Ammissione al concorso in magistratura per gli abilitati all’esercizio della professione di avvocato iscritti all’Albo – Corte Cost, Ordinanza n. 119/2011
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, in riferimento agli articoli 3, 51 e 104, primo comma, della Costituzione.
La Corte ha precisato che già la sentenza n. 296 del 2010 ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma suddetta, proprio «nella parte in cui non prevede tra i soggetti ammessi al concorso per magistrato ordinario anche coloro che abbiano conseguito soltanto l’abilitazione all’esercizio della professione forense, anche se non siano iscritti al relativo albo degli avvocati. Di qui, la declaratoria di inammissibilità della medesima questione.
Corte Costituzionale, Ordinanza n. 119 del 07/04/2011
Magistratura – Concorso per uditore giudiziario – Ammissione al concorso per gli abilitati all’esercizio della professione di avvocato iscritti al relativo Albo professionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’articolo 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con una ordinanza del 13 luglio 2010 e con due ordinanze del 9 agosto 2010 rispettivamente iscritte ai numeri 328, 354 e 355 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 43 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con tre distinte ordinanze (r.o. nn. 328, 354 e 355 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 51 e 104, primo comma, della Costituzione – altrettante questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario);
che il remittente premette, in punto di fatto, di essere investito – in ciascuno dei tre giudizi a quibus – della domanda di annullamento, previa sospensione, del bando di concorso per esami a 350 posti di magistrato ordinario, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale, n. 99, del 29 dicembre 2009, deducendo, inoltre, che l’art. 2, lettera g), punto 6, del bando individua, quale requisito di ammissione al concorso, l’iscrizione del candidato all’Albo degli avvocati;
che, secondo il remittente, tale prescrizione realizzerebbe una «ingiusta discriminazione» nei confronti di quei candidati che – come i ricorrenti in ciascuno dei tre giudizi principali – risultano aver conseguito l’abilitazione allo svolgimento della professione forense, ma che non possono iscriversi nel suddetto Albo in ragione di situazioni di incompatibilità;
che, ritenuta la citata previsione del bando una «pedissequa riproduzione» dell’art. 2, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 160 del 2006, nel testo modificato dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge n. 111 del 2007, il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale norma, disponendo nel contempo l’ammissione al concorso dei ricorrenti, con riserva, in attesa di «pronunzia definitiva sull’istanza cautelare», oltre che «della decisione di merito»;
che, tanto premesso in punto di fatto, il giudice a quo rileva come sul tradizionale sistema di reclutamento dei magistrati ordinari si sia innestato, innovandolo profondamente, il già citato d.lgs. n. 160 del 2006, come modificato dalla successiva legge n. 111 del 2007, la cui disciplina si caratterizza sia per il venir meno della «preferenza accordata, quale canale privilegiato di accesso alla selezione, alla frequenza delle scuole di specializzazione nelle professioni legali» (concepite, in origine, «quale strumento di formazione» comune «a tutti gli operatori del diritto»), sia per la riconosciuta «eterogeneità dei titoli di ammissione al concorso rispetto alla qualificazione tecnico-professionale propria del magistrato»;
che, in particolare, il legislatore ha individuato nell’iscrizione all’Albo forense una delle condizioni per l’ammissione al concorso, disattendendo «l’originario progetto governativo» che, invece, «richiedeva l’esercizio della professione per almeno tre anni», in conformità alle indicazioni fornite dal Consiglio superiore della magistratura nel parere reso con deliberazione del 31 maggio 2007;
che, tuttavia, secondo il remittente, risulterebbe «arduo comprendere la finalità» della scelta compiuta dal legislatore con la norma censurata, avendo l’iscrizione all’Albo «valenza puramente formale»;
che essa, infatti, nulla aggiungerebbe «alla particolare qualificazione e/o esperienza richiesta agli aspiranti magistrati ordinari che hanno conseguito l’abilitazione, atteso che l’iscrizione medesima non è subordinata all’effettivo esercizio della professione di avvocato e non postula, quindi, nemmeno l’attualità dell’esperienza dalla stessa derivante»;
che l’irragionevolezza della previsione in esame risulterebbe, poi, confermata dal fatto che «la peculiare formazione degli abilitati all’esercizio della professione forense è omogenea o comunque affine a quella richiesta al magistrato, laddove, viceversa, l’accesso al concorso è consentito anche ai possessori di titoli che non necessariamente denotano il possesso di peculiari competenze tecniche (come i funzionari e dirigenti amministrativi aventi l’anzianità prescritta) ovvero ancora hanno natura prettamente scientifica (come i dottori di ricerca)»;
che, inoltre, essendo «il criterio ispiratore della riforma» di «stampo pluralistico», giacché il legislatore ha scelto di valorizzare pregresse esperienze «eterogenee rispetto alla professione di magistrato», l’esclusione degli abilitati alla professione forense non iscritti all’Albo degli avvocati appare al remittente «irrazionale ed arbitraria»;
che, infine, secondo il TAR del Lazio, non dovrebbe essere dimenticato che «la disciplina dell’accesso in magistratura ordinaria ha incidenza diretta sui valori costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza», sanciti per l’ordine giudiziario dall’art. 104, primo comma, Cost.;
che, pertanto, se il legislatore può legittimamente porsi alla ricerca di un «punto di equilibrio tra il perseguimento di una composizione pluralistica e paritaria del potere giudiziario e la creazione di un corpo magistratuale altamente qualificato e professionale», a tale obiettivo non sembrerebbe rispondere la norma censurata, subordinando la partecipazione al concorso ad «un requisito di ordine meramente formale il quale viene in definitiva a costituire soltanto una incomprensibile, e ingiusta, barriera frapposta a soggetti i quali posseggono una formazione tecnica omogenea a quella richiesta per l’esercizio della funzione cui aspirano»;
che in forza delle considerazioni sopra illustrate il TAR del Lazio ha censurato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 104, primo comma, Cost., l’art. 2, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 160 del 2006, come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge n. 111 del 2007, «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ammissione al concorso per magistrato ordinario, che gli abilitati all’esercizio della professione forense siano anche iscritti al relativo Albo professionale».
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con tre distinte ordinanze (r.o. nn. 328, 354 e 355 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 51 e 104, primo comma, della Costituzione – altrettante questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), censurandolo «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ammissione al concorso per magistrato ordinario, che gli abilitati all’esercizio della professione forense siano anche iscritti al relativo Albo professionale»;
che, in via preliminare, le questioni indicate, per l’identità del loro oggetto, possono essere definite congiuntamente nell’ambito di un unico giudizio, onde ne va disposta la riunione;
che, peraltro, con sopravvenuta sentenza n. 296 del 2010, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma suddetta, proprio «nella parte in cui non prevede tra i soggetti ammessi al concorso per magistrato ordinario anche coloro che abbiano conseguito soltanto l’abilitazione all’esercizio della professione forense, anche se non siano iscritti al relativo albo degli avvocati»;
che, dunque, le questioni sollevate sono divenute prive di oggetto e, per tale ragione, vanno dichiarate manifestamente inammissibili (cfr., da ultimo, le ordinanze n. 55, n. 19 e n. 18 del 2011).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, in riferimento agli articoli 3, 51 e 104, primo comma, della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.