La corresponsione dell’indennità di espropriazione non è requisito di validità del decreto di esproprio – Consiglio di Stato, Sentenza 3075/2011
Né l’avvenuta effettiva corresponsione dell’indennità di espropriazione e neppure la previa determinazione dell’indennità definitiva costituiscono requisito di validità e/o di legittimità di un decreto di esproprio, con la conseguenza che la mancata previsione, nel quadro finanziario dell’opera da eseguire, della giusta indennità di espropriazione e la dedotta insufficienza di quella offerta dal concessionario dei lavori non può costituire in alcun modo vizio invalidante la procedura espropriativa.
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Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3075 del 23/05/2011
FATTO
1. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la sentenza n. 2631 del 13 novembre 1998, nella resistenza del Comune di Tirano, definitivamente pronunciando su quattro separati ricorsi proposti, rispettivamente: a) il primo NRG. 4376/1994, dalla signora E.B. (proprietaria di un’area nel Comune di Tirano, tra la strada statale dello Stelvio e la via Ludovico il Moro, in catasto mappali 286 e 272, di circa 800 mq., urbanisticamente destinata a zona residenza A – centro storico) per l’annullamento delle deliberazioni della Giunta municipale n. 657 del 1° settembre 1993 (asseritamente non conosciuta, avente ad oggetto “Intervento di recupero di P.za Parravicini ed area adiacente – affidamento incarico di progettazione” e n. 795 del 20 ottobre 1993 (avente ad oggetto “Recupero di Piazza Parravicini e realizzazione di aree a parcheggio e verde pubblico tra le via Ludovico il Moro e via della Repubblica – Approvazione del progetto e provvedimenti conseguenti”); della deliberazione consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993 (avente ad oggetto “Intervento di recupero di Piazza Parravicini ed area adiacente – Approvazione ai fini urbanistici del relativo progetto”); del parere della Commissione urbanistica, ambiente e territorio del 22 ottobre 1993 e di quelli ex art. 53 della legge n. 142 del 1990 sulle predette delibere; della delibera della Giunta regionale della Lombardia n. V/54150 del 21 giugno 1994 (avente ad oggetto “Approvazione della variante al vigente P.R.G. per l’area interessata alla realizzazione di una nuova area a parcheggio e verde pubblico tra la via Ludovico il Moro e via della Repubblica”) nonché del parere del Servizio Urbanistica Regionale del 24 maggio 1994 e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente; b) il secondo NRG. 2280/1995, sempre dalla signora E.B. per l’annullamento delle delibere consiliari n. 11 del 29 marzo 1993 (avente ad oggetto “Approvazione del primo programma di opere pubbliche dell’esercizio 1993, con relativo piano finanziario ed economico – finanziario), n. 15 del 16 maggio 1994 e n. 46 del 22 agosto 1994 (avente ad oggetto “Approvazione del secondo programma di opere pubbliche dell’esercizio 1994”); delle delibere di Giunta comunale n. 529 del 6 luglio 1994 (di conferimento dell’incarico per la redazione del progetto del secondo stralcio delle opere in questione) e n. 169 dell’8 marzo 1995 (avente ad oggetto “Recupero di Piazza Parravicini e realizzazione di area a parcheggio e verde pubblico tra le vie Ludovico il Moro e via Repubblica – 2° Stralcio – Approvazione del progetto e provvedimenti conseguenti”) e delle comunicazioni in data 27 marzo 1995 di approvazione e deposito del progetto, con invito alla sottoscrizione del verbale di cessione amichevole; c) il terzo NRG. 3701/1995 dalle signore P.A. e E.B. (la prima quale titolare del diritto di usufrutto generale sull’area appartenente in proprietà alla seconda) per l’annullamento degli stessi atti già impugnati dalla sola signora E.B. con i ricorsi NRG. 4376/1994 e NRG. 2280/1995; il quarto NRG. 4693/1997 ancora dalle signore P.A. e E.B. per l’annullamento della domanda in data 2 luglio 1997 del Sindaco del Comune di Tirano, volta ad ottenere l’emissione del decreto di esproprio dei beni immobili necessari per i lavori di recupero di Piazza Parravicini e realizzazione area a parcheggio e verde pubblico tra le vie Ludovico il Moro e via Repubblica nel Comune di Tirano e del decreto di espropriazione n. 81 del 15 luglio 1997, emessa dal Presidente della Comunità Montana Valtellina di Tirano;
dopo averli riuniti, disattesa l’eccezione di tardività dei ricorsi sollevata dalla costituita amministrazione comunale, li ha respinti, ritenendo infondate tutte le censure proposte.
