Arbitrato su contratti stipulati per la realizzazione di interventi connessi a stato d’emergenza e di grande evento – Corte Costituz., Ordinanza 31/2011
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26, sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione – dal Collegio arbitrale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 15, comma 3, del decreto-legge n. 195 del 2009, sollevate – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma, Cost. – dal medesimo Collegio arbitrale con la stessa ordinanza.
Corte Costituzionale, Ordinanza n. 31del 27/01/2011
Arbitrato – Controversie relative a contratti stipulati per la realizzazione di interventi connessi alle dichiarazioni di stato d’emergenza e di grande evento – Prevista nullità ‘ex lege’ dei compromessi e delle clausole compromissorie – Retroattiva decadenza dei giudizi arbitrali pendenti alla data di entrata in vigore della norma, eccettuati quelli per i quali era già stata completata la fase istruttoria.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26, promosso dal Collegio arbitrale di Roma nel procedimento vertente tra l’Arcadia Costruzioni s.r.l. e l’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nella Regione Calabria con ordinanza del 24 maggio 2010 iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione della Arcadia Costruzioni s.r.l. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato Maurizio Zoppolato per l’Arcadia Costruzioni s.r.l. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Collegio arbitrale di Roma, costituitosi in data 27 ottobre 2009 per decidere (in virtù della clausola compromissoria contenuta in un contratto di appalto per la realizzazione di un depuratore, stipulato il 3 novembre 2003) una controversia tra una società di costruzioni e l’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale della Regione Calabria, con ordinanza del 24 maggio 2010 ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, «nonché al principio comunitario di legittimo affidamento» – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26, in base al quale «Al fine di assicurare risparmi di spesa, i compromessi e le clausole compromissorie inserite nei contratti stipulati per la realizzazione d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e di grande evento di cui all’art. 5-bis del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso cui pendono i giudizi per i quali la controversia abbia completato la fase istruttoria alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
che, affermata la necessità di valutare pregiudizialmente l’eccezione di nullità della clausola compromissoria, proposta dalla difesa della parte pubblica in ragione appunto della operatività della previsione in esame, il Collegio ritiene, in termini di rilevanza della questione, che la sopravvenuta normativa – che il rimettente reputa non direttamente disapplicabile, nonostante l’invocata contrarietà della stessa ai principí espressi dall’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali – trovi applicazione anche nel giudizio arbitrale a quo, non ancora pervenuto alla conclusione della fase istruttoria;
che, nel merito, il Collegio rimettente denuncia innanzitutto la violazione dei principí costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata del processo, con riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto – a parte il generico fine di risparmio di spesa – la previsione della decadenza di giudizi arbitrali correttamente instaurati e della attribuzione del contendere alla giurisdizione ordinaria, oltre che violare il principio codificato dall’art. 5 del codice di procedura civile, si tradurrebbe necessariamente in un notevole ed ingiustificato prolungamento del contendere, derivante anche dalla necessità di ripetere un’attività processuale già svolta, a cagione dell’impossibilità (stante il disposto dell’articolo 819-ter cod. proc. civ.) di dar luogo ad una translatio iudicii dal processo arbitrale al processo giurisdizionale;
