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Condizioni per il riconoscimento del risarcimento del danno catastrofale – Cassazione Civile, Sentenza n. 6574/2011

Il risarcimento del c.d. danno “catastrofale” – ossia del danno patito dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita – può essere riconosciuto agli eredi, a titolo di danno morale, solo a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte. Perciò, in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento e ai congiunti spetta il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta.

Questo è il pricipio di diritto enunciato dalla Terza sezione civile della Cassazione, la quale ha precistato che il danno da catasrofe non è infatti risarcibile sotto il profilo delle conseguenze negative della lesione sulla qualità della vita del soggetto direttamente inciso, che connota il danno tradizionalmente definito “biologico”. Il quale, come s’è più volte chiarito, consegue alla lesione dell’integrità psico-fisica, dunque alla lesione del diritto alla salute e non alla lesione del diritto alla vita.

Diritto alla vita che, in una virtuale scala gerarchica, è sicuramente il primo tra tutti i diritti inviolabili dell’uomo ed è senza dubbio, in ogni contesto e con le più variegate modalità, ampiamente garantito, com’è assolutamente ovvio; ma che non è tuttavia suscettibile di essere tutelato, quando è leso da terzi che provochino la morte di chi ne è titolare, a favore dello stesso soggetto che lo abbia perso, appunto morendo.

Del tutto improduttive – prosegue la Cassazione – paiono le disquisizioni sul se la morte faccia parte della vita o se, contrassegnando la sua fine, essa alla vita sia estranea. Così come è nulla più che retorico il pur frequente rilievo secondo il quale, essendo il risarcimento del danno da lesioni gravissime assai oneroso per l’autore dell’illecito ed escludendosi, per converso, la risarcibilità del danno da soppressione della vita a favore dello stesso soggetto di cui sia provocata la morte, allora dovrebbe paradossalmente concludersi che sia economicamente più “conveniente” uccidere che ferire. Ed è del pari improprio l’assumere che, poiché la tutela minima di ogni diritto è quella risarcitoria (Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003), il negare la risarcibilità del danno da lesione del diritto alla vita a favore del soggetto stesso la cui vita sia spenta per fatto imputabile ad altri, significherebbe incorrere in intima contraddizione proprio in ordine alla tutela del primo tra tutti i diritti dell’uomo.

Il Collegio, poi, si sofferma sui caratteri della obbligazione risarcitoria, la quale non deve mai avere un carattere punitivo. Secondo gli Ermellini, infatti, la questione è che il risarcimento costituisce solo una forma di tutela conseguente alla lesione di un diritto (o di una posizione giuridica soggettiva qualificata, pur se non assurgente al rango di diritto soggettivo); e consiste nel diritto di credito, diverso dal diritto inciso, ad essere tenuto per quanto è possibile indenne dalle conseguenze negative che dalla lesione del diritto derivano, mediante il ripristino del bene perduto, la riparazione, la eliminazione della perdita o la consolazione/soddisfazione/compensazione se la riparazione non sia possibile. Ora, non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal soggetto che muore, e che così si estingue, un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte (chi non è più non può acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più), ma è logicamente inconfigurabile la stessa funzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantita invece da diritto penale), ma riparatoria o consolatoria.

E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione riparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può, per la forza delle cose, essere attuata a favore del defunto. Va data, invece, ai suoi congiunti: tecnicamente, posto che un danno è ingiusto se abbia leso un interesse meritevole di tutela e prevalente rispetto a quello del danneggiante, a chi abbia perso, in conseguenza della morte di una persona, la possibilità di godere del rapporto parentale con la persona stessa in tutte le sue possibili modalità attuative (Cass., sez. III, n.8828/2003).

Pretendere che sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi “anziché” ai congiunti (se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza di successibili, addirittura allo stato: il risarcimento assumerebbe allora una funzione meramente punitiva, che è invece assolta dalla sanzione penale. E si risolverebbe in breve, come l’esperienza insegna, in una diminuzione di quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti, che percepiscono somme comunque connesse ad un’onnicomprensiva valutazione equitativa (Cass., sez. un., n. 26972/08), sicché risulterebbe frustrato anche lo scopo di innalzare i limiti del risarcimento. Quand’anche lo scopo comprensibilmente perseguito dalla parte fosse, infatti, raggiunto in una causa determinata, la giurisprudenza si assesterebbe rapidamente su standards quantitativi globali anteriori all’ipotetico arresto (tuttavia non consentito, per le ragioni esposte), trattandosi pur sempre di stabilire quanto vada riconosciuto (in denaro) ai sopravvissuti per la perdita del congiunto (che è evento che provoca dolore e perdita del rapporto parentale), con una conversione la cui entità dipende dalle qualificazioni giuridiche assai meno che dalla sensibilità sociale e dalla cultura del momento storico in cui l’evento cade

(© Litis.it, 18 Aprile 2011 – Riproduzione riservata)

Allegato Pdf: Sentenza n. 6754 del 24 marzo 2011.
(Sezione Terza Civile, Presidente R. Preden – Relatore A. Amatucci)

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