2. Con rituale atto di appello le signore P.A. e E.B., nella loro indicata qualità, hanno chiesto la riforma della predetta sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia, riproponendo espressamente tutti i motivi di censura sollevati in primo grado con i quattro separati ricorsi, malamente apprezzati, superficialmente esaminati ed inopinatamente respinti con motivazione carente, perplessa, contraddittoria e non condivisibile, e denunciando in particolare “1. violazione e falsa applicazione degli artt. 7 ss. L. 241/90 – Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, contraddittorietà, omessa considerazione di documento decisivo – Violazione dell’art. 112 c.p.c.”; “2. Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifeste – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, L. 1/78, 32 L. 142/90, 13 L. 2359/1865, 11 L. 1150/42 – Omessa considerazione di motivi di ricorso: violazione dell’art. 112 c.p.c.”; “3. Difetto e/o erroneità della motivazione – Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà”; “4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 53 L. 142/90 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto altro profilo” e “5. Incompetenza del Sindaco e del Presidente della Comunità Montana”.
Ha resistito all’appello il Comune di Tirano, deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto e riproponendo anche l’eccezione di tardività del ricorso proposto in primo grado, a suo avviso, erroneamente respinta.
Nell’imminenza dell’udienza pubblica di discussione le parti costituite hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.
3. All’udienza pubblica dell’8 febbraio 2011, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è infondato, non meritando la sentenza impugnata le critiche che le sono state mosse; ciò esime la Sezione dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, già respinta in primo grado, e riproposta anche in appello dall’amministrazione comunale di Tirano.
4.1. Con il primo motivo di appello, denunciando “Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 ss. L. 241/90 – Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, contraddittorietà, omessa considerazione di documento decisivo – Violazione dell’art. 112 c.p.c.”, le appellanti hanno sostenuto che i primi giudici avevano inopinatamente respinto le censure sollevate con i motivi sub 1A) e 2C) [concernenti, in particolare, la omessa comunicazione dell’avvio del procedimento relativamente agli atti del procedimento di approvazione del progetto di variante implicita ex art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, e alle delibere di approvazione dei progetti esecutivi relativi alla realizzazione del 1° e 2° stralcio dell’opera], erroneamente ritenendo sufficiente l’assunto del deposito degli atti effettuato ai fini della legge n. 167 del 1962, con motivazione peraltro perplessa e contraddittoria, tanto più che la stessa amministrazione comunale aveva effettuato la comunicazione solo dopo l’approvazione del progetto del 2° stralcio, a procedimento già concluso e alla sola proprietaria e non anche all’usufruttuaria.
Peraltro, secondo le appellanti, i primi giudici, incorrendo in una macroscopica violazione dell’art. 112 c.p.c., avevano anche omesso di esaminare la dedotta violazione della normativa in tema di garanzie procedimentali relativamente al procedimento di emissione del decreto di espropriazione, violazione che aveva loro impedito di tutelare i propri diritti circa la determinazione della giusta indennità di esproprio: a ciò si ricollegava anche la palese fondatezza dei motivi di censura dei ricorsi di primo grado, indicati nell’atto di appello sub 1G), 2H) e 3C).
Il motivo è infondato.
