Sinistro stradale. Linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente – Cassazione Penale, Sentenza n. 10411/2011
Pronunciandosi in tema di configurabilità dell’omicidio volontario e non colposo conseguente ad un sinistro stradale, la Prima Sezione Penale della Cassazione, nella sentenza n. 10411 depositata il 25 marzo 2011, ha affermato che La delicata linea di confine tra il “dolo eventuale” e la “colpa cosciente” o “con previsione” e l’esigenza di non svuotare di significato la dimensione psicologica dell’imputazione soggettiva connessa alla specificità del caso concreto, impongono al giudice di attribuire rilievo centrale al momento dell’accertamento e di effettuare con approccio critico un’acuta, penetrante indagine in ordine al fatto unitariamente inteso, alle sue probabilità di verificarsi, alla percezione soggettiva della probabilità, ai segni della percezione del rischio, ai dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei reali processi interiori e della loro proiezione finalistica. Si tratta di un’indagine di particolare complessità, dovendo si inferire atteggiamenti interni, processi psicologici attraverso un procedimento di verifica dell’id quod plerumque accidit alla luce delle circostanze esteriori che normalmente costituiscono l’espressione o sono, comunque, collegate agli stati psichici”.
Sottolineano ancora i Supremi giudici che al fine di stabilire se nel caso in esame ricossero gli estremi del dolo eventuale o della colpa aggravata dalla previsione dell’evento, il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare i seguenti elementi, ponendo in correlazione logica fra loro: le modalità e la durata dell’inseguimento; il lasso di tempo intercorso tra l’inizio dello stesso e la sua trasformazione in mero controllo a distanza del furgone rubato; le complessive modalità della fuga e la sua protrazione pur dopo che la Polizia aveva adottato una differente tipologia di vigilanza; le caratteristiche tecniche del mezzo rubato in rapporto a quanto in esso contenuto; la conseguente energia cinetica in relazione alla velocità serbata; le caratteristiche degli incroci impegnati con luce semaforica rossa prima del raggiungimento di quello tra via Nomentana e viale Regina Margherita e le relative possibilità di avvistamento di altri veicoli; la conformazione dei luoghi in cui avvenne l’impatto con la “Citroen” condotta da I I l’assenza di tracce di frenata o di elementi obiettivamente indicativi di tentativi di deviazione in rapporto al punto d’impatto con il mezzo su cui viaggiavano i tre giovani e alle caratteristiche dell’incrocio tra viale Regina Margherita e via Nomentana; il comportamento serbato dall’imputato dopo la violenta collisione
Per distinguere tra dolo eventuale e colpa cosciente la Cassazione sottolinea che L’esatta ricostruzione degli elementi distintivi tra dolo e colpa cosciente presuppone la definizione dei rapporti tra l’elemento della rappresentazione e quello della volontà nel quadro della struttura del dolo, che rappresenta il criterio ordinario dell’imputazione soggettiva. La volontà esprime la tensione dell’individuo verso il conseguimento di un risultato non in termini di mero desiderio – dimensione questa che attiene alla sfera della motivazione – quanto piuttosto di concreta attivazione in vista del raggiungimento di un determinato scopo. Qualsiasi condotta umana, eccezion fatta per i comportamenti del tutto irrazionali, mira ad un risultato e solo il riferimento ad esso consente di individuare la volontà dell’agente, che deve investire direttamente o indirettamente (nei termini che saranno precisati al paragrafo successivo) anche l’intero fatto di reato colto nella sua unità di significato, nel dinamismo tra i suoi elementi e nella proiezione teleologica in direzione dell’offesa. In adesione ad una recente elaborazione teorica è possibile affermare che, poiché il comportamento doloso orienta finalisticamente i fattori della realtà nella prospettiva del mezzo verso uno scopo, esso attrae nell’ambito della volontà l’intero processo che determina il risultato perseguito. Per conseguenza la finalizzazione della condotta incide sulla sfera della volizione e la svela.
