La tollerabilità delle immissioni va sempre valutata in relazione al caso concreto – Cassazione Civile, Sentenza n. 993/2011
In materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi a stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c.
Tale principio, nella sua prima parte, si basa sull’evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, ancor più esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e pertanto illecite anche sotto il profilo civilistico.
Nel conflitto tra le esigenze della produzione, pur contemplate dall’art. 844 c.c., ed il diritto alla salute, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica deve attribuire necessaria prevalenza al secondo, dovendo il limite della relativa tutela ritenersi intrinseco all’attività produttiva.
Per quanto attiene poi alla tollerabilità delle immissioni va evidenziato il carattere non assoluto del limite civilistico di tollerabilità delle immissioni al fine di stabilire se, in concreto, avuto riguardo alla particolare situazione dei luoghi {nella specie caratterizzata dalla destinazione a studio ed abitazione dei piani superiori dell’immobile dell’attore) le stesse siano compatibili con lo svolgimento delle ordinarie e quotidiane attività di vita professionale e domestica dell’attore e della sua famiglia.
(Litis.it, 11 gennaio 2011)
Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 993 del 17/01/2011
(Pres. Rovelli – Rel. Piccialli)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Avvocato [OMISSIS], costituito di persona ex art. 86 c.p.c., nella qualità di proprietario di un immobile adibito ad abitazione e studio professionale, con atto notificato il 6.9.01 citò al giudizio del locale Giudice di Pace la ditta [OMISSIS] Editrice in persona della titolare [OMISSIS], conduttrice di un immobile adiacente, al fine di sentirla condannare alla eliminazione delle intollerabili immissioni prodotte da un “grande ventilatore”, di cui chiedeva la rimozione, installato in un’apertura lucifera esistente nel muro comune dividente i due immobili e collegato all’impianto di climatizzazione del negozio-libreria. Deduceva in particolare l’attore che la suddetta installazione era avvenuta “abusivamente ed arbitrariamente” e che le immissioni provocate dal ventilatore, di calore, di esalazioni e sonore, oltre a provocare “fastidi, stress e disturbi alla quiete ed alla salute delle persone” abitanti e lavoranti nel proprio immobile, “in violazione dei diritti di proprietà dell’esponente”, superavano anche i limiti di accettabilità previsti dalle dal D.P.C.M. 14.11.97 e dalla L. 26.10.95 n. 447 in materia di inquinamento acustico ed ambientale.
Si costituì la convenuta, contestando la fondatezza della domanda ed il giudice adito, all’esito della disposta consulenza tecnica, la rigettò con sentenza del 30.7.02.
Il [OMISSIS] propose appello, ma il gravame, cui aveva resistito l’appellata, con sentenza monocratica del 22/28.2.05 è stato respinto dal Tribunale di L’Aquila, con il carico delle ulteriori spese. Il giudice di appello ha ritenuto, anzitutto, inammissibile la doglianza dell’appellante, deducente il mancato esame della domanda ex art. 949 c.c., rilevando che, dal petitum e dalla causa petendi esposti in primo grado, l’azione era stata proposta con inequivoco ed esclusivo riferimento all’art. 844 c.p.c. e non anche quale negatoria servitutis. Nel merito detto giudice ha ribadito l’infondatezza della domanda proposta, rilevando, sulla scorta dei dati emersi dalla consulenza tecnica, che le emissioni sonore prodotte dall’impianto di climatizzazione della libreria e percepibili del primo piano dell’immobile [OMISSIS} erano risultate di entità trascurabile e non eccedenti i livelli massimi fissati dalla normativa di tutela ambientale in materia di inquinamento acustico, mentre, per quanto atteneva a quelle percepibili dal piano terra, adibito a porticato e magazzino, il pur accertato superamento della soglia-limite non poteva di per sé comportare l’intollerabilità ex art. 844 c.c. delle immissioni, tenuto della natura dei luoghi (zona cittadina centrale e trafficata), dell’analogia delle destinazioni (l’una commerciale e l’altra a studio professionale) entrambe “lato sensu produttive”, nonché delle esigenze in conflitto, tra cui particolarmente meritevole appariva quella di “rendere confortevoli mediante un adeguato riscaldamento o refrigerazione i locali del negozio”.
