GiurisprudenzaPenale

Straniero. La mancata osservanza dell’ordine di espulsione non è più reato – Cassazione Penale, Sentenza n. 18586/2011

La Corte di Cassazione applica alla lettera il disposto della sentenza della Corte di Giustizia della Unione Europea e di fatto cancella il reato conseguente alla mancata osservanza dell’ordine di espulsione emesso nei confronti dello straniero sprovvisto di regolare permesso di soggiorno. Il Supremo collegio, nella sentenza n. 18586 depositata lo scorso 11 maggio 2011, afferma che La Corte di Giustizia ha stabilito che gli articoli 15 e 16 della direttiva 2008/115 devono essere interpretati nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. Conseguentemente, ha affermato, che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta disapplicare ogni disposizione della direttiva 2008/115″, tenendo anche debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
La Corte di Kirchberg – si legge ancora nella sentenza – ha motivato: “gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’articolo 8 n. 1, della direttiva_UE_2008_115 e ritardardando l’esecuzione della decisione di rimpatrio” (Par. 59).

Il principio di diritto stabilito dal Giudice della Unione, conclude la Corte di Cassazione, implica la disapplicazione della norma incriminatrice, contestata ai giudicabile nel presente giudizio e, per l’effetto, impone l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata colla formula più favorevole per i giudicabili “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

(© Litis.it, 16 maggio 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Penale, Sezione Prima, Sentenza n. 18586 del 11/05/2011

Rileva

1. – Con sentenza, deliberata il 22 maggio 2009 e depositata il 21 luglio 2009, la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede, 26 luglio 2005, di condanna alla pena della reclusione in mesi sei, a carico di [OMISSIS] e di [OMISSIS], imputati del delitto previsto e punito dall’articolo 14, comma 5-terzo del decreto_legislativo_286_1998, per non aver ottemperato i decreti di allontanamento dal territorio dello Stato emessi dal Questore di Perugia il 19 aprile 2005, essendosi trattenuti in Italia fino al 21 luglio 2005.
La Corte territoriale ha motivato, in relazione, alle censure degli appellanti: le prospettate difficoltà economiche dei giudicabili non costituiscono giustificato motivo di inadempimento dell’ordine del Questore, laddove l’assunto non è dimostrato e laddove gli appellanti neppure abbiano presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; è irrilevante la circostanza che i provvedimenti della Autorità amministrativa fossero passibili di impugnazione in quanto i decreti sono esecutivi; la pena è stata contenuta nel minimo edittale, con la massima riduzioni e consentita dalle elargite attenuanti generiche.

2. – Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati col ministero del difensore di ufficio, avvocata [OMISSIS], mediante atto recante la data del 19 ottobre 2009, depositato il 20 ottobre 2009, col quale sviluppano quattro motivi.

2.1 – Col primo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi del decreto legge 241/2004.

2.2 – Col secondo motivo il difensore, ai sensi delle succitate lettere dell’articolo 606 cod. proc. pen., osserva che i provvedimenti del Questore di Perugia non avevano l’autorità di cosa giudicata”.

2.3 – Col terzo motivo il difensore ripropone la tesi della ricorrenza del giustificato motivo, facendo riferimento alle “precarie attività lavorative” dei ricorrenti, alla mancanza di disponibilità economiche, alle disagiate condizioni; e obiettando, in relazione al rilievo della Corte territoriale circa la mancata richiesta del patrocinio a spese dello Stato, che i giudicabili erano assistiti (non come opina la Corte di appello – da difensore di fiducia, bensì) da legale nominato di ufficio.

2.4 – Col quarto motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’14, comma 5-fer, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatone del quale la Corte – secondo i ricorrenti – non avrebbe dato conto.

3. – Il ricorso è infondato, in quanto non ricorrono né la denunziate violazioni di legge (alla stregua del diritto vigente al momento della deliberazione della sentenza), né vizio alcuno della motivazione, rilevante nella sede del presente scrutinio di legittimità.

4. – Tuttavia, successivamente alla proposizione del ricorso, il 25 dicembre 2010, essendo infruttuosamente spirato (il giorno precedente) il termine stabilito per l’attuazione e/o per il recepimento, hanno acquisito efficacia diretta nell’ordinamento giuridico interno gli articolo 14, comma 5-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n, 286.
La Corte della Unione ha stabilito: “Gli articoli 15 e 16, devono essere interpretati nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo”.

E, conseguentemente, ha affermato, che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta “disapplicare ogni disposizione della direttiva 2008/115″, tenendo anche “debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (Par. 61).

La Corte di Kirchberg ha motivato: “gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’articolo 8 n. 1, della direttiva_UE_2008_115 e ritardardando l’esecuzione della decisione di rimpatrio” (Par. 59).

4.3 – Il principio di diritto stabilito dal Giudice della Unione implica la disapplicazione della norma incriminatrice, contestata ai giudicabile nel presente giudizio e, per l’effetto, impone l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata colla formula più favorevole per i giudicabili “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

Si tratta, infatti, della formula che, secondo un arresto di questa Corte suprema, si attaglia al caso della inapplicabilità della disposizione penale per effetto della incompatibilità con la “normativa comunitaria”, stabilita dalla Corte di giustizia della Unione europea (Sez. VII, 6 marzo 2008, n. 21579, Boujlaib, massima n. 239960).

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Depositata in Cancelleria il 11 maggio 2011

 

 

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