4.1.1. Premesso che ai fini della legittimità del procedimento di approvazione del progetto con variante urbanistica implicita relativo all’intervento di recupero di Piazza Parravicini e area adiacente è del tutto irrilevante ed ultronea l’impugnazione (ed il relativo esame) della delibera della Giunta municipale di Tirano n. 657 del 1° settembre 1993 (con cui era stato affidato al professionista ivi menzionato l’incarico di progettazione dell’intervento stesso), la Sezione osserva, in punto di fatto, che con la impugnata delibera della Giunta Municipale n. 795 del 20 ottobre 1993 l’amministrazione comunale di Tirano, oltre ad approvare il progetto dell’opera (punto 1), a stabilire le modalità di scelta del contraente cui affidare l’esecuzione dei lavori (punto 2) e a indicare il direttore dei lavori (punto 3), dava atto, in particolare, al punto 4: che il piano finanziario dell’opera era già stato approvato con la precedente deliberazione consiliare n. 11 del 29 marzo 1993; che l’approvazione del progetto, ai sensi dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e costituiva variante allo strumento urbanistico (in quanto parte dell’opera del progetto non era conforme alle previsioni urbanistiche vigenti), così che sarebbe stato sottoposto all’approvazione del Consiglio comunale ai soli fini urbanistici; che tutte le opere (rectius, aree) interessate all’acquisizione ricadevano all’interno del perimetro del centro edificato, delimitato ai sensi dell’art. 18 della legge 22.10.1971, n. 865.
La predetta delibera stabiliva altresì di procedere all’occupazione d’urgenza delle aree in caso di impossibilità di acquisizione bonaria (punto 5); incaricava il Sindaco dell’emissione dei provvedimenti di carattere esecutivo inerenti l’espropriazione e l’occupazione d’urgenza (punto 6) e fissava per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni, della occupazione e dei lavori, rispettivamente il termine di tre e cinque anni dalla data di esecutività della delibera stessa.
Con la delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993 il progetto dell’opera in questione veniva poi approvato ai fini urbanistici, dandosi espressamente atto che tale approvazione, ai sensi del quinto comma, dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, costituiva variante al vigente Piano Regolatore Generale.
La Giunta Regionale della Lombardia, con la delibera nr. V/54150 del 21 giugno 1994 approvava la predetta variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Tirano, adottata con la delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993, ai sensi del quinto comma, dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1.
Dalla relazione del Servizio Urbanistica della Regione Lombardia, allegata alla predetta delibera della Giunta regionale, emerge che: a) la variante al Piano Regolatore Generale, adottata con la delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993, ai sensi del quinto comma, dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, era stata depositata nella segreteria comunale dal 13 dicembre 1993 al 25 gennaio 1994; b) dell’eseguito deposito era stata data immediata notizia al pubblico mediante avviso affisso all’albo comunale inserito nel B.U.R.L. n. 1 del 5 gennaio 1994, oltre che mediante le abituali comunicazioni al pubblico; c) nei successivi venti giorni dalla data di inserzione dell’avviso nel B.U.R.L. n. 1 del 5 gennaio 1994 non era stata proposta alcuna opposizione o osservazione.
Le ricordate circostanze di fatto non sono state minimamente contestate.
4.1.2. Ciò posto, occorre rilevare che nel caso in esame la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori concernenti il recupero di Piazza Parravicini e della realizzazione dell’area a parcheggio e verde pubblico tra le vie Ludovico il Moro e via della Repubblica, il cui progetto era stato approvato con la delibera di giunta n. 795 del 20 ottobre 1993, era valida, ma inefficace e, come tale, inidonea, per un verso, a consentire all’amministrazione di procedere alla effettiva, immediata esecuzione dei lavori ed alle conseguenti occupazioni ed espropriazioni necessarie e, per altro verso, a ledere la posizione giuridica dei soggetti interessati alle predette occupazione ed espropriazioni.
Infatti, l’approvazione di un progetto di opera pubblica equivale ex lege a dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, solo allorquando l’opera stessa sia conforme alle previsioni del vigente strumento urbanistico, con la conseguenza che laddove tale conformità difetta il progetto stesso deve essere approvato in variante al piano regolatore, ai sensi del comma 5, del citato articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, dal competente consiglio comunale (C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540; 17 dicembre 2003, n. 8264).
Poiché nel caso di specie difettava proprio la conformità urbanistica del progetto da realizzare la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, quest’ultima è divenuta efficace, e dunque capace di svolgere tutti i suoi effetti propri, solo con l’effettiva approvazione della variante urbanistica (adottata con la delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993 ed approvata dalla Regione Lombardia con la delibera di giunta n. V/54150 del 21 giugno 2004).
