Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – Corte Costituzionale, Ordinanza n. 13 del 12/01/2011
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica); dell’articolo 16, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 1, commi 16, lettera b) e 22, lettera o), della citata legge n. 94 del 2009; dell’articolo 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), introdotto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli articoli 2, 3, 25, 27, 97 e 117, primo comma, della Costituzione nonché al principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale, dal Giudice di pace di Giulianova, dal Giudice di pace di Nardò e dal Giudice di pace di Abbiategrasso
Corte Costituzionale, Ordinanza n. 13 del 12/01/2011
Straniero – Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – Previsione come reato del fatto dello straniero che si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico dell’immigrazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 10-bis (introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica») e 16, comma 1 (modificato dall’art. 1, comma 16, lettera b), e comma 22, lettera o), della legge n. 94 del 2009) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e dell’articolo 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), introdotto dall’art. 1, comma 17, lettera d) della legge n. 94 del 2009, promossi dal Giudice di pace di Giulianova con ordinanza del 23 novembre 2009, dal Giudice di pace di Nardò con ordinanza del 10 dicembre 2009 e dal Giudice di pace di Abbiategrasso con tre ordinanze del 18 febbraio 2010, rispettivamente iscritte ai numeri 19, 149 e da 158 a 160 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 6, 22 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ordinanza del 23 novembre 2009 (r.o. n. 19 del 2010), il Giudice di pace di Giulianova ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 25, 27, e 117, primo comma, della Costituzione, nonché in relazione agli articoli 5 e 6 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, ratificata con legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001) – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a) della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);
che il giudice rimettente riferisce preliminarmente: a) di dover giudicare della condotta di W.J., nato in Cina ed ivi residente, in Italia senza fissa dimora, imputato del reato di cui alla disposizione censurata «(in relazione agli artt. 4 e 5 del medesimo testo unico)»; b) di aver emesso, all’udienza tenuta il 5 ottobre 2009, una propria precedente ordinanza, «in aderenza alla rilevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 10 bis del citato dlgs 286/98, sollevata dalla Procura della Repubblica di Teramo»; c) di avere, con detta ordinanza, provveduto – «prendendo atto delle osservazioni» contenute nell’istanza presentata dal Pubblico Ministero e «previa sospensione del procedimento» – a rimettere gli atti del procedimento a questa Corte, «per i provvedimenti successivi e consequenziali»; d) di aver ottenuto in restituzione gli atti medesimi, per mancanza degli elementi che consentissero di ricondurre il documento trasmesso al paradigma del provvedimento di cui all’art. 23 della legge n. 87 del 1953; e) di dovere, pertanto, «ritornare alla propria ordinanza dibattimentale», i cui termini e motivi, «anche se non riportati, sono stati sufficientemente esposti in dibattimento»; f) di partecipare, «comunque», in adesione «all’invito di Codesta Suprema Corte e nel rispetto dell’art. 23 della citata legge n. 87/53», le successive «adeguate motivazioni»;
che, nel considerare come condotta penalmente rilevante il semplice «ingresso» o il «trattenimento illegale nel territorio italiano di qualsiasi cittadino extracomunitario», la disposizione censurata risulterebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 117, primo comma, e 25 Cost., in relazione agli articoli 5 e 6 del citato Protocollo addizionale;
che, secondo la ratio ed i principi ispiratori di queste ultime disposizioni, «il migrante non può essere criminalizzato per il suo ingresso irregolare in uno stato, restando salve tutte le altre ipotesi di incriminazione per fatti diversi», non apparendo «giusto e soprattutto utile punire penalmente» chi sia, piuttosto, «oggetto di organizzazioni criminali transnazionali», le quali dovrebbero esse «costituire il vero obiettivo della risposta repressiva»;
che, non risultando «possibile alcuna interpretazione conforme» della norma censurata, parrebbe «insuperabile» una dichiarazione della sua illegittimità costituzionale;
