CivileGiurisprudenza

Formulazione del quesito di diritto e unico deposito di ricorso e atti – Cassazione Civile, ordinanza n. 2799 e 2803/2011

Le due importanti questioni procedurali al centro di una recente doppietta della Corte di cassazione

Inammissibile il quesito che non contiene tutte le informazioni necessarie a una pronta risposta del giudice di legittimità, improcedibile invece l’unico motivo di ricorso per mancato deposito, unitamente al ricorso, dell’atto d’appello.
Sono i principi “procedurali” espressi dalla Corte di cassazione nelle ordinanze n. 2799 e n. 2803 del 5 febbraio. Oggetti delle vicende – solo lievemente abbozzate, quasi a significare che il baricentro è puntato su altri lidi – un avviso di accertamento Irpef e una cartella di pagamento Iva.
 
Un accenno all’ordinanza n. 2799
A breve distanza dalla sentenza 767 del 14 gennaio, contenente un’interessante rassegna giurisprudenziale dedicata ai nostalgici simpatizzanti dei “quesiti di diritto”, la Cassazione amplia il vademecum sulle tecniche di redazione, definendo il rapporto tra quesito e motivo.
Punto di partenza: il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo. La Corte continua precisando che in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, viene richiesta al patrocinante che redige il motivo, ai sensi del disposto di cui all’articolo 366-bis cpc, “una sintesi originale ed autosufficiente” della censura. Alla Corte preme, infatti, evidenziare che solo partendo da una sapiente formulazione logico-giuridica che contenga l’essenza della questione – ossia che sia in grado di far comprendere l’errore di diritto nel quale sia incorso il giudice di merito – la funzione nomofilattica può trovare una espressione diretta e immediata (ex multis, Cassazione 20409/2008).
Di conseguenza, dovrà considerarsi inammissibile il quesito che, non contenendo tutte le informazioni necessarie a una pronta risposta del giudice di legittimità, difetti di tali requisiti.
 
Brevi note sull’ordinanza n. 2803
Nell’ordinanza 2830, viene dichiarato improcedibile l’unico motivo di ricorso per mancato deposito, unitamente al ricorso, dell’atto d’appello (contenente il motivo sul quale i giudici d’appello avrebbero omesso di pronunciare, e, pertanto, costituente atto sul quale la censura è fondata) richiesto, appunto a pena di improcedibilità, dall’articolo 369, secondo comma, n. 4 del cpc.
La ratio di tale previsione, che sembrerebbe imporre arbitrariamente il deposito di documenti già presenti nel fascicolo di causa, viene ricondotta dalla Suprema corte alla diversità dei tempi di disponibilità materiale dei suddetti documenti. Poiché, infatti, il fascicolo di causa è trasmesso in un momento successivo, il deposito della sentenza impugnata, e degli atti su cui il ricorso è fondato, unitamente al deposito del ricorso medesimo, consente “un primo screening dell’impugnazione, funzionale ad una immediata catalogazione ed organizzazione delle sopravvenienze”.
 
Tale duplicazione documentale che, a prima vista potrebbe sembrare vessatoria per il contribuente o contraria alla semplificazione dell’esercizio del diritto di difesa, a ben vedere, costituisce una chiave di volta per garantire il principio di ragionevole durata del processo. Principio che deve intendersi rivolto non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione acceleratoria, e al legislatore ordinario, ma anche al giudice quale interprete delle norme che regolano il processo (si confronti Cassazione 1540/2007). Nel caso di specie, è agevole intuire che la produzione dei documenti in tale sede agevola l’accesso agli stessi da parte della Corte, la quale sarebbe altrimenti costretta a reperirli all’interno del fascicoli dei gradi di merito che pervengono, a volte, in momenti spesso di molto successivi al deposito.
 
A queste conclusioni giunge la Corte ricordando, in prima battuta, che l’articolo 369, secondo comma, n. 4, cpc, a seguito della novella del Dlgs 40/2006, dispone, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente al ricorso, tra l’altro, degli atti processuali sui quali esso è fondato, e che tale onere non può ritenersi adempiuto con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito né, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga). Fa eccezione l’evenienza che tale deposito intervenga nei tempi e nei modi di cui al citato articolo 369 cpc o che si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (si vedano Cassazione 28547/2008, 24940/2009, 303/2010 e, da ultimo, 7161/2010).
Inoltre, la Corte avverte che, stante l’espressa previsione di deposito a pena di improcedibilità, il suddetto onere non può ritenersi adempiuto neppure attraverso la mera riproduzione, all’interno del ricorso, dei passi degli atti sui quali il ricorso medesimo è fondato.
 
Anche la vexata quaestio dell’ingerenza delle norme civili nel processo tributario trova, in questa sede, ingresso. A tal riguardo, le argomentazioni della Suprema corte, che decreta la compatibilità della disposizione in esame con le previsioni precipue del decreto legislativo 546/1992, si articolano principalmente su tre presupposti:
1.      l’articolo 25, comma 2, del Dlgs 546/1992, a norma del quale “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”, prevede che “le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio”, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, in quanto la parte può provvedere al deposito anche mediante la produzione di copie degli atti e documenti su cui il ricorso è fondato (precedente citato a supporto, Cassazione 24940/2009)
2.      non può ravvisarsi un problema di compatibilità nemmeno nel caso in cui si debbano produrre atti processuali (che restano in originale nel fascicolo d’ufficio), posto che nel processo civile come in quello tributario non potrebbero depositarsi unitamente al ricorso che le copie di tali atti;
3.      lo stesso articolo 369 cpc, al n. 2, espressamente dispone a pena di improcedibilità il deposito, unitamente al ricorso, di copia autentica della sentenza o della decisione impugnata, senza che mai si sia dubitato, nel processo civile come in quello tributario, della razionalità di una simile previsione o si sia ritenuto perciò solo reso eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti.
 
Considerazioni
Le decisioni sopra riportate, oltre a essere ricordate per l’elevato tecnicismo con cui affrontano le questioni di diritto, costituiscono un contributo interessante all’interno del dibattito ormai sempre più sentito sulla ricerca di un giusto equilibrio tra oneri imposti al contribuente ed esercizio del diritto di difesa.
Il punto di vista con cui la Corte affronta la tematica della ragionevole durata del processo è sintomo di un atteggiamento riflessivo e ponderato che non si limita all’osservazione statica effettuata di volta in volta della fattispecie specifica, ma pone le premesse per un ragionamento più ampio, che valuti con occhi accorto e a lungo raggio, quanto ci si possa attendere, in termini di efficienza, dai vari istituti qualora sapientemente utilizzati e valorizzati.

Roberta Cancelli
Ramona Marchetto

nuovofiscooggi.it

 

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