Pertanto non sussiste il dedotto vizio di violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241: infatti la necessità che l’approvazione di progetti di opere pubbliche equivalente a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, sia preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (tra le più recenti, C.d.S., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 2999; 22 marzo 2005, n. 1236) si ricollega alla immediata efficacia della dichiarazione stessa che consegue solo alla conformità urbanistica del progetto di opera pubblica approvato, laddove le garanzie partecipative risultano pienamente assicurate, come nel caso di specie, con l’adempimento delle formalità previste per il procedimento di approvazione della variante urbanistica (deposito della delibera di adozione della variante nella segreteria comunale, adeguata pubblicità del deposito stesso nel B.U.R.L., possibilità di proporre osservazioni e opposizioni al progetto di variante urbanistica), allorquando il progetto approvato comporta una variante al piano regolatore (con conseguente approvazione del progetto ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1).
Sotto tale profilo, indipendentemente da ogni altro considerazione, è destituita di qualsiasi fondamento sia la censura, implicitamente svolta con il motivo in esame, circa la mancata conoscenza del progetto da parte dell’usufruttuaria dell’area oggetto di espropriazione, sia quella con la quale è stato sostenuto che la mancata partecipazione al procedimento di approvazione progetto dell’opera pubblica avrebbe impedito l’adeguata tutela dei diritti all’indennità di espropriazione (ciò senza contare che, in ogni caso, l’eventuale erronea determinazione dell’indennità non costituisce vizio di legittimità del procedimento espropriativo e del conseguente provvedimento ablatorio).
4.1.3. Giova aggiungere per completezza che, diversamente da quanto sostenuto dalle interessate, la circostanza che la stessa amministrazione comunale abbia effettivamente loro inviato la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’articolo 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, solo dopo l’approvazione del progetto del 2° stralcio dei lavori di cui si tratta (giuste note 5874 e 5875 del 24 marzo 1995) non costituisce affatto circostanza sintomatica dell’effettiva sussistenza dei vizi rubricati e dell’asserita illegittimità dell’operato dell’amministrazione.
Invero, ferme restando le osservazioni dirimenti già svolte sub 4.1.2., risulta evidente che l’invio della nota è riferita alla concreta attuazione del progetto dei lavori approvato con la deliberazione della giunta municipale n. 795 del 20 ottobre 1993, attuazione resasi possibile solo dopo l’approvazione della variante urbanistica, che ha reso effettiva la dichiarazione ex lege di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, e concretamente dipanatasi attraverso stralci, connessi alle concrete disponibilità finanziarie dell’ente e di volta in volta inseriti negli annuali programmi di realizzazione delle opere pubbliche: stralci funzionali che, come emerge dalla documentazione in atti ed in particolare dalla delibera della Giunta municipale n. 169 dell’8 marzo 1995, hanno determinato l’approvazione di singoli progetti ai sensi dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1.
Né alcun particolare rilievo può avere la circostanza che l’avviso sia stato inviato dall’amministrazione solo con riferimento ai lavori relativi al 2° stralcio e non già anche del 1° stralcio, potendosi ragionevolmente supporre, in mancanza di qualsiasi ulteriore deduzione sul punto da parte delle appellanti e di elementi contrari) che solo con il secondo stralcio la realizzazione dell’opera in questione incideva sulle loro posizioni giuridiche.
Peraltro, come dedotto dall’appellata amministrazione comunale (senza che sul punto vi sia stata alcuna contestazione da parte delle interessate), i lavori relativi alla realizzazione dell’opera di cui si discute sono stati avviati molto tempo dopo le note prot. 5874 e 5875 del 24 marzo 1995, così che le signore E.B. e P.A., ormai a conoscenza completa dell’intenzione dell’amministrazione, ben avrebbero potuto svolgere adeguatamente le proprie osservazioni al progetto, cosa che invece non è avvenuta.