che, d’altra parte, la disposizione in esame contrasterebbe con gli artt. 2, 25 e 27 Cost., non sembrando «che le condotte incriminate siano offensive di alcun bene giuridico», a cominciare da quello della «sicurezza pubblica»;
che, infatti, in base al «principio di necessaria offensività del diritto penale», non sarebbe «consentito al legislatore introdurre sanzioni penali non collegate a condotte lesive di interessi giuridicamente rilevanti, in ordine ai quali non sia possibile effettuare alcun giudizio di disvalore»;
che punire, come nella specie, condotte meramente espressive «di una condizione individuale, la condizione di migrante», contrasterebbe, perciò, «non solo con il principio di eguaglianza» (assumendo l’incriminazione «un connotato discriminatorio basato su condizioni soggettive»), «ma anche con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere punito solo per fatti materiali e non già per condizioni personali»;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile;
che, secondo la difesa erariale, il giudice rimettente non solo non avrebbe «minimamente argomentato sulla rilevanza nel giudizio a quo e sulla non manifesta infondatezza dei profili di incostituzionalità dedotti dall’ufficio del P.M.», ma delle osservazioni di quest’ultimo si sarebbe «limitato a prendere atto», rimettendole a questa Corte «acriticamente senza indicazione delle norme della Costituzione ritenute violate»;
che, con ordinanza del 10 dicembre 2009 (r.o. n. 149 del 2010), il Giudice di pace di Nardò ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 25, 27 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 10-bis (limitatamente all’ipotesi di soggiorno illegale) e 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 – come, rispettivamente, introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a) della legge n. 94 del 2009 e modificato dall’art. 1, comma 16, lettera b) e comma 22, lettera o) della medesima legge n. 94 del 2009 – nonché dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), come introdotto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della predetta legge n. 94 del 2009;
che la rilevanza della questione – sollevata in un procedimento penale iscritto a ruolo a carico di H.A. – riguarderebbe la «statuizione sulla sanzione da comminare all’imputato, in caso di riconoscimento di responsabilità penale», conseguente all’applicazione della normativa censurata;
che, secondo il giudice rimettente, «la criminalizzazione di una condizione (status) che fino alla data di entrata in vigore della novella era di competenza esclusiva dell’autorità amministrativa» violerebbe «i princìpi costituzionali di materialità e offensività del diritto penale», oltre che di «uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza», di cui, in combinato disposto, ai richiamati artt. 3, 25 e 27 Cost., nonché «i princìpi generali che informano la materia penale»;
che la sanzione penale prevista risulterebbe, infatti, da un lato, «scollegata al fatto materiale e colpevole», connettendosi piuttosto «al modo di essere del soggetto (immigrato)» e, dall’altro, «priva della compromissione del bene giuridico protetto (lesione o messa in pericolo)», senza che le condotte incriminate possano, con ciò, essere considerate «indice di pericolosità sociale» e senza che, d’altra parte, la sanzione penale costituisca «l’unico ed estremo strumento di deterrenza», data la «perfetta coincidenza del rimedio penale con il rimedio amministrativo»;
che ulteriori «dubbi di ragionevolezza e legittimità costituzionale» riguarderebbero una fattispecie nella quale la «punibilità degradi in caso di provvedimenti di respingimento o di espulsione amministrativa fino alla pronuncia giudiziale di non luogo a procedere» e nella quale anche «l’accertamento del reato possa concludersi nell’irrogazione di un provvedimento di espulsione in doppio binario con il provvedimento di espulsione amministrativo e che deve essere obbligatoriamente emesso»;
che l’irrazionalità deriverebbe tanto dall’«inefficacia del raggiungimento della tutela dei beni costituzionalmente rilevanti» quanto dall’inutile «accavallarsi dello strumento penale con quello amministrativo», se non proprio da una vera e propria subordinazione, di fatto, del primo rispetto al secondo, «con la conseguente inapplicabilità della pena sostitutiva in sede penale», in contrasto con il principio del buon funzionamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