L’elemento rappresentativo attiene, a sua volta, al complessivo quadro di conoscenza degli elementi essenziali del fatto nel cui ambito la deliberazione è maturata. Esso costituisce il substrato razionale in virtù del quale la decisione di agire si pone in correlazione con il fatto inteso nella sua unitarietà, così giustificando il riconoscimento di una scelta realmente consapevole, idonea a fondare la più grave forma di colpevolezza. La volontà presuppone, perciò, la consapevolezza di ciò che si vuole. Il dolo è, quindi, rappresentazione e volontà del fatto tipico. La rappresentazione, che ha ad oggetto tutti gli elementi essenziali del fatto, assume – come osservato con efficace sintesi da un’autorevole dottrina -natura psichica di conoscenza, quando concerne gli elementi preesistenti e concomitanti al comportamento, di coscienza, quando è riferita alla condotta, di previsione, quando riguarda elementi futuri, qual è essenzialmente l’evento del reato. Nell’agire doloso, il soggetto agente orienta deliberatamente il proprio comportamento verso la realizzazione del fatto di reato che costituisce un disvalore per l’ordinamento giuridico, modella la propria condotta in modo da imprimerle l’idoneità alla realizzazione del fatto tipico che può considerarsi voluto proprio perché il soggetto ha deciso di agire in modo tale da determinarlo. La rappresentazione e la volizione debbono avere ad oggetto tutti gli elementi costitutivi della fattispecie tipica – condotta, evento e nesso di causalità materiale -, e non il solo evento causalmente dipendente dalla condotta, come è confermato dalla disciplina dell’errore sul fatto costituente reato contenuta nel primo comma dell’art. 47 c.p., secondo cui siffatto errore, facendo venir meno il dolo sotto il profilo della indispensabile consapevolezza degli elementi essenziali della fattispecie, esclude la responsabilità dolosa e la punibilità dell’agente.
Nei reati a forma vincolata oggetto del dolo deve essere la condotta specificamente descritta nella norma incriminatrice, mentre nei reati a forma libera, quali sono i reati di cui ai capi a), b), l’imputazione a titolo di dolo del fatto nel suo insieme postula che la volontà sia effettiva sino all’ultimo atto.
La giurisprudenza di legittimità individua il fondamento del dolo indiretto o eventuale nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri termini, l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo che questo si realizzasse, sicché lo stesso non può non considerarsi riferibile alla determinazione volitiva (Sez. Un. 12 ottobre 1993, n. 748; Sez. Un. 15 dicembre 1992, Cutruzzolà, in Cass. pen., 1993, 1095; Sez. Un. 12 ottobre 1993, n. 748; Sez. Un. 14 febbraio 1996, n. 3571; Sez. I, 12 novembre 1997, n. 6358; Sez. I, Il febbraio 1998, n. 8052; Sez. I, 20 novembre 1998, n. 13544; Sez. V, 17 gennaio 2005, n. 6168; Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 1367; Sez. I, 24 maggio 2007, n. 27620; Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12954). Si versa, invece, nella forma di colpa definita “cosciente”, aggravata dall’avere agito nonostante la previsione dell’evento (art. 61 n. 3 cod. pen.), qualora l’agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell’evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori.
Dall’interpretazione letterale dell’art. 61, comma 1, n. 3 cod. pen., che fa esplicito riferimento alla realizzazione di un’azione pur in presenza di un fattore ostativo della stessa, si evince che la previsione deve sussistere al momento della condotta e non deve essere stata sostituita da una non previsione o controprevisione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. Quest’ultimo non esclude l’esistenza del dolo, ma non è sufficiente ad integrarlo.
Una qualche accettazione del rischio sussiste tutte le volte in cui si deliberi di agire, pur senza avere conseguito la sicurezza soggettiva che l’evento previsto non si verificherà. Il semplice accantonamento del dubbio, quale stratagemma mentale cui l’agente può consapevolmente ricorrere per vincere le remore ad agire, non esclude di per sé l’accettazione del rischio, ma comporta piuttosto la necessità di stabilire se la rimozione stessa abbia un’obiettiva base di serietà e se il soggetto abbja maturato in buona fede la convinzione che l’evento non si sarebbe verificato. In tale articolato contesto, come sottolineano i più recenti approdi interpretativi dottrinali e giurisprudenziali, poiché la rappresentazione dell’intero fatto tipico come probabile o possibjle è presente sia nel dolo eventuale che nella colpa cosciente, il criterio distintivo deve essere ricercato sul piano della volizione. Mentre, infatti, nel dolo eventuale occorre che la realizazione del fatto sia stata “accettata” psicologicamente dal soggetto, nel senso che egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto, nella colpa con previsione la rappresentazione come certa del determinarsi del fatto avrebbe trattenuto l’agente. Nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro. L’autore del reato, che si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento dell’interesse perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco -il suo e quelli altrui -e attribuisce prevalenza ad uno di essi. L’obiettivo intenzionalmente perseguito per il soddisfacimento di tale interesse preminente attrae l’evento col laterale, che viene dall’agente posto coscientemente in relazione con il conseguimento dello scopo perseguito. Non è, quindi, sufficiente la previsione della concreta possibilità di verificazione dell’evento lesivo, ma è indispensabile l’accettazjone, sia pure in forma eventuale, del danno che costituisce il prezzo (eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato risultato (Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 1367; Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12954; Sez. V, 17 settembre 2008, n. 44712).
(Litis.it, 21 Marzo 2011)
Allegato Pdf: Cassazione Penale, Sezione Prima, Sentenza n. 10411 del 15/03/2011
(Presidente, Di Tomassi – Relatore, Cassano)