che, sotto altro profilo, il Collegio denuncia la violazione dell’art. 25 Cost., in quanto – poiché la norma sancisce retroattivamente la decadenza di un giudizio regolarmente instaurato, quale quello a quo (profilandosi quindi «conseguenze che contrastano con l’applicazione della norma generale di cui all’art. 5 c.p.c.») – «si impone di chiarire se, essendo la competenza arbitrale cristallizzata in un contratto avente forza di legge tra le parti ed essendo il Collegio arbitrale già costituito questo potrà essere ritenuto giudice naturale»;
che, il rimettente – rilevando che la decadenza retroattiva riguarda unicamente le clausole compromissorie che accedono a contratti stipulati a norma dell’art. 5, comma 1, della richiamata legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), la cui ratio è quella di porre fine celermente a situazioni di emergenza ed alle relative controversie – ritiene che la norma contrasti anche con l’art. 3 Cost., in ragione della irragionevole contraddizione tra le finalità della normativa dell’emergenza e l’obiettivo di contenimento della spesa perseguito dalla norma medesima, nonché della altrettanto illogica discriminazione tra le parti degli arbitrati in corso, giacché l’azzeramento di un giudizio già inoltrato sarebbe condizionato da un elemento (il «completamento» della fase istruttoria) non uniformemente disciplinato dalla legge;
che, ancora, il Collegio denuncia la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e del «principio comunitario di legittimo affidamento», in quanto l’applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente un processo ritualmente avviato da mesi e legittimamente coltivato, sacrificando in termini irragionevoli il diritto di difesa dell’attore;
che, inoltre, il rimettente deduce che la previsione della decadenza di giudizi ritualmente instaurati, comporterebbe anche un’irragionevole lesione dell’autonomia privata (e quindi la violazione dell’art. 41, nonché degli artt. 24 e 25 Cost.);
che, infine, il Collegio denuncia la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., «in quanto sia il principio del giudice precostituito per legge che quello di ragionevole durata del processo sono sanciti, oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale, anche dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali»;
che si è costituita la società appaltatrice la quale, aderendo integralmente alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, ha concluso chiedendo la declaratoria di incostituzionalità della norma censurata, per i medesimi motivi esposti dal Collegio;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione, contestando innanzitutto le censure riferite agli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost., in quanto gli asseriti inconvenienti derivanti dall’azzeramento del processo potrebbero semmai esser fatti valere davanti al tribunale ordinario, ove questo dovesse negare l’operatività delle regole della translatio iudicii, sancite da norme diverse da quella oggetto di censura;
che, inoltre, in relazione alla denunciata violazione dell’art. 25 Cost., la difesa erariale sostiene l’inconferenza del richiamo ai principí di cui all’art. 5 cod. proc. civ., attesa la natura sostanziale della nullità sancita dalla norma censurata, e deduce altresì come il parametro evocato non si riferisca al giudizio arbitrale, che è di per sé un’eccezione al sistema del giudice naturale; mentre poi – negata altresì la configurabilità della dedotta irragionevolezza della norma denunciata, che viceversa soddisferebbe il fine del notevole risparmio di spesa per la P.A. sugli onorari degli arbitri – l’Avvocatura sostiene l’infondatezza della censura riferita alla violazione del principio dell’affidamento (ex art. 3 Cost.), giacché il menzionato art. 5 cod. proc. civ. non gode di copertura costituzionale;
che, infine – affermato che l’autonomia privata (garantita dall’art. 41 Cost.) non è incompatibile con la prefissione di limiti a tutela di interessi generali –, l’Avvocatura dello Stato, con riferimento alla denunciata violazione dei vincoli derivanti dalle convenzioni internazionali e dalla disciplina comunitaria, osserva che la norma censurata sarebbe conforme al principio del giudice naturale precostituito (rafforzandolo anzi in ragione del venir meno della operatività di una eccezione a tale principio) e non inciderebbe sulla durata del processo che non diventerebbe irragionevole per il sol fatto che debba essere adito ex novo il giudice ordinario.
