pertanto tale diritto sorge dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo che ha dichiarato l’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato.
E, nel caso di specie, la sentenza di annullamento dell’impugnata esclusione è la sentenza del Consiglio di Stato VI Sez. n.6182 del 2007.
Sul punto, la stessa A.P. di questo Consiglio di Stato ha chiarito che nel caso in cui l’azione di risarcimento dei danni sia proposta, non unitamente all’azione giurisdizionale di annullamento degli atti illegittimi, bensì in via autonoma, dopo l’annullamento degli stessi (come nel caso in questione) “il momento iniziale del decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione di risarcimento va individuato nella data di passaggio in giudicato della decisione di annullamento del giudice amministrativo”(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 9.2.2006, n.2; Consiglio di Stato, sez. V, 31 ottobre 2008, n. 5453; Consiglio di Stato, Sez.V, 31.12.2007 n. 6908; Consiglio di Stato,V, 2.09.2005 n. 4461).
Correttamente nella sentenza appellata il giudice di primo grado ha aderito ai sopradetti orientamenti giurisprudenziali ritenendo che l’azione di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi si prescrive, nel sistema previgente al codice del processo amministrativo, dal passaggio in giudicato dell’annullamento dell’atto che ha arrecato la lesione.
5. Lamenta ancora l’appellante Ministero che quanto alla imputabilità del danno la sentenza appellata non individua con sufficiente precisione gli elementi costitutivi della ingiustizia subita ritenendo sostanzialmente elusiva la condotta complessiva tenuta dall’amministrazione.
Secondo il Ministero dovrebbe tenersi conto che si trattava di accertamenti di giudizi tecnico discrezionali caratterizzati da un elevato indice di soggettività e specificità al punto che avrebbero dovuto ritenersi irrilevanti tutti gli ulteriori accertamenti eseguiti presso altri organi ausiliari e sostanzialmente irripetibile il primo esame tecnico eseguito.
6. Anche tale doglianza non merita accoglimento.
Appare evidente che ciò che ha impedito per molti anni il conseguimento del bene della vita alla quale l’appellata aspirava è stato il comportamento dell’Amministrazione che ha reiterato più volte e puntigliosamente gli esami di idoneità in materia, dando una esecuzione alle decisioni del giudice amministrativo solo apparente e formalistica ma sostanzialmente elusiva, come del resto emerge chiaramente dal contesto motivazionale delle sentenze che si sono susseguite nella fattispecie e nelle quali si è rilevato come il giudizio psico-attitudinale al quale era stata sottoposta la signora [OMISSIS] è stato, volta per volta, reso senza il dovuto approfondimento che nasceva dall’effetto conformativo delle pronunce cui si dava esecuzione (cfr. sentenza del Consiglio di Stato soprarichiamata VI, n. 6182 del 2007, pag. 5).
Ne consegue che sussistono tutti gli elementi della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod.civ. e in specie l’elemento oggettivo, dato dalla mancata percezione delle retribuzioni che sarebbero state percepite dalla ricorrente e l’elemento soggettivo dell’illecito, dato dalla inescusabile violazione degli obblighi di imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa, derivante dall’esecuzione meramente formale e non approfondita degli esami di idoneità nonostante le chiare statuizioni del giudice amministrativo che, proprio per questo motivo, ne ha reiteratamente annullato gli esiti.
7. Pertanto, così come statuito dal primo giudice richiamando l’art. 35 del d.lvo n. 80/98, l’Amministrazione è tenuta a formulare la proposta di risarcimento del danno, commisurandolo, per il periodo considerato, alla somma corrispondente alla retribuzione che sarebbe stata percepita se l’interessata fosse stata tempestivamente assunta, secondo la misura vigente nel periodo considerato, esclusa la parte variabile della retribuzione, oltre al valore delle contribuzioni previdenziali obbligatorie che, in relazione alla retribuzione, il Ministero avrebbe dovuto versare, con detrazione delle retribuzioni effettivamente percepite nel periodo in cui la ricorrente ha prestato servizio come agente in prova e di altre retribuzioni dalla stessa percepite quali risultanti dalla dichiarazione dei redditi per gli anni di riferimento.
In via equitativa, come anche statuito dal primo giudice, dalla misura netta delle retribuzioni quale risultante dal complesso delle somme calcolate come sopra decurtate dalle ritenute previdenziali, andrà detratto il 50%, tenuto conto della mancata prestazione lavorativa (Consiglio di Stato, V, 25.7.2006, n. 4645 e 2.10.2002, n. 5174). Sul dovuto a titolo di risarcimento del danno, in quanto debito di valore, competono gli accessori come per legge fino al soddisfo.
8. In conclusione l’appello deve essere respinto.
9. Spese ed onorari, tuttavia, per la peculiarità della fattispecie possono essere compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Luigi Lodi, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Hadrian Simonetti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 31/05/2011