Contro tale sentenza l’avvocato [OMISSIS] ha proposto ricorso per cassazione su tre motivi.
Ha resistito l’intimata con controricorso. Successivamente sono intervenuti, costituendosi con apposita comparsa, G..D.L., S..C. e C.L. , quali eredi dell’avvocato [OMISSIS], deceduto il (OMISSIS) , al riguardo producendo copie del certificato di morte e della denuncia di successione, facendo proprie le richieste di cui al ricorso. È stata infine depositata una memoria illustrative per la resistente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 132 co. 2 n. 3 c.p.c., per avere il Tribunale disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, nel la quale non erano state riportate esattamente le conclusioni attrici, deducenti anche la lesione del diritto di proprietà derivante dalle immissioni di calore, esalazioni e rumori intollerabili, provenienti dall’impianto di ventilazione abusivamente ed arbitrariamente apposto in corrispondenza dell’apertura lucifera, causale della domanda non esaminata, con conseguente omissione di pronunzia.
Con il secondo motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e connessa carenza di motivazione, si lamenta che il giudice di appello, che aveva il dovere di riesaminare la questione, convertendosi il suddetto motivo di nullità in motivo di impugnazione, abbia al riguardo erroneamente ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda ribadita dall’appellante anche sotto il profilo di cui all’art. 849 c.c..
Detto giudice, peraltro, non avrebbe tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, !’azione inibitoria ex art. 844 c.c. non solo ha natura reale, rientrando nello schema della negatoria servitutis, ma ha pure natura personale, in quanto intesa a respingere turbative o molestie di fatto; una corretta qualificazione della domanda avrebbe comportato la necessità esaminarla anche sotto il profilo suddetto, escludendo la ravvisata mutatio libelli. I due motivi, che per l’intima connessione tra le censure proposte vanno esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.
Dall’esame dell’atto introduttivo del giudizio, consentito in questa sede dalla natura essenzialmente processuale delle censure, si rileva che l’avvocato [OMISSIS] chiese, nelle proprie richieste conclusive, la condanna della convenuta alla “rimozione del detto impianto di ventilazione ed al risarcimento dei consequenziali danni…” previa dichiarazione della “illegittimità delle immissioni di calore, esalazioni e rumori intollerabili provenienti dal ventilatore abusivamente installato…in corrispondenza dell’apertura lucifera all’interno del fabbricato…non solo in danno dei diritti di proprietà dell’attore, ma anche in violazione di quanto disposto dal D.P.C.M. 14.11.97 e dalla L. 26.10.95 n.447 in materia di inquinamento acustico”, causali queste ultime sostanzialmente ribadenti la premessa espositiva, in cui si era riferito della suddetta installazione, abusiva ed arbitraria, perché operata in violazione sia del diritto di proprietà dell’esponente, sia delle norme speciali in materia di inquinamento acustico ed ambientale.
Tanto premesso la anzitutto rilevato che tali ultimi specifici riferimenti normativi e la dedotta intollerabilità delle subite immissioni rendeva inequivocabile, pur in mancanza di un’espressa citazione della disposizione civilistica, il riferimento all’art. 844 c.c., il cui primo comma appunto fa riferimento al criterio della “normale tollerabilità” delle immissioni, al fine si stabilire se il vicino che le subisca sia tenuto o meno, tenuto conto della condizione dei luoghi ed, eventualmente, dei sussidiari criteri di cui al secondo comma, a sopportarle. Né la generica deduzione della “violazione del diritto di proprietà”, in correlazione alla lamentata “abusività ed arbitrarietà” dell’installazione del ventilatore in corrispondenza di un’apertura lucifera ed in posizione tale da immettere esalazioni ed emanazioni sonore prodotte dall’impianto in direzione ed all’interno dell’immobile dell’attore, era tale da imprimere alla domanda, specificamente diretta all’ottenimento di una tutela restitutoria e risarcitoria per eccedenza dai limiti di cui all’art. 844 c.c., anche una concorrente qualificazione di actio negatoria servitutis ex art. 849 c.c.. Pur convenendosi, in astratto, che siffatta qualificazione, anche in mancanza di un espresso richiamo normativo (nella specie poi intervenuto nella comparsa conclusionale), avrebbe potuto essere operata ex officio, in base al principio iura novit curia (altrimenti espresso dal noto brocardo da mihi factum dabo tibi ius), da parte del giudice, non vincolato nell’individuazione della causa petendi dalle citazioni normative, più o meno conferenti, dell’attore, decisiva nella fattispecie deve ritenersi la circostanza che l’azione fosse stata proposta esclusivamente contro il conduttore dell’immobile confinante e non anche contro il proprietario dello stesso, che nell’actio negatoria, di natura reale e diretta all’accertamento della libertà di un fondo rispetto all’altro, è il solo legittimato passivo, in quanto potenziale titolare della servitù che si intende negare nella vindicatio libertalis, mentre l’esecutore materiale dell’opera, ove soggetto diverso dal proprietario, può solo rispondere unitamente a quest’ultimo per le conseguenze dannose delle stessa, nella eventualmente concorrente azione risarcitoria (v. Cass. 1553/05, 13186/92).
