Fusione per incorporazione di Banche. Ai dipendenti si applica il CCNL dell’impresa cessoniaria anche se più sfavorevole – Cass. Lav. 10937/2011
L’incorporazione di una società in un’altra – nella specie si tratta di istituti di credito – è assimilabile al trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c., con la conseguente applicazione del principio statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole.
L’art. 2112 c.c., comporta infatti l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro, Cass. 13 settembre 2006 n. 19564.
Ne consegue che seppure la fusione comporta (nel testo anteriore alle modifiche introdotte, dal 1 gennaio 2004, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, secondo cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, Cass. sez. un. 17 settembre 2010 n. 19698), nei rapporti tra le due società (incorporante ed incorporata), una successione a titolo universale (Cass. 22 marzo 2010 n. 6845, pur regolata esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, Cass. sez. un. n. 19698 del 2010), con riferimento ai rapporti di lavoro essa non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c
(© Litis.it, 24 Maggio 2011 – Riproduzione riservata)
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 10937 del 18/05/2011
Svolgimento del processo
[OMISSIS], già dipendente della Banca [OMISSIS], esponeva al Tribunale di Matera che, a seguito di fusione societaria (per incorporazione), dal 16 dicembre 1996 era passato alle dipendenze della Banca [OMISSIS]; che il 20 agosto 1996 era stato sottoscritto dalla banca incorporata, e dalla delegazione sindacale UIB/UIL e FABI un “verbale di accordo” con il quale, in vista di tale fusione, veniva tra l’altro espressamente assicurato ai dipendenti della [OMISSIS], “il mantenimento dell’attuale stato retributivo ivi compreso il mantenimento di tutte le attuali prestazioni della Cassa Mutua Nazionale e del Fondo Nazionale di Previdenza (e delle) stesse polizze sanitarie o altre eventualmente analoghe per importi e prestazioni assicurative”; senonché, la banca incorporante non aveva poi rispettato l’impegno assunto dalla [OMISSIS], sebbene tenutavi ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., non provvedendo ad alcuna forma di previdenza integrativa fino al 2000 e sostituendo alle precedenti polizze assicurative sanitarie altre meno vantaggiose perchè non estese ai familiari dei dipendenti. Alla stregua di tutto ciò, e nel sostenere che nella suesposta situazione doveva operare anche la disposizione dell’art. 2112 c.c., circa “la completa conservazione, per il dipendente ceduto, del trattamento economico e normativo posseduto prima della cessione”, il ricorrente chiedeva la condanna della [OMISSIS] al pagamento dei contributi non accantonati, fino al 2000 (quando la stessa aderì ad un fondo di previdenza integrativa per i propri dipendenti) ed alla stipulazione in suo favore di una polizza sanitaria similare a quella precedentemente goduta.
La Corte di appello di Potenza riteneva doversi applicare nella specie la disciplina di cui all’art. 2112 c.c., e, considerato che presso la incorporante esisteva una disciplina collettiva inerente la previdenza integrativa, respingeva, con la sentenza impugnata, il gravame.
Avverso quest’ultima propone ricorso per cassazione il [OMISSIS], affidato a sette motivi.
Resiste con controricorso la Banca [OMISSIS] s.p.a.
Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il [OMISSIS] denuncia violazione degli artt. 437 e 416 c.p.c., per aver ritenuto sussistente, presso la incorporante una disciplina collettiva in ordine alla previdenza integrativa, e precisamente il contratto integrativo aziendale 27 aprile 1998 e l’accordo aziendale 20 novembre 2000, secondo la corte di merito prodotti ex adverso in primo grado. Lamentava che la incorporante aveva invece dedotto in primo grado che al momento della fusione non aveva aderito ad alcun fondo di previdenza integrativo, sicché l’allegazione, proposta solo in grado di appello, doveva considerarsi inammissibile ed in contrasto sia col principio di non contestazione in primo grado, sia con l’inammissibilità di produzione di nuove prove, anche documentali, in appello, come statuito dal giudice di legittimità (Cass. sez. un. n. 8202 del 2005).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2112 c.c., laddove prevede che l’obbligo per l’acquirente di applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, “salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’acquirente”, potesse valere anche con riferimento ad una disciplina collettiva che solo si impegnava all’istituzione di un fondo di previdenza complementare per il personale.
Lamentava che in base ad una corretta interpretazione della norma codicistica in parola, i lavoratori trasferiti avevano diritto di conservare il contratto collettivo loro applicato dal cedente sino alla naturale scadenza di esso.
Con il terzo e quarto motivo il ricorrente lamenta una insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sempre attinente l’esistenza, presso la incorporante di una disciplina collettiva inerente la previdenza integrativa.
