Appello, la prova della notifica non è un elemento di indagine – Cassazione Civile, Sentenza n. 6921/2011
Dimostrare la tempestività dell’atto significa indicare un fatto già acquisito in giudizio, non proporne uno diverso
Il divieto legislativo dello ius novorum nel giudizio di appello non riguarda anche le eccezioni di mera difesa processuale, pertanto, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a dedurre, in sede di gravame, in merito alla tempestività della notificazione degli atti impositivi e la conseguente definitività degli stessi per omessa impugnazione da parte del contribuente.
Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella pronuncia 6921 del 25 marzo.
I fatti di causa
Un contribuente propone ricorso per Cassazione contro una sentenza di appello che, in riforma di quella di primo grado, aveva ritenuto legittima la cartella di pagamento, emessa da un ufficio finanziario, volta al recupero dell’imposta complementare di registro e relativa a un accertamento di maggior valore.
In particolare, il giudice di prime cure aveva accolto il ricorso del contribuente in mancanza dell’assolvimento dell’onere probatorio, da parte dell’ufficio finanziario, in ordine alla definitività degli atti impositivi presupposti, con una pronuncia riformata, poi, dal giudice di appello, in base ai documenti depositati dall’ufficio e attestanti la rituale notifica dell’avviso di accertamento e dell’avviso di liquidazione, divenuti definitivi per mancata impugnazione.
In buona sostanza, secondo i giudici, l’ingiunzione fiscale – legittima in quanto preceduta dalla regolare notifica di altro atto autonomamente impugnabile – poteva essere a sua volta contestata solo per vizi propri (articolo 19, comma 3, Dlgs 546/1992).
Nel ricorrere in Cassazione, il contribuente censura la sentenza impugnata in quanto, in palese violazione dell’articolo 57 del Dlgs 546/1992, ha ammesso, in appello, la proposizione, da parte dell’ufficio, di domande ed eccezioni nuove, ossia non proposte in primo grado, e di aver deciso la controversia a suo sfavore, sulla base delle stesse.
La decisione della Corte suprema
La Cassazione rigetta il ricorso e conferma la sentenza appellata.
Secondo i giudici, infatti, nel giudizio tributario – che ha natura impugnatoria, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa fiscale avanzata con l’atto impugnato – “…costituisce eccezione in senso stretto lo strumento processuale attraverso il quale si faccia valere un atto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale, (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 11.7.2002 n. 10112), non potendo essere considerata tale – e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio…”.
In altri termini, l’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/1992 – norma la cui violazione è invocata dal ricorrente – “…comporta esclusivamente la preclusione delle eccezioni nuove e cioè di quelle eccezioni che si risolvono in mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa con conseguente ampliamento del ‘thema decidendum’ (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 3.5.2002 n. 6347…), ne segue che, avuto riguardo all’oggetto del contendere come definito dal ricorso in primo grado del contribuente – individuato nella mancata notifica degli atti valutativi e di liquidazione presupposti…- le contrarie allegazioni dell’Ufficio volte ad affermare la avvenuta notifica degli atti presupposti si limitano alla mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio in quanto non introducono alcun elemento nuovo di indagine rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo”.
Il divieto dello ius novorum nel giudizio tributario
La sentenza in commento affronta il problema relativo al divieto dello ius novorum in appello e di come lo stesso vada correttamente interpretato.
Nel giudizio tributario, l’articolo 57 del Dlgs 546/1992 – riprendendo nella sua terminologia l’espressione “domande ed eccezioni” adottata dall’articolo 345 del codice di procedura civile – disciplina lo ius novorum prescrivendo, al primo comma, una regola per le domande nuove (“nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”) e, nel secondo comma, per le eccezioni nuove (“non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”).
Il divieto di proporre domande nuove in appello è finalizzato a garantire il principio del doppio grado di giurisdizione e, pertanto, lo stesso trova attuazione anche se le parti siano d’accordo nel chiederne l’esame al giudice di secondo grado.
In applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione, il giudice di appello non può giudicare su una domanda del tutto nuova che non ha formato oggetto del processo di primo grado, malgrado la stessa trovi fondamento in una norma di diritto positivo sopraggiunto nel corso del giudizio (Cassazione, sentenza 12877/1995).
Il problema da affrontare, trattando dello ius novorum, è quello di stabilire quando una domanda possa correttamente dirsi nuova, tale da ritenersi improponibile in appello. Al riguardo – fermo restando che per espressa previsione legislativa non costituisce domanda nuova la richiesta degli interessi maturati dopo la sentenza impugnata (articolo 57, comma 1) – occorre fare riferimento a tre elementi essenziali che ne costituiscono il fondamento: i soggetti, il petitum e la causa pretendi.
Sebbene non sia possibile elencare in modo completo le domande da considerarsi nuove e quindi non proponibili in appello, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata più volte sull’interpretazione di “domanda nuova”, partendo da quell’orientamento consolidato per cui si ha domanda nuova quando l’appellante introduce nel giudizio di gravame “…..una causa pretendi diversa, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine” (Cassazione, sentenze 16829/2007, 14221/2007, 8169/2007, 4335/2002).
Per quanto attiene al petitum, non costituisce ius novorum la riduzione della misura della pretesa impositiva da parte del Fisco (Cassazione, sentenza 11265/2003), mentre si ha domanda nuova quando il contribuente, nell’atto di appello, introduce una causa petendi diversa fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado (Cassazione, sentenza 4335/2002).
Ritornando al caso in esame, la Cassazione ha già affermato che non costituisce domanda nuova – in quanto deve ritenersi compresa sin dall’origine nel thema decidendum – l’eccezione della mancata notifica dell’avviso di accertamento proposta nel giudizio di appello promosso avverso la cartella di pagamento conseguente all’accertamento divenuto definitivo (Cassazione, sentenza 15849/2006).
Più di recente, la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui le mere difese non costituiscono violazione dell’articolo 57 del Dlgs 546/1992.
Infatti, i giudici di legittimità, in un’occasione hanno affermato, in materia di istanza di rimborso, che “il divieto di ius novorum non investe le difese dell’Amministrazione finanziaria formulate in sede di appello sull’insussistenza degli elementi costitutivi dell’istanza di rimborso presentata dal contribuente sul quale grava l’assolvimento del relativo onere probatorio” (Cassazione, sentenza 2507/2009); in un’altra, invece, hanno statuito che “la norma in questione (l’articolo 57) vieta la proposizione in appello di domande ed eccezioni nuove, per queste intendendosi le eccezioni in senso stretto, come tali non rilevabili d’ufficio. Il divieto legislativo…non può, invece, ritenersi esteso anche alle mere difese…” (Cassazione, sentenza 802/2011).
Marco Denaro
nuovofiscooggi.it