Pertanto le questioni del mancato esame delle conclusioni, da parte del primo giudice (nell’epigrafe della cui sentenza, peraltro, risultano trascritte le richieste attrici, conformi a quelle iniziali in precedenza menzionate), nella parte in cui sarebbe stato invocato, esplicitamente o implicitamente, anche l’art. 849 c.c., e dell’omessa pronunzia sostitutiva al riguardo da parte del giudice di appello, ancor prima che infondate, risultano inammissibili per difetto di rilevanza, perché un’actio negatoria servitutis proposta contro il solo autore materiale dell’opera sarebbe stata radicalmente inammissibile per difetto di legittimazione passiva. Per converso ammissibile, sebbene proposta contro la sola conduttrice dell’immobile da cui provenivano le immissioni ritenute intollerabili, va ritenuta la domanda ex art. 844 c.c., in concreto proposta, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, ravvisante la legittimazione passiva in siffatte azioni anche o soltanto dei soggetti titolari di diritti personali di godimento dell’immobile, allorquando, come nella specie, la domanda sia diretta soltanto al conseguimento di provvedimenti inibitori e risarcitori, e non anche all’emissioni di statuizioni restitutorie implicanti interventi diretti sull’immobile (v. tra le altre Cass. 8999/05, 15392/00).
Con il terzo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c., in riferimento agli artt. 949 e 890 c.c., con connesse carenze ed illogicità della motivazione. Si lamenta che i giudici di appello, in contraddizione con la, pur corretta, premessa secondo cui per verificare la liceità delle immissioni sarebbe stato necessario far riferimento al parametro della normale tollerabilità indicato dall’art. 844 c.c., e pur dando atto che il c.t.u. aveva accertato, in corrispondenza del porticato e dei locali a piano terra, la sussistenza di un livello differenziale di rumore superiore di 5 decibels al limite di accettabilità previsto dalla normativa sull’inquinamento acustico, nonché concentrazione di particelle di polvere atmosferica provenienti dal ventilatore posto nell’immobile contiguo, avrebbe confermato l’erroneo giudizio di primo grado.
A tal riguardo il tribunale sarebbe incorso in una errata ed inconferente valutazione della condizione dei luoghi e di elementi oggettivi non significativi, quali la posizione centrale del negozio e la destinazione asseritamente analoga dei due immobili, in realtà non sussistente, e si sarebbe basato, peraltro incongruamente, sui soli parametri fissati da norme speciali, contenute nella L. 26.1.95 n. 447, finalizzate precipuamente alla tutela di interessi generali, e non anche sul prudente apprezzamento che, secondo la giurisprudenza di legittimità, va compiuto dal giudice di merito al fine di comparare le esigenze in conflitto, di tutela del diritto di proprietà, segnatamente sotto il profilo della tranquillità delle relative facoltà di godimento, e di quello all’esercizio di un’attività commerciale.