che quanto, ancora, alla previsione di una pronuncia di non luogo a procedere nel caso in cui l’autore del reato sia espulso o respinto ex art. 10, comma 2, del decreto legislativo in esame, non potrebbe escludersi, a giudizio del rimettente, che, in violazione dell’art. 3 Cost., «condotte del tutto identiche […] in assenza di adozione di provvedimenti dell’autorità amministrativa assumano rilevanza penale differente, determinandosi sperequazione e disparità di trattamento tra chi debba essere prosciolto poiché colpito da provvedimenti amministrativi […] e chi, fatalmente, non destinatario di provvedimenti di allontanamento, debba essere destinatario della sanzione penale», senza che si possa ricorrere «all’analogia in malam partem, a tanto ostando il principio di tassatività ex art. 25 Cost.»;
che nella normativa censurata si rileverebbe, inoltre, il mancato riferimento alla funzione rieducativa della pena (prevista «in maniera ancillare a completamento dell’azione amministrativa, volta all’espulsione in sede penale dello straniero») nonché, in violazione dell’art. 3 Cost., la mancata attribuzione di rilevanza ad eventuali “giustificati motivi” di trattenimento nel territorio dello Stato, al pari di quanto previsto per «l’analoga ipotesi delittuosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998»;
che, con tre distinte ordinanze di identico contenuto, emesse il 18 febbraio 2010 (r.o. numeri 158, 159 e 160 del 2010), il Giudice di pace di Abbiategrasso ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 25, secondo comma, e 97 Cost., nonché al principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 16 [recte: art. 1, comma 16, lettera a)] della legge n. 94 del 2009;
che, quanto alle circostanze di cui ai giudizi principali, il rimettente si limita, in ciascun caso, a riferire di aver pronunciato l’ordinanza di rimessione all’udienza tenuta nel corso del procedimento penale a carico di un contumace, imputato del reato di cui alla disposizione censurata, accertato a una certa data, «perché si tratteneva sul territorio dello Stato in violazione delle disposizioni inerenti l’ingresso e il soggiorno degli stranieri sul territorio dello Stato».
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni da considerare identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che i giudici rimettenti dubitano – in riferimento, complessivamente, agli articoli 2, 3, 25, 27, 97 e 117, primo comma, della Costituzione nonché al principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale – della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che il Giudice di pace di Nardò estende il proprio dubbio di legittimità costituzionale all’art. 16, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 1, commi 16, lettera b) e 22, lettera o), della legge n. 94 del 2009, nonché all’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), come introdotto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della predetta legge n. 94 del 2009, che consentono al giudice competente di sostituire la pena pecuniaria con la misura dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni;
che l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della questione sollevata dal Giudice di pace di Giulianova, per difetto di motivazione in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza;
che ciascuna delle ordinanze di rimessione, limitandosi ad enunciare scarni e succinti elementi relativi ai fatti di cui al giudizio principale, risulta carente anche nella motivazione sulla rilevanza della questione che prospetta, così da precluderne l’esame da parte di questa Corte;
che le ordinanze del Giudice di pace di Abbiategrasso risultano, altresì, prive di qualsiasi motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione che sollevano, limitandosi a evocare i parametri costituzionali sopra indicati senza pronunciarsi sulle ragioni della loro asserita violazione;
che le questioni sollevate vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili (tra le tante pronunce, quanto a insufficiente descrizione della fattispecie concreta e a carente motivazione sulla rilevanza, ordinanze n. 253, n. 320, n. 329 e n. 343 del 2010; quanto al difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, ordinanze n. 319 e n. 347 del 2010).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica); dell’articolo 16, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 1, commi 16, lettera b) e 22, lettera o), della citata legge n. 94 del 2009; dell’articolo 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), introdotto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli articoli 2, 3, 25, 27, 97 e 117, primo comma, della Costituzione nonché al principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale, dal Giudice di pace di Giulianova, dal Giudice di pace di Nardò e dal Giudice di pace di Abbiategrasso con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2011.