Considerato che il Collegio arbitrale di Roma dubita – in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, «nonché al principio comunitario di legittimo affidamento» – della legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26;
che la disposizione prevede che: «Al fine di assicurare risparmi di spesa, i compromessi e le clausole compromissorie inserite nei contratti stipulati per la realizzazione d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e di grande evento di cui all’art. 5-bis del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, sono nulli. Sono fatti salvi i collegi arbitrali presso cui pendono i giudizi per i quali la controversia abbia completato la fase istruttoria alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
che, preliminarmente – dal contenuto delle doglianze, dalla natura dei parametri evocati e dalle argomentazioni svolte a sostegno della non manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità – è agevole desumere che il rimettente richiede una pronuncia che venga ad estendere la portata della clausola di salvezza contenuta nel secondo periodo di tale disposizione, attraverso una applicabilità della medesima a tutti i giudizi arbitrali instaurati al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge in oggetto;
che, ciò premesso in termini di individuazione del petitum e venendo al merito, il rimettente censura innanzitutto la norma per violazione degli articoli 2, 3, 24 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto – a parte il generico fine di risparmio di spesa – la previsione della decadenza di giudizi arbitrali correttamente instaurati e della attribuzione del contendere alla giurisdizione ordinaria, oltre che violare il principio codificato dall’art. 5 del codice di procedura civile, si tradurrebbe necessariamente in un notevole ed ingiustificato prolungamento del contendere, derivante anche dalla necessità di ripetere un’attività processuale già svolta, a cagione dell’impossibilità di dar luogo ad una translatio iudicii dal processo arbitrale al processo giurisdizionale;
che questa Corte (con la sentenza n. 376 del 2001 e con le ordinanze n. 169 del 2009, n. 122 e n. 11 del 2003) si è già pronunciata, con riferimento a profili in parte coincidenti, nel senso della infondatezza dei dubbi a suo tempo espressi circa la legittimità costituzionale della analoga normativa di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180 (Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania), secondo la quale: «Le controversie relative alla esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali non possono essere devolute a collegi arbitrali. Sono fatti salvi i lodi già emessi e le controversie per le quali sia stata già notificata la domanda di arbitrato alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
che, anche nel presente giudizio – premesso che «la discrezionalità di cui il legislatore gode nell’individuazione delle materie sottratte alla possibilità di compromesso incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza» (citata sentenza n. 376 del 2001) –, va escluso che (come già allora rilevato per le opere di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali) siffatto limite possa dirsi superato dalla normativa oggi in esame, considerata l’identità del «rilevante interesse pubblico» di cui risulta permeata anche la materia relativa alla realizzazione d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza, «in ragione dell’elevato valore delle relative controversie e della conseguente entità dei costi che il ricorso ad arbitrato comporterebbe per le pubbliche amministrazioni interessate» (ordinanza n. 162 del 2009);
che, pertanto – poiché «le scelte legislative in materia di arbitrato nei lavori pubblici necessariamente si giustificano in funzione delle specifiche contingenze che caratterizzano le singole iniziative della pubblica amministrazione (cfr. sentenza n. 152 del 1996)» – va ribadito, in termini generali, che la valutazione del legislatore di escludere la compromettibilità in arbitri delle controversie in questione, mediante la declaratoria di nullità delle relative clausole compromissorie, «deve essere apprezzata, sul piano della relativa non manifesta irragionevolezza, in funzione di tutte le singole componenti (siano esse di ordine economico, di ordine funzionale, o di opportunità) che concorrono ad orientare la scelta di riservarle al controllo giurisdizionale» (ordinanza n. 162 del 2009); mentre, la sottolineata rilevante entità dei costi degli arbitrati gravanti sulla P.A. conferma che la previsione di tale esclusione non appare certamente incongrua (e tantomeno manifestamente irragionevole) rispetto allo specifico fine del risparmio di spesa esplicitato dalla norma impugnata;
