Motivazione dei provvedimenti di custodia cautelare e insussistenza degli indizi ex art. 273 c.p.p. – Cassazione Penale, Sentenza n. 1081/2011
La motivazione dei provvedimenti che impongono la misura cautelare della custodia in carcere, necessariamente sommaria, non può trasformarsi in una pronuncia anticipatoria del conclusivo giudizio finale, anche se deve, comunque, sempre fondarsi su fatti e circostanze concrete e ragionevolmente significative nella prospettiva dell’ipotesi criminosa formulata nei confronti dell’indagato onde consentire la ricostruzione dell’iter argomentativo attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione adottata.
Ne consegue che l’insussistenza degli indizi richiesti dall’art. 273 cod. proc. pen. è deducibile in sede di legittimità solo se si traduce in mancanza assoluta o illogicità manifesta della motivazione o in violazione di specifiche norme, sicché non è consentito censurare la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la concludenza e rilevanza dei dati probatori, ove l’apprezzamento sia adeguatamente motivato.
In materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale le doglianze espresse in un ricorso per cassazione e attinenti al difetto sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se si traducono in un motivo di annullamento che può essere ravvisato unicamente nella violazione dell’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen., il quale, per essere rilevabile in sede di legittimità, deve rientrare nelle previsioni di cui all’art. 606 comma primo lett. e) stesso codice.
(Litis.it, 28 Gennaio 2011)
Cassazione Penale, Sezione Terza, Sentenza n. 1081 del 18/01/2011
Con ordinanza 16.08.2010 il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame proposta da [OMISSIS] avverso l’ordinanza 3.08.2010 con cui il GIP del Tribunale di Latina gli ha imposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di violenza sessuale aggravata (palpeggiamenti di zone erogene di ragazze minori degli anni 14 che facevano il bagno nelle acque antistanti il lido [OMISSIS].
Rilevava la Corte che la gravità indiziaria emergeva dalle denunce di due giovani bagnanti che autonomamente avevano riferito in modo circostanziato sul comportamento dall’imputato, perfettamente riconosciuto, che le aveva palpeggiate in acqua, nonché dalla deposizione del bagnino, allertato da una delle vittime, che aveva osservato l’uomo che si posizionava dietro le ragazzine aspettando che le onde le trascinassero verso di lui.
Costui proponeva ricorso per cassazione denunciando violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. e mancanza di motivazione sull’individuazione dell’autore del reato essendosi gli accusatori contraddetti su punto.
Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.
Il ricorso, che non investe le esigenze cautelari, è infondato perché la decisione impugnata non presenta i denunciati vizi di motivazione essendo stati correttamente individuati gravi indizi di colpevolezza a carico dell’imputato.
Nel presente procedimento incidentale gli indizi, per i quali non sono richiesti, come per l’art. 192 n. 2 c.p.p., i requisiti dell’univocità e della concordanza, devono essere gravi, idonei, cioè, a dimostrare l’esistenza di un reato e la rilevante probabilità che l’imputato ne sia autore.
Deve trattarsi di elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che consentono di prevedere che saranno sufficienti a dimostrare la responsabilità, fondando nel contempo una qualificata probabilità di colpevolezza.
Sulle valutazioni effettuate a tal fine, il compito del giudice di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza e logicità della motivazione, la cui mancanza o manifesto vizio risultino dal testo del provvedimento impugnato, essendo inibito il controllo sull’attendibilità del fonte di prova allorquando essa sia stata sottoposta alla verifica di attendibilità oggettiva e soggettiva, nei limiti consentiti dalla fase processuale di un’indagine preliminare.
Ha anche affermato questa Corte che “la motivazione dei provvedimenti che impongono la misura cautelare della custodia in carcere, necessariamente sommaria, non può trasformarsi in una pronuncia anticipatoria del conclusivo giudizio finale, anche se deve, comunque, sempre fondarsi su fatti e circostanze concrete e ragionevolmente significative nella prospettiva dell’ipotesi criminosa formulata nei confronti dell’indagato onde consentire la ricostruzione dell’iter argomentativo attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione adottata” (Cassazione Sezione 1^, 21.10.1993, Lombardo, RV. 196907).
Ne consegue che l’insussistenza degli indizi richiesti dall’art. 273 è deducibile in sede di legittimità solo se si traduce in mancanza assoluta o illogicità manifesta della motivazione o in violazione di specifiche norme, sicché non è consentito censurare la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la concludenza e rilevanza dei dati probatori, ove l’apprezzamento sia adeguatamente motivato (cfr. Cassazione Sezione 1^, n.707/1992, DA vino, RV. 189227: “in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale le doglianze espresse in un ricorso per cassazione e attinenti al difetto sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se si traducono in un motivo di annullamento che può essere ravvisato unicamente nella violazione dell’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen., il quale, per essere rilevabile in sede di legittimità, deve rientrare nelle previsioni di cui all’art. 606 comma primo lett. e) stesso codice. Ne consegue che esula dalle funzioni della Corte di Cassazione la valutazione sulla concreta sussistenza tanto degli indizi quanto delle esigenze cautelari, ciò rientrando fra i compiti esclusivi dei giudici del merito, dapprima del giudice cui e stata chiesta l’applicazione della misura, e poi, eventualmente, del giudice del riesame.
Non sono, quindi, proponibili censure che richiamano circostanze di fatto implicitamente esaminate dal Tribunale e che tendono sostanzialmente a una diversa valutazione dei dati fattuali su cui è fondato il convincimento espresso in sede di merito”.
Nel caso di specie, il Tribunale ha osservato i sopraindicati principi, avendo riconosciuto, con motivazione logica e coerente, la serietà indiziaria degli elementi di accusa provenienti da diverse persone che, al di là delle discrepanze di non rilevante spessore su aspetti marginali della vicenda, convergono nell’indicare l’indagato quale autore di fatti, di chiara connotazione sessuale, caduti sotto la loro diretta percezione.
Non risponde al vero, quindi, che le acquisizioni delle indagini preliminari siano state travisate in danno dell’indagato, essendo emersi a sostegno della gravità indiziaria validi elementi, in precedenza indicati, sorretti da oggettivi dati di riscontro.
I rilievi difensivi, di natura fattuale, sono stati implicitamente valutati e correttamente ritenuti inconsistenti al contrario di quelli offerti dall’accusa che, sottoposti ad adeguato vaglio critico, consentivano di pervenire al ragionevole convincimento del chiaro e inscindibile nesso tra gli indizi e la condotta criminosa riferibile all’indagato.
Per il rigetto del ricorso, che non censura le ritenute esigenze cautelari, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2011