Il rimborso delle spese generali spetta all’avvocato in maniera automatica – Cassazione Civile, Sentenza n. 2170/2011
Il rimborso delle spese generali spetta all’avvocato in via automatica e con determinazione “ex lege”, dovendosi, pertanto, ritenere compreso nella liquidazione degli onorari e diritti di procuratore nella misura del 10%, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza.
Lo afferma la Cassazione nella sentenza n. 2170 depositata lo scorso 31 gennaio 2011. Nella fase esecutiva, quindi, la relativa voce può esere legittimamente inserita dal professionista anche se sia stata omessa nel dispositivo della sentenza.
(Litis.it, 5 febbraio 2011)
Cassazione, Civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 2170 del 31/01/2011
Presidente Oddo – Relatore D’Ascola
Svolgimento del processo
1) Nel 1995/97 l’avv. [OMISSIS] assisteva professionalmente [OMISSIS] una controversia relativa a compravendita immobiliare; nel 2000 chiedeva al tribunale di Bergamo la liquidazione dei propri compensi con il rito di cui all’art. 23 l. 794/42.
Il tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, ma questa Corte, con sentenza 13342/03, cassava il provvedimento e riconosceva il diritto dell’istante a richiedere il compenso, ancorché fosse relativo all’attività stragiudiziale finalizzata alla conciliazione della controversia.
Riassunto il giudizio, il tribunale con decreto collegiale del 20 maggio 2004 riduceva il residuo compenso richiesto da circa 19 milioni a circa 14 milioni di lire, facendo riferimento alle contestazioni della resistente, in quanto non contraddette dal richiedente.
Il [OMISSIS] ha proposto ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., notificato il 13 maggio 2005. La [OMISSIS] è rimasta intimata. È stata depositata memoria.
Motivi della decisione
2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 28 della legge 794/42, nonché omessa pronuncia e omessa motivazione.
Deduce che la nota spese prodotta esplicitava il dettaglio delle richieste per spese, anticipazioni, diritti e onorari, specificando di questi ultimi le singole voci; che il tribunale avrebbe ridotto drasticamente gli onorari, con una motivazione che non consentirebbe di verificare la congruità della liquidazione; che era stato chiesto di tener conto della complessità dell’opera prestata; che il provvedimento aveva solo apparentemente motivato la riduzione facendo riferimento alla mancata contestazione.
La censura non può essere accolta.
Il Tribunale ha riassunto la vicenda dando atto che la [OMISSIS] si era costituita nel procedimento di rinvio e aveva contestato la pretesa, tra l’altro: b) richiamandosi alle doglianze circa l’an di quelle spese che aveva già contestato nella precedente procedura; c) rilevando l’inammissibilità della domanda relativa agli interessi ed alla rivalutazione monetaria e “alla condanna alle spese quale somma ancora dovuta”. Il tribunale ha recepito queste difese, con motivazione per relationem, affermando che potevano essere accolte, perché non contraddette in alcun modo dal procuratore istante.
Orbene, occorre chiarire che ratione temporis l’odierno ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, secondo comma, Cost. è ammesso solo per violazione di legge, e, quindi, con esso può farsi valere il vizio di motivazione solo ove esso si risolva in violazione di legge, e cioè in caso di radicale mancanza (o di mera apparenza) della motivazione (ex multis Cass. 10428/05; 7694/99; 3197/02).
Nella specie la motivazione data dal provvedimento impugnato non è assente o apparente, atteso che il procedimento logico seguito dal giudice consente di individuare la “ratio decidendi”, basata sulla non contestazione dei rilievi di merito già addotti dalla resistente nella precedente fase del giudizio e ribaditi davanti al tribunale.
Non avendo questa Corte accesso agli atti di causa, in relazione a un vizio in iudicando, il ricorrente doveva riportare, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sparti salienti degli atti di causa, onde far constare che, contrariamente a quanto ritenuto dai tribunale, vi era in atti contestazione specifica dei rilievi di fatto portati alla sua pretesa, che questi ultimi erano inconsistenti e che apoditticamente erano stati ritenuti decisivi dal tribunale. Solo in tal modo avrebbe potuto emergere la mera apparenza della motivazione.