che, dunque, la conseguenza della perdita di un parte di attività concretamente espletata negli arbitrati in corso (che, pur sempre, traggono origine dalla libera scelta delle parti di rinunciare alla giurisdizione, attraverso un atto di disposizione in senso negativo del diritto di azione: sentenza n. 221 del 2005), appare ampiamente giustificata nel contesto del bilanciamento con le esigenze, tanto più sentite in un contesto di crisi economica globale, di contenimento della spesa pubblica;
che, poi, con riguardo alla argomentazione riferita alla necessità (incidente in senso negativo sul principio di ragionevole durata del processo e su quello di cui all’art. 5 cod. proc. civ.) per i soggetti interessati di avviare ex novo l’azione davanti al giudice ordinario, senza potersi dar luogo alla translatio iudicii dal processo arbitrale a quello giurisdizionale (che per il Collegio non sarebbe consentita ex art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ.), va ritenuto che – anche a voler ritenere rilevante una tale problematica per il giudice a quo, considerato che questa Corte ha affermato che «la conservazione degli effetti prodotti dalla domanda originaria discende non già da una dichiarazione del giudice che declina la propria giurisdizione, ma direttamente dall’ordinamento» (sentenza n. 77 del 2007) – il rimettente, in ragione della interpretazione ad essa data, avrebbe dovuto, semmai, censurare tale ultima previsione codicistica;
che – quanto alla denunciata violazione dell’art. 25 Cost., che, secondo il rimettente deriverebbe dalla previsione di una decadenza retroattiva di un giudizio regolarmente instaurato, quale quello a quo, profilandosi quindi «conseguenze che contrastano con l’applicazione della norma generale di cui all’art. 5 c.p.c.» – va innanzitutto ribadito che il testo dell’evocato parametro fa riferimento al giudice naturale precostituito per legge (ordinanze n. 162 del 2010 e n. 11 del 2003) e non a quello, derogatorio, previsto contrattualmente dalle parti;
che, peraltro, questa Corte ha ritenuto che – nel contesto della ricordata ampia discrezionalità di cui gode il legislatore in materia – gli interventi legislativi modificativi della competenza aventi incidenza anche sui processi in corso non sono necessariamente lesivi dell’art. 25 Cost. (sentenze n. 417 e n. 237 del 2007), e che «il principio costituzionale del giudice naturale viene rispettato allorché la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice naturale – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);
che tale affermazione consente anche di superare il profilo riguardante l’asserita violazione dell’art. 5 cod. proc. civ., che, quale norma processuale avente lo scopo di favorire la perpetuatio iurisdictionis (ordinanza n. 363 del 2008), è servente alla realizzazione dei singoli principí costituzionali in materia, ma non può assurgere ad autonomo parametro di giudizio di costituzionalità;
che, il rimettente denuncia altresì la violazione dell’art. 3 Cost., in considerazione della asserita irragionevole contraddizione tra le finalità della normativa dell’emergenza richiamata dalla disposizione impugnata e l’obiettivo di contenimento della spesa perseguito dalla disposizione medesima, nonché della altrettanto illogica discriminazione tra le parti degli arbitrati in corso, giacché l’azzeramento di un giudizio già inoltrato sarebbe condizionato da un elemento (il «completamento» della fase istruttoria) non uniformemente disciplinato dalla legge;
che, in proposito, va rimarcato che – ritenuta congrua l’esclusione del ricorso ad arbitri rispetto al fine del risparmio di spesa, esplicitato dalla norma in esame (in un contesto in cui necessita di affermazione l’esigenza, globalmente sentita, di contenimento della spesa pubblica) – viene meno qualsiasi dubbio di irragionevolezza della norma censurata; laddove, peraltro, non appare possibile operare una comparazione (onde evincerne una contraddizione, come asserito dal rimettente) tra lo scopo perseguito (con misure ritenute adeguate) dalla disposizione in esame e la teleologicamente del tutto eterogenea ratio della legislazione riguardante gli interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza (di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992), che la norma impugnata richiama solo al fine di delimitare l’ambito di operatività della nullità delle clausole compromissorie de quibus;
che, d’altra parte, questa Corte ha già chiarito che nessuna lesione del principio di eguaglianza può ravvisarsi nel fatto che controversie di uguale natura ed oggetto siano assoggettate o meno al divieto di arbitrato a seconda della fase in cui si trova il giudizio al momento dell’intervento del legislatore; infatti, il naturale fluire del tempo costituisce idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive, cosicché non sussiste alcuna ingiustificata disparità di trattamento per il solo fatto che situazioni pur identiche siano soggette a diversa disciplina ratione temporis (sentenza n. 376 del 2001 ed ordinanza n. 162 del 2009), mentre costituisce esercizio della discrezionalità del legislatore la scelta (in sé non arbitraria) di collegare l’operatività della clausola di salvezza all’intervenuto completamento della fase istruttoria (regolamentata dall’art. 816-ter cod. proc. civ.) e quindi ad un determinato formale stato di avanzamento del giudizio arbitrale;