Lamentata in particolare che la corte territoriale era giunta all’avversata conclusione, esaminando l’accordo aziendale del 27 aprile 1998 (relativo all’assistenza sanitaria); l’accordo aziendale del 3 novembre 1995 (ove si prevedeva solo un impegno “de futuro” all’istituzione di un fondo di previdenza complementare) ed infine l’accordo 20 novembre 2000, che tuttavia nulla prevedeva per il periodo pregresso, affermando inoltre la corte che tali circostanze erano state allegate nel corso del giudizio di primo grado, laddove esse risultavano solo dalla memoria di costituzione in appello, in violazione dell’art. 437 c.p.c., e dell’art. 115 c.p.c., posto che l’accordo 3 novembre 1995 non era mai stato allegato dalla Banca. Con il quinto motivo lamenta la violazione del principio di diritto inerente la intangibilità e salvaguardia dei diritti quesiti soprattutto in materia previdenziale, così come più volte stabilito dal giudice di legittimità (Cass. n. 3296 del 2002, n. 3909 del 2002).
Con il sesto ed il settimo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di legge, ed in particolare dell’art. 2504 bis c.c., che, configurando una successione a titolo universale, produce gli effetti dell’estinzione della società incorporata e la contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, della società incorporante (Cass. n. 4679 del 2002, n. 3694 del 1998), a prescindere dalle disposizioni contenute nell’art. 2112 c.c..
2. – I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.
Deve innanzitutto rilevarsi che l’accordo 3 novembre 1995 risulta contenuto nell’allegato al contratto integrativo aziendale del 27 aprile 1998 (pagg. 48-50) prodotto in primo grado, così come evidenziato dalla corte di merito.
Va peraltro rammentato che secondo questa Corte nelle cause soggette al rito del lavoro, l’acquisizione del testo dei contratti o accordi collettivi può aver luogo anche in appello, sia attraverso la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali, la quale non è soggetta al divieto di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2, non costituendo un mezzo di prova, sia attraverso l’esercizio da parte del giudice del potere officioso, riconosciuto dal medesimo art. 437 c.p.c., comma 2, di invitare le parti a produrre il contratto collettivo, ove non ne risulti contestata l’applicabilità al rapporto, Cass. 1 luglio 2010 n. 15653.
Per il resto va osservato che l’incorporazione di una società in un’altra è assimilabile al trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c., con la conseguente applicazione del principio statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole, Cass. 1 marzo 2010 n. 5882, Cass. 4 febbraio 2008 n. 2609.
L’art. 2112 c.c., comporta infatti l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro, Cass. 13 settembre 2006 n. 19564.
Ne consegue che seppure la fusione comporta (nel testo anteriore alle modifiche introdotte, dal 1 gennaio 2004, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, secondo cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, Cass. sez. un. 17 settembre 2010 n. 19698), nei rapporti tra le due società (incorporante ed incorporata), una successione a titolo universale (Cass. 22 marzo 2010 n. 6845, pur regolata esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, Cass. sez. un. n. 19698 del 2010), con riferimento ai rapporti di lavoro essa non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c., come stabilito dalla sentenza impugnata.
3. – Resta da esaminare se la disciplina collettiva in atto presso la incorporante, prevedente, oltre all’assistenza sanitaria, l’obbligo all’istituzione di un fondo di previdenza, possa ritenersi satisfattiva della condizione di cui al terzo comma dell’art. 2112 c.c., (antecedente la modifica di cui al D.Lgs. n. 18 del 2001).
La risposta al quesito deve essere positiva, stante il principio sopra evidenziato per cui la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole. Nella specie la disciplina collettiva vigente presso l’impresa cessionaria prevedeva l’istituzione di un fondo di previdenza, anche se rinviava a futuri accordi di dettaglio. La circostanza che ciò sia avvenuto nel novembre 2000, senza una disciplina regolante il periodo intermedio, rende senza dubbio più sfavorevole, ma non per questo illegittima, la disciplina collettiva vigente ed applicata dal cessionario.
Quanto alla salvaguardia dei diritti c.d. quesiti, deve osservarsi che la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di quella precedente, non può incidere negativamente solo sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti, non hanno ancora esercitato il relativo diritto (Cass. 19 aprile 2003 n. 6361, in materia di previdenza complementare), non già nei confronti di coloro che non abbiano maturato affatto i requisiti, come nella specie.
La fattispecie può assimilarsi a quella, più volte esaminata da questa Corte, della successione di diversi contratti collettivi, per la quale è pacifico che le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, e che il lavoratore stesso non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente e ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali (cfr. ex plurimis Cass. 10 ottobre 2007 n. 21234). Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di causa, che liquida in complessivi Euro 23,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..
Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2011