Ricorso per cassazione, i fatti devono risultare chiari e completi – Cassazione Civile, Sentenza n. 5584 e 5586/2011
Solo una descrizione autosufficiente consente ai giudici della Suprema corte di espletare le funzioni di controllo
La corretta formulazione del ricorso presso la Corte di legittimità e gli oneri che gravano sui contribuenti in ordine al rispetto dei requisiti imposti dagli articoli 360 e 366 del codice di procedura civile, sono alla base delle due sentenze della Corte di cassazione, nn. 5584 e 5586 del 9 marzo.
Cenni alle vicende
In entrambi i casi, alla base delle antecedenti vicende giudiziali (vale a dire: ricorso presentato e parzialmente vinto dal contribuente presso la Commissione tributaria provinciale, a cui è seguito un giudizio in appello presso la Commissione tributaria regionale che ha accolto invece il gravame dell’Agenzia delle Entrate) si trovano atti di accertamento concernenti una dichiarazione di successione e la liquidazione delle relative imposte, che ovviamente la parte ha ritenuto di contestare.
I contribuenti, perdenti in sede di appello, hanno presentato ricorso in Cassazione, adducendo come motivazioni, fra le altre, la violazione di diverse norme di vario grado e natura in riferimento all’articolo 360, comma 1, nn. 3-4-5 cpc, nonché vizi di motivazione su punti decisivi della controversia in riferimento all’articolo 360, comma 1, n. 5 cpc.
Formulazione del ricorso
Entrambe le sentenze tengono innanzitutto a sottolineare come sia netta la differenza fra il ruolo e la competenza della Corte di cassazione rispetto alle funzioni del giudice di merito, a cui solo spetta di analizzare i fatti che hanno generato la vicenda processuale, ed esprimere un giudizio alla luce delle prove esposte e delle memorie di parte e controparte.
Alla Suprema corte, spetta invece una funzione di controllo sulla correttezza dell’operato del giudice di primo e secondo grado solo da un punto di legittimità delle sue scelte, vale a dire appurare che non sia stata compiuta una violazione di norme o principi di diritto.
Al fine dunque di permettere questo ultimo controllo, i fatti controversi devono essere illustrati nel ricorso presentato, alla luce del principio di “autosufficienza del ricorso in Cassazione”.
Come la Corte stessa ha già più volte affermato, i motivi posti a fondamento del ricorso debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in quale modo e sotto quale profilo abbia avuto luogo la pretesa violazione: se, per contrasto con la norma indicata nel ricorso, o con un’interprestazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità, o da prevalente dottrina.
Ai sensi dell’articolo 366, comma 1, n. 4, cpc, infatti, è indispensabile che il ricorso offra, sia pure in modo sommario, una ricognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti, delle vicende processuali e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tutti questi elementi siano conoscibili soltanto mediante il ricorso, senza necessità di ricorrere ad altre fonti, quali le memorie difensive presentate dalle parti e le sentenze precedenti.
Alla luce di quanto sopra premesso, la Corte di cassazione ha giudicato entrambi i ricorsi inammissibili, in quanto non soddisfacenti la prescrizione dell’articolo 366. I due ricorsi non ponevano, infatti, le condizioni per emettere una sentenza sulla base delle sole deduzioni ivi contenute, né è peraltro possibile al giudice di legittimità di sopperire alle lacune del ricorso con indagini integrative, non avendo diritto di accesso agli atti del giudice di merito (come stabilito in numerose sentenze pregresse).
Vizio di motivazione
Si configura solo quando, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito nella sentenza impugnata, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalla parte o rilevabili d’ufficio; ovvero che vi si riscontri un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tali da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (articolo 360, comma 1, n. 5, cpc).
Ovviamente il semplice fatto che il giudice di merito si sia pronunciato in modo difforme rispetto al convincimento della parte, e che la costruzione dei fatti operata dall’uno e dall’altra non converga, non può in alcun caso configurare un’ipotesi di vizio di motivazione cassabile dalla Suprema corte.
In tal caso, infatti, il ricorso verrebbe a configurarsi come una semplice e inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e delle decisioni del giudice di merito, vale a dire una nuova pronuncia sul fatto, il che sarebbe totalmente alieno alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità.
Alla luce di tutto ciò, la Corte di cassazione ha giudicato entrambi i ricorsi infondati, ritenendo che contenessero semplicemente una mera doglianza delle parti sulla valutazione operata dal giudice di merito, ovviamente rivelatasi difforme dalle loro aspettative.
Conclusioni
I giudici di legittimità hanno, dunque, rigettato i due ricorsi e condannato i proponenti al pagamento delle spese. La giurisprudenza di riferimento, che si addentra nei meandri dei requisiti procedurali imprescindibili affinché il ricorso in Cassazione sia in primo luogo ammissibile, e in secondo luogo contenga dei motivi fondati, è sempre più numerosa e dettagliata.
Al riguardo, si vedano, sulla formulazione del ricorso, le sentenze 3158/2003, 12444/2003 e 1161/1995 e, sul vizio di motivazione, le sentenze 20322/2005 e 8932/2006.
Gli argini di formulazione dei motivi di impugnazione presso il giudice di legittimità contenuti nell’articolo 360 diventano così sempre più strettamente delineati in via interpretativa dalla Corte, al fine di escludere quei ricorsi che rappresentano solo un tentativo delle parti di riproporre elementi di fatto già sottoposti al giudice di primo e secondo grado, sperando in un’accoglienza più favorevole.
La Cassazione non è un giudice di merito in terzo grado e le parti, pubbliche o private che siano, dovranno impiegare una cura massima nella proposizione dei ricorsi e nel loro contenuto, se vorranno trovare soddisfazione.
Se da una parte tale rigidità potrebbe essere passibile di critiche perché imporrebbe un maggior onere a carico del proponente nell’esercizio del suo diritto alla difesa, dall’altra non si può tralasciare l’esigenza di ergere una barriera rinforzata contro i ricorsi pretestuosi che ingolfano il sistema giudiziale e lo gravano di costi economici.
Valentina Ariemme
nuovofiscooggi.it