4.1.4. Alla stregua delle osservazioni svolte nel precedente paragrafo sono prive di fondamento le censure svolte nei ricorsi di primo grado e indicate nell’atto di appello sub 1G), 2H) e 3C), tutte relative alla pretesa illegittimità degli atti impugnati per l’impossibilità di partecipazione procedimentale anche in relazione alla giusta determinazione dell’indennità di espropriazione e con riguardo alla circostanza che nel quadro finanziario per la realizzazione dell’opera non vi era un sufficiente stanziamento di fondi.
Ciò indipendentemente da ogni rilievo sul fatto che non sussisteva neppure la omessa pronuncia sul punto da parte dei primi giudici, atteso che la loro infondatezza si deduceva proprio dalla ritenuta infondatezza del motivo attinente alla dedotta violazione delle garanzie procedimentali.
Peraltro sul punto deve ricordarsi ancora che, come precisato dalla giurisprudenza, né l’avvenuta effettiva corresponsione dell’indennità di espropriazione e neppure la previa determinazione dell’indennità definitiva costituiscono requisito di validità e/o di legittimità di un decreto di esproprio, con la conseguenza che la mancata previsione, nel quadro finanziario dell’opera da eseguire, della giusta indennità di espropriazione e la dedotta insufficienza di quella offerta dal concessionario dei lavori non può costituire in alcun modo vizio invalidante la procedura espropriativa (C.d.S., sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4176; 2 ottobre 2006, n. 5774; 28 aprile 2006, n. 2411): ciò esclude quindi qualsiasi rilievo all’asserito mancato avvio di comunicazione relativo alla richiesta da parte del Comune alla Comunità Montana di emissione del decreto di espropriazione, che avrebbe asseritamente consentito alle interessate di esercitare i propri diritti per la corretta determinazione della indennità di espropriazione.
4.2. Con il secondo motivo di gravame le appellanti hanno lamentato “Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifeste – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, L. 1/78, 32 L. 142/90, 13 L. 2359/1865, 11 L. 1150/42 – Omessa considerazione di motivi di ricorso: violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto, a loro avviso, i primi giudici avevano sorprendentemente disatteso le censure sollevate in primo grado (motivi indicati in appello sub 1B), 1H), 2B), 2F), 2H e 3E) relativamente all’incompetenza della Giunta comunale, alla dedotta inversione procedimentale ed alla violazione dei termini di cui all’articolo 13 della legge n. 2359 del 1865.
Il motivo non è suscettibile di favorevole considerazione, le pur suggestive argomentazioni sviluppate dalle appellanti essendo destituite di fondamento in punto di fatto.
4.2.1. Non sussiste innanzitutto la dedotta incompetenza della Giunta municipale quanto alle delibere n. 657 del 1° settembre 1993, di affidamento dell’incarico per la redazione del progetto dell’intervento di Recupero di Piazza Parravicini e dell’area adiacente, e n. 793 del 20 ottobre 1993, concernente l’approvazione, ai sensi della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (art. 1, comma 5), del progetto del Recupero di Piazza Parravicini e realizzazione di area a parcheggio e verde pubblico tra le vie Ludovico il Moro e via della Repubblica.
A tal proposito si deve ricordare che la giurisprudenza ha chiarito che in base al disposto degli articoli 32 e 35 della legge 8 giugno 1990, n. 142, l’approvazione dei progetti di opere pubbliche rientra nella competenza della giunta comunale anche quando l’approvazione comporta variante allo strumento urbanistico ex art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (C.d.S., sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2293), con conseguente illegittimità, sotto il profilo proprio dell’incompetenza, della delibera con la quale il Consiglio comunale abbia approvato il progetto per la realizzazione di un parcheggio, che comporta variante allo strumento urbanistico (C.d.S., sez. IV, 20 marzo 2000 , n. 1471).
E’ stato anche precisato che appartengono alla competenza della giunta comunale gli atti che non siano riservati per legge al consiglio comunale, cui spetta l’adozione di atti di programmazione e di indirizzo, tra cui non può annoverarsi l’approvazione dei progetti di opera pubblica (C.d.S., sez. V, 16 giugno 2009, n. 3853).
Né può in alcun modo sostenersi che le delibere sopra indicate riguardassero atti di programmazione e/o di indirizzo.