In mancanza, la censura risulta formulata in modo inammissibile, restando confermata la sufficienza della succinta motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, idonea a far comprendere senza equivoci alle parti i fondamenti logici della decisione.
3) Il secondo motivo lamenta violazione della tariffa professionale, omessa pronuncia sulla riduzione dei compensi richiesti e sulla mancata maggiorazione del 10% ex art. 15 dm 585794 “e in relazione agli interessi”.
Quanto alla riduzione dei compensi, la censura fa riferimento alle ragioni esposte nel primo motivo, sicché la questione risulta già esaminata. Quanto alla maggiorazione del 10% prevista dalla disposizione citata, il Collegio intende dare continuità all’insegnamento secondo il quale il rimborso delle spese generali spetta all’avvocato in via automatica e con determinazione “ex lege”, dovendosi, pertanto, ritenere compreso nella liquidazione degli onorari e diritti di procuratore nella misura del 10%, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza (Cass. 23053/09; 10416/03; 20321/05). Nella specie il ricorso da atto in modo veritiero che la voce era stata espressamente indicata nella nota spese, ditalché non vi può essere dubbio alcuno, anche nell’eventuale fase esecutiva, circa la spettanza di tale voce, pur ove si ritenga che nel procedimento disciplinato dalla legge 794, a differenza di quanto avviene nella liquidazione ex art. 91 cpc, il rimborso forfetario sia subordinato ad apposita domanda del professionista.
Infine, con riferimento agli interessi, la censura è formulata in modo incomprensibile, atteso che essa si concentra in due sole righe del ricorso, non vengono indicati i presupposti di fatto della pretesa, né a qual tipo di interessi sia fatto riferimento.
La doglianza, presentata come omessa pronuncia, è palesemente inammissibile.
Consolidata giurisprudenza insegna che “affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività” (SU 15781/05).
L’assenza di gran parte di siffatti indispensabili riferimenti impedisce l’esame della censura.
4) Il terzo motivo lamenta omessa/erronea pronuncia in ordine alle spese relativa al giudizio di cassazione, che non sarebbero state liquidate. Consapevolmente il ricorso da atto della circostanza che il provvedimento impugnato ha espressamente liquidato tali spese. In motivazione si legge che le spese del procedimento sono liquidate a carico della soccombente, “comprensive delle spese relative al ricorso per cassazione, in conformità alla mota allegata nella parte dispositiva”.
Nel dispositivo si ripete che le spese sono liquidate, “ivi compreso il procedimento per cassazione” in complessivi Euro 2484, 92, successivamente specificando le tre voci. È quindi evidente che liquidazione c’è stata e che, al contrario di quanto asserisce il ricorso, vi è anche possibilità di controllare l’applicazione della tariffa e di denunciarne eventuali violazioni, atteso che il giudice di merito ha ritenuto di ancorare la propria liquidazione “alla nota allegata”.
Pertanto il ricorso non poteva utilmente attaccare il provvedimento sotto il profilo dell’omessa pronuncia. Nel motivo si deduce che la nota spese da Euro 2.484,92 comprendeva il solo procedimento camerale (fase originaria e fase relativa alla riassunzione), mentre altra nota, comprendente la fase del ricorso per cassazione sarebbe stata ignorata dal tribunale. Se così fosse, si sarebbe in presenza di errore di fatto, per la sussistenza di una svista nell’individuazione del documento (la c.d. “nota allegata”) che includeva anche le spese della fase di cassazione.
La denuncia di detto ipotizzato errore non poteva avvenire mediante ricorso per cassazione, ma doveva essere fatta valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 cod. proc. civ.. Qualora invece il ricorrente volesse dolersi della inadeguata considerazione di un documento, la censura, per i ricordati limiti del ricorso straordinario, ricordati supra sub 2, sarebbe parimenti inammissibile, atteso che il ricorso con il quale si lamenti l’omesso esame di documenti può determinare non l’inesistenza, ma un mero vizio di motivazione, come tale, non denunziabile con il ricorso ex art. 111 Cost..
Segue da quanto esposto il rigetto del ricorso senza alcuna pronuncia sulle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Depositata in cancelleria il 31 gennaio 2011