Consenso informato. Spetta al medico provare di aver adempiuto all’obbligo di informativa – Cassazione Civile, Sentenza n. 11005/2011
La responsabilità professionale del medico – ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all’illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell’intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato – ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, in tema di obbligo d’informazione dovuta dal medico al paziente ed all’onere della relativa prova, a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico gravato dell’onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione.
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Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 11005 del 19/05/2011
In fatto
con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Venezia ha confermato la prima sentenza che aveva condannato il medico prof. [MEDICO] al risarcimento dei danni in favore del [PAZIENTE] per responsabilità professionale costituita dall’aver prescritto un’errata terapia (in particolare l’assunzione di un determinato farmaco) che aveva cagionato al paziente gravi danni alla vista, rimettendo la causa in istruttoria per la liquidazione del danno;
il ricorso del [MEDICO] è svolto in quattro motivi;
rispondono con controricorso il [PAZIENTE] e le Ass.ni Generali;
il [MEDICO] ed il [PAZIENTE] hanno depositato memorie per l’udienza;
il primo motivo critica la sentenza nel punto in cui ha riconosciuto sussistere il nesso di causalità tra l’attività svolta dal professionista ed i danni lamentati dalla vittima, soprattutto con riferimento a prescrizioni del farmaco da parte di medici diversi dal [MEDICO];
il secondo motivo censura la sentenza per essersi limitata ad accertare la causalità astratta, senza aver proceduto ad accertare quella concreta (ossia, che l’attore fosse effettivamente affetto da maculopatia, che questa fosse effettivamente dipesa dall’assunzione dello specifico farmaco prescritto dal [MEDICO], che il farmaco fosse stato assunto in modo prolungato e che questa prolungata assunzione fosse da ascriversi alla condotta del [MEDICO]);
il terzo motivo sostiene che la sentenza avrebbe omesso, nell’affermare il mancato assolvimento dell’obbligo di informazione, di considerare “la natura occasionale e diluita” delle prestazioni del prof. [MEDICO];
il quarto motivo si riferisce al punto in cui la sentenza rigetta l’eccezione di prescrizione perché la malattia si manifestò solo alla fine del 1993 ed il ricorrente sostiene che mancherebbe la prova (a carico dell’attore) della circostanza.
In diritto
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati; seno inammissibili laddove tendono, in sede di legittimita, ad una nuova valutazione della prova e ad un diverso accertamento dei fatti;
sono infondati laddove lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione;
infatti, quanto al nesso causale, la sentenza pone in evidenza che: il professionista non ha mai posto in discussione né l’affezione da parte dell’attore della maculopatia, né il rapporto eziologico tra questa malattia e l’assunzione dello specifico farmaco prescritto dal [MEDICO]; a tal riguardo è dato conto della comparsa di risposta del medico in primo grado; la derivazione causale in questione è dimostrata dalla documentazione medica prodotta dall’attore;
inoltre, la sentenza contiene la decisiva e corretta affermazione secondo cui l’eventuale responsabilità di altri medici che abbiano prescritto o fornito il farmaco in questione non esclude la responsabilità concorrente e solidale del [MEDICO], il quale non ha fornito la prova che quelle condotte furono da sole sufficienti a cagionare il danno; quanto alla causalità astratta e concreta alla quale fa riferimento il secondo motivo, occorre ribadire che la sentenza di condanna generica pronunciata nel corso di un giudizio di risarcimento del danno aquiliano di norma presuppone il positivo accertamento del nesso di causalità cosiddetta “materiale” (”ex” art. 40 c.p.) tra la condotta e l’evento produttivo di danno, sicché nel successivo giudizio sul “quantum” resta da accertare soltanto il nesso di causalità cosiddetta “giuridica” (”ex” art. 1223 cod. civ.) tra l’evento di danno ed i pregiudizi che ne sono derivati (tra le più recenti, cfr. Casa. n. 3357/09);
quanto all’obbligo d’informazione ed all’onere della relativa prova basta ricordare che la responsabilità professionale del medico – ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all’illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell’intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato – ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico gravato dell’onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione (Cass. n. 2847/10);
quanto alla prescrizione ed alla sua decorrenza, la sentenza effettua un compiuto accertamento in ordine all’epoca in cui si manifestò e fu diagnosticata la malattia e furono compiuti gli atti interruttivi;
in conclusione, non manifestandosi alcun vizio di legittimità, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente a rivalere il [PAZIENTE] delle spese sopportate nel giudizio di cassazione (l’atto della Ass.ni Generali spa aderisce al ricorso del [MEDICO] e ne chiede l’accoglimento).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del [PAZIENTE]
Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2011