4.2.2. Non sussiste neppure la dedotta inversione procedimentale, denunciata dagli appellanti, sia con riferimento alla circostanza che il progetto approvato con la delibera della giunta municipale n. 795 del 20 ottobre 1993 non era conforme alle previsioni urbanistiche e che la variante urbanistica è stata (adottata ed) approvata solo successivamente, sia con riferimento alla natura, asseritamente non esecutiva, del progetto di opera pubblica approvato con la citata delibera della Giunta municipale n. 795 del 20 ottobre 1993.
Invero è la stessa legge 3 gennaio 1978, n. 1, proprio al comma 5, ad ammettere la possibilità che siano approvati progetti di opere pubbliche non conformi alle previsioni del piano regolatore, prescrivendo che in questo caso sia necessaria proprio l’avvio del procedimento di variante, come pacificamente avvenuto nel caso di specie, e la sua successiva approvazione, al cui esito è evidentemente condizionata la efficacia della dichiarazione ex lege di pubblica utilità dei lavori, nonché di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori.
Il Consiglio comunale di Tirano con la ricordata delibera n. 52 del 27 ottobre 1993, nel pieno rispetto delle competenze degli organi comunali, come delineati dalla legge 8 giugno 1990, n. 143, ha provveduto ad adottare la variante urbanistica, approvando il progetto di opera pubblica, dichiarando espressamente che tale approvazione avveniva ai soli fini urbanistico.
La tesi poi che il progetto, oggetto sia dell’approvazione di cui alla delibera di giunta n. 795 del 20 ottobre 1993 che di quella di cui alla delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 1993, fosse un mero progetto di massima non è supportata da alcun elemento probatorio, emergendo piuttosto dalla serena lettura dei predetti atti che si trattava effettivamente di un progetto definitivo (cui solo può conseguire la dichiarazione di pubblica utilità secondo principi del tutto seri e ragionevoli, conformi all’articolo 97 della Costituzione, ancorché introdotti espressamente dall’articolo 16, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, successivamente alle delibere di cui si discute), essendo composto dalla relazione, dalla documentazione fotografica, dal preventivo sommario, dal computo metrico, dalla stima dei lavori, dal capitolato speciale, dall’analisi prezzi, dal piano particellare di esproprio e da 8 tavole di disegni.
D’altra parte la prospettazione delle appellanti è fondata sulla incongrua ed in conferente contrapposizione tra la natura asseritamente generale del progetto approvato con la più volte ricordata delibera n. 795 del 20 ottobre 1993 e la natura esecutiva di quello, approvato con la delibera della Giunta municipale n. 529 del 6 luglio 1994, che attiene tuttavia solo al secondo stralcio dell’opera.
4.2.3. Quanto poi alla asserita scadenza, al momento dell’emanazione del decreto di espropriazione, dei termini di cui all’articolo 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, la Sezione osserva innanzitutto che, com’è noto, i termini iniziali per il compimento dell’espropriazione e dei lavori hanno natura meramente sollecitatoria, a differenza dei termini, finali, con la conseguenza che il loro mancato rispetto non comporta alcuna invalidità (C.d.S., sez. IV, 7 marzo 2001, n. 1315).
Quanto ai termini finali, posto che il decreto di espropriazione della Comunità Montana Valtellina di Tirano n. 81 è stato emesso il 15 luglio 1997, essi nel caso di specie non erano assolutamente spirati, né che si faccia riferimento alla delibera della Giunta n. 795 del 20 ottobre 1993, né che si faccia riferimento alla delibera della Giunta n. 169 dell’8 marzo 1995 (relativa al 2° stralcio del progetto dell’opera, espressamente indicata nel citato decreto di espropriazione), essendo in entrambi gli atti deliberativi fissato il termine massimo di cinque anni.
4.3. Con il terzo motivo di appello le appellanti hanno dedotto “Difetto e/o erroneità della motivazione – Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà”, rilevando che la variante approvata dall’amministrazione comunale di Tirano era inficiata da un palese difetto di motivazione, incongrue ed insufficienti essendo le giustificazioni individuate dal tribunale, tanto più che né l’amministrazione comunale, né gli stessi primi giudici, avevano tenuto conto dell’esistenza di altre aree limitrofe idonee a soddisfare le supposte esigenze pubbliche e già destinate a pubblici servizi nel vigente piano regolatore vigente e della circostanza che l’area in questione era già edificata.