che altra censura è sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. ed al «principio comunitario di legittimo affidamento», in quanto l’applicazione della norma vanificherebbe retroattivamente un processo ritualmente avviato da mesi e legittimamente coltivato, sacrificando in termini irragionevoli il diritto di difesa dell’attore;
che – premessa la assoluta genericità del riferimento al «principio comunitario di legittimo affidamento», che il rimettente si limita ad associare in combinato disposto con gli altri due evocati principí costituzionali – la giurisprudenza costante di questa Corte ritiene che «nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione)»; unica condizione essendo «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto» (sentenze a n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009);
che, invero, come già ritenuto, l’intervento sugli arbitrati, in quanto finalizzato al risparmio di spesa, non può dirsi irragionevole, giacché tra l’altro «l’assetto recato dalla norma denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e non può, pertanto, [essa] non essere attenta alle esigenze di bilancio» (sentenza n. 228 del 2010); ed, inoltre, la non configurabilità di una regolamentazione irrazionale determina l’infondatezza anche dell’ulteriore profilo di censura riferito alla asserita violazione del diritto di difesa dell’attore, che – al pari della controparte – è libero di proporre in ogni tempo il processo davanti all’autorità giudiziaria;
che il rimettente denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 24, 25 e 41 Cost., in quanto la previsione della decadenza di giudizi ritualmente instaurati comporterebbe anche un’irragionevole lesione dell’autonomia privata;
che, tuttavia, questa Corte ha già sottolineato che la riconosciuta sussistenza del «rilevante interesse pubblico, di cui risulta permeata la materia relativa alle opere di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali» (considerazione che si deve estendere alla analoga materia afferente la realizzazione d’interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza), consente di disattendere anche la censura riguardante una asserita irragionevole limitazione della autonomia privata derivante dal contestato divieto di devoluzione ad arbitri delle controversie de quibus (ordinanza n. 162 del 2009), poiché l’art. 41 Cost. espressamente «tutela l’autonomia contrattuale in quanto strumento della libertà di iniziativa economica, il cui esercizio può tuttavia essere limitato per ragioni di utilità economico-sociale, che assumono anch’esse rilievo a livello costituzionale (sentenze n. 279 del 2006 e n. 264 del 2005)» e coerentemente anche l’art. 806 cod. proc. civ. prevede la possibilità di devoluzione ad arbitri delle controversie «salvo espresso divieto di legge»;
che, per i vari motivi espressi, tutte le censure finora esaminate sono manifestamente infondate;
che, infine – quanto alla questione riferita all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione del principio del giudice precostituito per legge e di quello di ragionevole durata del processo sanciti, oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale, anche dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché dall’art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali – va rilevato che la prospettazione di tale ultima censura appare basata apoditticamente sulla mera affermazione che tali principí risultino «sostanzialmente corrispondenti» a quelli «espressi dalla Costituzione italiana»;
che così argomentando il Collegio rimettente – che, quanto al richiamo alla Carta di Nizza, neppure si pone il problema pregiudiziale dell’applicabilità della normativa comunitaria alla controversia in esame – non dà, altresì, contezza alcuna né dell’esistenza di specifiche interpretazioni nel senso auspicato da parte della Corte di Strasburgo dell’evocato principio della CEDU, né di una valenza della norma della Carta recepita nel Trattato di Lisbona che consentano di configurare (almeno in tesi) la eventuale operatività di un plus di tutela convenzionale o comunitaria rispetto a quella interna (sentenza n. 317 del 2009);
che, pertanto, tale ultima censura è manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 26, sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione – dal Collegio arbitrale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 15, comma 3, del decreto-legge n. 195 del 2009, sollevate – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 41, 111, primo e secondo comma, Cost. – dal medesimo Collegio arbitrale con la stessa ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2011.