Il motivo, a parte il non conferente richiamo agli artt. 949 e 890 c.c. (attinenti all’inammissibile riferimento alla non proposta azione negatoria, in relazione alle distanze legali prescritte per fabbriche e depositi nocivi) ed il profilo di doglianza relativo all’accumulo di polveri, che ponendosi in contrasto con la relativa esclusione da parte del c.t.u. riferita in sentenza, si risolve in una inammissibile censura in fatto, risulta per il resto fondato, nei termini di seguito precisati, e va accolto per quanto di ragione. Come si è riferito in narrativa, il Tribunale, dato atto che solo a livello del piano terra, le immissioni acustiche provenienti dall’attiguo immobile, attraverso l’apertura lucifera interessata dal ventilatore, eccedevano il limite di accettabilità previsto dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico, ha tuttavia respinto la domanda inibitoria e risarcitoria ex art. 844 c.c., sul rilievo che la particolare destinazione di tali parti dell’immobile dell’attore, in conflitto con le analoghe esigenze lato sensu produttive, della controparte non giustificassero l’emissione dei richiesti provvedimenti, al riguardo sostanzialmente privilegiando quelle dell’attività commerciale svolta dalla convenuta, richiedenti un adeguato regolamento della temperatura nel negozio. Siffatto argomentare, oltre a partire da premesse in parte indimostrate ed inaccettabili, quali il presunto uso limitato delle parti inferiori dell’immobile dell’attore, l’assoluta necessità dell’installazione del ventilatore nella posizione lamentata e non altrove e la parificabilità di massima di due attività del tutto eterogenee, l’una libero professionale, implicante attività di studio e consultazione e, dunque, richiedente particolare tranquillità, l’altra di tipo commerciale, non ha tenuto conto di principi affermati da questa Corte, che avrebbero comportato una diversa e più attenta valutazione della vicenda.
In particolare va ribadito il principio, a termini del quale “in materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi a stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c.” (Cass. 1418706).
Tale principio, nella sua prima parte, si basa sull’evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, ancor più esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e pertanto illecite anche sotto il profilo civilistico.
Tanto non è stato considerato dal giudice di merito, che pur avendo rilevato che al livello dei locali a piano terra dell’immobile [OMISSIS} erano percepibili emanazioni sonore eccedenti la soglia legale di accettabilità, ne ha escluso l’intollerabilità ex art. 844 c.c., non tenendo conto che, pur nel “tempo strettamente necessario al loro utilizzo” (come detto in sentenza), chi si trovasse in tali ambienti, sarebbe stato comunque esposto a rumori che, per presunzione normativa, devono comunque ritenersi nocivi per le persone, così finendo con il disattendere anche l’altro principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel conflitto tra le esigenze della produzione, pur contemplate dall’art. 844 c.c., ed il diritto alla salute, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica deve attribuire necessaria prevalenza al secondo, dovendo il limite della relativa tutela ritenersi intrinseco all’attività produttiva (v. in particolare, Cass. nn. 5564/10, 8420/06).
Per quanto attiene poi alla tollerabilità delle immissioni ai piani superiori, il giudice di merito ha ritenuto esaustiva la semplice circostanza che le propagazioni sonore a quel livello fossero al di sotto (peraltro senza precisare il relativo margine) della citata soglia di accettabilità prevista dalla legge speciale, incorrendo così nell’ulteriore errore di attribuire tout court rilevanza decisiva, in contrasto con la seconda parte del principio in precedenza citato, a tale mancato superamento, e nell’omissione di quella specifica ed approfondita indagine, richiesta dall’art. 844 c.c. e ribadita dalla costante giurisprudenza di questa Corte, evidenziante il carattere non assoluto del limite civilistico di tollerabilità delle immissioni (v., tra le più recenti, Cass. n. 3438/10), al fine di stabilire se in concreto, avuto riguardo alla particolare situazione dei luoghi {nella specie caratterizzata dalla destinazione a studio ed abitazione dei piani superiori dell’immobile dell’attore) le stesse fossero compatibili con lo svolgimento delle ordinarie e quotidiane attività di vita professionale e domestica dell’attore e della sua famiglia.
La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio per nuovo giudizio di appello ad altro magistrato del Tribunale di Sulmona, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie, nei limiti di cui motivazione, il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudiziosi Tribunale di Sulmona, in persona di diverso magistrato
Depositata in cancelleria il 17 gennaio 2011