Le appellanti hanno in tal modo riproposto le censure sollevate in primo grado, indicate nell’atto di appello sub 1D), 1E) e 1F).
Anche tali censure non meritano favorevole accoglimento.
Com’è stato già precisato nei paragrafi precedenti il progetto dell’intervento da realizzare, così come approvato dalla delibera n. 795 del 20 ottobre 1993, non era conforme alle previsioni urbanistiche e pertanto non poteva comportare l’immediata efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, necessitando una variante al piano regolatore generale.
Quest’ultima è stata adottata con la delibera consiliare n. 52 del 27 ottobre 2003 e poi approvata dalla Giunta regionale della Lombardia con la deliberazione n. n. V/54150 del 21 giugno 1994.
Orbene, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, le determinazioni assunte dall’amministrazione all’atto dell’adozione del piano regolatore generale o di una variante al piano stesso sono riservate alla sua discrezionalità (spettando solo ad essa il coordinamento delle esigenze che si presentano in concreto nel territorio della comunità sottoposto alla sua cura) e costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, e non necessitano neppure di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o ingenerato affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (tra le più recenti, C.d.S., sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2545; 7 aprile 2010, n. 1986; marzo 2009, n. 1652).
A ciò consegue che, come peraltro è stato correttamente rilevato dai primi giudici, l’obbligo di motivazione nel caso di specie risulta adeguatamente soddisfatto, atteso che dalla lettura del tenore degli interventi susseguitisi nel corso dell’adunanza del consiglio comunale, culminata con la deliberazione n. 52 del 27 ottobre 1993, emergono in maniera sufficientemente chiara le ragioni della variante, consistenti nel ripristino della piazza, abolendo l’uso dei parcheggi in essa esistenti, nella rivalorizzazione della fontana e dell’arcata posta sul suo retro e nel reperire un’area idonea da adibire anche a parcheggio pubblico, nelle immediate vicinanza della piazza stessa per eliminare disservizi agli utenti, con conseguente necessità di destinare ad uso pubblico circa 400 metri quadrati di terreno sino ad allora destinato ad orto.
Tali ragioni non sono manifestamente irragionevoli, illogiche, contraddittorie, arbitrarie o viziate da travisamento di fatti (che del resto non sono state neppure dedotte dalle appellanti) e rendono del tutto infondate le censure sollevate che, limitandosi a contestare le scelte effettuate adducendo l’esistenza di possibili soluzioni alternative, si configurano come mere, inammissibili opinioni dissenzienti rispetto alle scelte di merito dell’amministrazione.
4.4. Lamentando “Violazione e falsa applicazione degli artt. 53 L. 142/90 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto altro profilo”, le appellanti hanno anche sostenuto che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, gli atti impugnati non erano muniti dei pareri previsti dalla legge per la loro validità, pareri che non risultavano acquisiti agli atti di causa e dei quali non si conosceva in ogni caso il loro effettivo contenuto, incerta essendo anche la loro effettiva provenienza.
Sono state così riproposte le censure sollevate in primo grado ed indicate nell’atto di appello sub 1C), 2D), 2E).
Le censure non possono essere accolte.
Precisato che, in punto di fatto, come si ricava dall’esame delle delibere in questione, in esse vi è puntuale menzione dei pareri resi dai funzionari (eccezion fatta per la delibera consiliare di adozione della variante al piano regolatore generale, mancanza che in tal caso si giustifica per la natura dell’atto e delle scelte di natura “politica” ivi contenute, è sufficiente ricordare sul punto il condivisibile indirizzo giurisprudenziale secondo cui i pareri in questione non costituiscono requisito di legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, essendo preordinati all’individuazione sul piano formale, nei funzionari che li formulano, della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa e contabile. (C.d.S., 22 giugno 2006, n. 3388); d’altra parte è stato anche osservato che il mancato inserimento dei pareri di regolarità tecnica e contabile nella deliberazione impugnata costituisce mera irregolarità, ai sensi dell’art. 53, l. 8 giugno 1990 n. 142, allorquando non si contesta l’effettiva esistenza dei pareri medesimi (C.d.S., sez. IV, 11 febbraio 2004 , n. 548).
