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Al giudice tributario le controversie su contributo per l’iscrizione nell’albo degli Avvocati e Praticanti – Cassazione Civile, Sent. 1782/2011

Al pari di diritti camerali e bollini Siae, anche le quote a favore del Cnf sono “tributi di ogni genere e specie”

In virtù della nuova formulazione dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, spetta al giudice tributario decidere le controversie relative al contributo annuale dovuto per l’iscrizione nel registro dei praticanti e nell’albo degli Avvocati, considerata la natura tributaria del contributo stesso.
In questi termini si sono espresse le sezioni unite della Cassazione (sentenza 1782 del 26 gennaio), chiamate a decidere un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.
 
I fatti di causa
La vicenda ha origine dall’impugnazione, innanzi al Giudice di pace di Roma, da parte di un gruppo di avvocati, di un avviso con il quale l’Agente della riscossione capitolino chiedeva il pagamento – a favore del Cnf (Consiglio nazionale forense) – del contributo annuale previsto dall’articolo 14 del Dlgs Lgt 382/1944, contributo che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma aveva deciso di non continuare più a riscuotere, ritenendo che lo stesso non fosse dovuto.
Costituendosi in giudizio, il Cnf propone ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione a favore del giudice amministrativo, o, in via subordinata, a favore di quello tributario.
 
In particolare, pone in evidenza come dalla lettura dell’atto di citazione emerge che gli attori contestano non il singolo provvedimento adottato nei loro rispettivi confronti, ma l’atto generale (presupposto) con cui il Cnf ha deciso di richiedere a tutti gli avvocati il contributo annuale, sulla base del disposto del citato articolo 14.
In altri termini, ad avviso del Consiglio nazionale forense non viene contestato l’atto impositivo, o il quantum della pretesa o la possibile conseguenza derivante dal mancato pagamento, pertanto la giurisdizione in materia spetterebbe al giudice amministrativo.
 
Infine, in via subordinata, il Cnf prospetta la possibilità che la controversia sia attribuibile alla giurisdizione tributaria, in virtù dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, il quale assegna a tale giurisdizione, appunto, i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati.
 
La decisione della Cassazione
Le sezioni unite ritengono sussistere, nella fattispecie in esame, la giurisdizione del giudice tributario nella considerazione che è irrilevante la circostanza secondo cui, l’articolo 14 del Dlgs Lgt 382/1944, qualifichi come “contributo” la prestazione dovuta dagli iscritti nell’albo per le spese del funzionamento del Cnf.
Tale denominazione, prosegue ancora la Corte, “…è irrilevante al fine di determinare (od escludere) la natura tributaria della prestazione…” in quanto la stessa presenta comunque “…le stesse caratteristiche e scopi della ‘tassa’ (così denominata, secondo un linguaggio tipico del diritto tributario) prevista dall’art. 7 del medesimo decreto”.
L’articolo 7, al comma 2, dispone testualmente che “il Consiglio (dell’Ordine) può, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell’ordine o collegio, stabilire una tassa annuale, una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per l’iscrizione nell’albo, nonchè una tassa per il rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari”.
 
Secondo l’interpretazione delle sezioni unite, il sistema normativo riconosce al Cnf “…una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all’ordine. Siffatta ‘tassa’ si configura come una ‘quota associativa’ rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione all’albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione”.
In altri termini, colui che intende esercitare una delle professioni “protette”, ossia per cui è prevista l’iscrizione a uno specifico albo, deve necessariamente iscriversi sostenendone il relativo costo (la tassa di iscrizione e la tassa annuale), il cui importo, tuttavia, non è commisurato al costo del servizio reso o al valore della prestazione erogata, bensì alle spese necessarie al funzionamento dell’ente stesso, al di fuori di un rapporto sinallagmatico con l’iscritto.
 
Ne consegue che tale contributo ha natura tributaria in quanto la prestazione imposta – che costituisce il presupposto al legittimo esercizio della professione per la quale è necessaria l’iscrizione in un determinato albo – è connessa a una spesa pubblica relativa alla provvista dei mezzi finanziari necessari al Cnf (in qualità di ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo specifico) di svolgere la sua funzione pubblica di tutela dei cittadini, potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti, circa la legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni.
 
Considerazioni
La sentenza è in linea con un filone giurisprudenziale che tende ormai ad ampliare l’ambito della giurisdizione tributaria, anche alla luce delle modifiche legislative – intervenute nel 2001, prima, e nel 2005, poi – che hanno ritoccato l’articolo 2 del Dlgs 546/1992.
A tal riguardo, ricordiamo che il richiamato articolo 2 – rubricato “Oggetto della giurisdizione tributaria” – dapprima è stato oggetto delle modifiche apportate dall’articolo 12 della legge 448/2001 che, a decorrere dal 1° gennaio 2002, ha attribuito alla competenza dei giudici tributari “i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio …”.
Successivamente, l’articolo 3-bis del Dl 203/2005, a far data dal 3 dicembre 2005, ha aggiunto, dopo le parole “i tributi di ogni genere e specie”, la precisazione “comunque denominati”, estendendo così la giurisdizione tributaria a tutte le tipologie impositive di prestazioni patrimoniali imposte, scaturenti dalla legge, tese a colpire manifestazioni di capacità contributiva.
In buona sostanza, aggiungendo l’inciso, il legislatore ha inteso evidenziare l’irrilevanza del principio “nominalistico”, al solo fine di stabilire la natura tributaria o meno di una determinata prestazione pecuniaria e, di conseguenza, l’assoggettamento o meno della relativa controversia alla giurisdizione delle Commissioni tributarie.
 
Ne deriva che – come chiarito anche nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 10/2006 – ogni tributo, anche di nuova istituzione, rientra automaticamente nella giurisdizione tributaria, senza necessità di espresse disposizioni al riguardo.
E proprio sulla base della nuova formulazione del citato articolo 2, le sezioni unite hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice tributario anche per le controversie concernenti il pagamento del diritto annuale di iscrizione in albi e registri delle Camere di commercio (Cassazione, ssuu, sentenze 13549/2005, 10469/2008 e 1667/2009), nonché, da ultimo, quelle relative al contrassegno Siae (sentenza 1780/2011).

Marco Denaro
nuovofiscooggi.it

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