4.5. Infine con il quinto motivo di doglianza, rubricato “Incompetenza del Sindaco e del Presidente della Comunità Montana”, le appellanti hanno evidenziato che sia la richiesta di emissione del decreto di espropriazione che quest’ultimo erano viziati da incompetenza, non rientrando essi nell’ambito di attribuzione del sindaco, quale organo di indirizzo politico, bensì in quelli dei dirigenti, trattandosi di atti di gestione.
Anche tale doglianza non merita accoglimento.
Sebbene in linea di principio possa senz’altro condividersi il rilievo della sostanziale distinzione introdotta a partire dal D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, tra atti di indirizzo politico e atti di gestione, questi ultimi essendo di esclusiva competenza dei dirigenti dell’amministrazione, occorre in concreto rilevare che il terzo comma dell’articolo 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142, concernente – com’è noto – l’ordinamento delle autonomia locali, pur affermando in linea generale la spettanza ai dirigenti di tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, conteneva un’espressa clausola di esclusione di tale competenza generale in relazione ai compiti che la legge e lo statuto avessero espressamente riservato gli organi di governo dell’ente.
In tale ottica, posto che la legge regionale della Lombardia n. 12 settembre 1983, n. 70, recante “Norme sulla realizzazione di opere pubbliche di interesse regionale” all’articolo 50, terzo comma (espressamente richiamato dal decreto di espropriazione n. 72 del 25 novembre 1996), contemplava espressamente la delega ai presidenti delle comunità montane le funzioni concernenti, tra l’altro, l’espropriazione per pubblica utilità per le opere localizzate nell’ambito territoriale delle comunità stesse, non può ragionevolmente contestarsi la legittimità del provvedimento impugnato correttamente emanato dal Presidente della Comunità Montana Valtellina di Tirano, effettivamente competente secondo il combinato disposto delle specifiche previsioni normative richiamate.
Nessun rilievo può avere in ogni caso la dedotta incompetenza del Sindaco del Comune di Tirano a sottoscrivere la nota con la quale era richiesta al Presidente della Comunità Montana Valtellina di Tirano l’emanazione del decreto di espropriazione, trattandosi di un atto di mero impulso, privo di qualsivoglia valore provvedimentale.
4.6. Esigenze di completezza impongono alla Sezione di rilevare che sulla scorta di tutte le osservazioni svolte sono comunque infondate anche le altre censure sollevate con i ricorsi di primo grado, indicate nell’atto di appello sub 2A, 2B e 3B (di cui non è chiara la effettiva riproposizione in appello), dovendosi solo precisare, per un verso, che, com’è noto, il procedimento espropriativo è legittimamente svolto nei confronti dell’intestatario catastale, così che in concreto nessun vizio di legittimità del decreto espropriativo può farsi ricollegare – come per altro già evidenziato – alla dedotta (ma in realtà infondata) circostanza dell’omesso avvio di comunicazione del procedimento per l’emissione del decreto di espropriazione (risolvendosi il diritto dell’usufruttuario sulla indennità di espropriazione), mentre, per altro verso, non sussiste neppur alcun interesse alla contestazione della delibera recante l’approvazione del programma annuale delle opere pubbliche da realizzare; ciò senza contare che, diversamente da quanto prospettato dalle appellanti, nella delibera n. 11 del 29 marzo 1993 (“Approvazione del primo programma di opere pubbliche dell’esercizio 1993, con relativo piano finanziario ed economico – finanziario”) non vi è alcuna illegittima delega di funzioni consiliari all’organo giuntale, essendovi invece la necessaria autorizzazione (punto 2” alla “…acquisizione di tutti gli immobili occorrenti per la realizzazione delle opere contenute nel programma di cui sub 1), in base alle risultanze dei progetti esecutivi…approvati dalla Giunta Comunale”.
5. In conclusione alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere respinto.
La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dalle signore P.A. ed E.B. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia n. 2631 del 13 novembre 1998, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Roberto Chieppa, Consigliere
Adolfo Metro, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 23/05/2011