Corte CostituzionaleGiurisprudenza

Sospensione delle pene detentive brevi ed esclusone dell’aggravante ex art. 61, comma 1, n 11-bis, cod. pen – Corte Costituzionale, Ordinanza n. 5/2011

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Bergamo

Esecuzione penale – Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi – Esclusione per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, numero 11-bis, cod. pen.: fatto commesso dal colpevole mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale.

Corte Costituzionale, Ordinanza n. 5 del 05/01/2011

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, promosso dal Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, con ordinanza del 9 giugno 2009, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che, con ordinanza del 9 giugno 2009, il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui preclude la sospensione dell’esecuzione delle pene detentive infratriennali nei confronti di persone condannate per delitti aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 61, primo comma, numero 11-bis del codice penale;

che il rimettente è chiamato a decidere sulla richiesta di sospensione del provvedimento di cumulo di pene concorrenti, e contestuale ordine di esecuzione, emesso dalla locale Procura della Repubblica nei confronti di una persona che ha riportato due condanne, una della quali inflitta per i reati previsti dagli artt. 62-bis, 61, numero 11-bis, 337 cod. pen. e 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, la pena complessiva che il condannato deve espiare è stata rideterminata in anni uno, mesi uno e giorni sedici di reclusione, e tuttavia – in applicazione dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., quale risulta dopo l’intervento attuato con l’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125 – non è stata disposta la sospensione dell’esecuzione, ostandovi la condanna per delitto aggravato ex art. 61, numero 11-bis, del cod. pen.;

che il rimettente dà atto che la difesa del condannato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e procede quindi a sollevare la relativa questione, evidenziando in primo luogo come la norma censurata risulti eccentrica nel sistema dell’esecuzione penale;

che, infatti, l’ingresso in carcere dei soggetti condannati a pene detentive brevi, potenzialmente in condizione di usufruire delle misure alternative alla detenzione, è sospeso in ragione di una «presunzione di scarsa pericolosità sociale basata sulla entità della pena irrogata»;

che, simmetricamente, i divieti alla sospensione dell’esecuzione previsti dall’art. 656, comma 9, cod. proc. pen., sono fondati sulla «presunzione di pericolosità in relazione al titolo del reato, alla gravità della sanzione edittale o al particolare allarme sociale destato da talune condotte criminose, cui si affiancano condizioni d’accertata pericolosità»;

che pertanto, prosegue il rimettente, il divieto di sospensione dell’esecuzione, collegato alla condizione di soggiorno irregolare, costituisce una «deviazione del tutto irragionevole», in quanto introduce una «presunzione di maggiore pericolosità» sulla base di una condizione soggettiva di mera irregolarità sotto il profilo amministrativo;

che l’effetto distorsivo introdotto dalla norma censurata condurrebbe al risultato paradossale per cui è considerato pericoloso – e dunque meritevole della carcerazione – lo straniero che, mentre si trovava irregolarmente nel territorio dello Stato, ha commesso un reato di modesta gravità ed ha riportato condanna ad una pena detentiva breve, a differenza del soggetto, regolarmente presente nel territorio nazionale, il quale si sia reso responsabile di un reato grave e perciò sia stato condannato ad una pena detentiva elevata, tenuto conto che il limite previsto dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. ai fini della sospensione dell’esecuzione trova applicazione anche con riguardo alle pene residue;

che la norma censurata avrebbe quindi introdotto una «aprioristica presunzione di pericolosità», per effetto della quale «molti stranieri sono costretti ad espiare in regime di detenzione» anche pene detentive brevi, «in relazione ad uno stato soggettivo come la clandestinità, che, oltretutto, nel lasso temporale tra la pronuncia e l’esecuzione della condanna, potrebbe essere venuto meno»;

che, pertanto, pur dovendosi riconoscere al legislatore un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, sarebbe nella specie oltrepassato il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 148 del 2008 e n. 206 del 2006);

che il rimettente esamina l’ulteriore profilo, a suo dire ancor più consistente, di illegittimità costituzionale della norma censurata, vale a dire il ritenuto contrasto con l’art. 27 Cost.;

che, infatti, il meccanismo della sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi trova giustificazione proprio nella finalità rieducativa della pena, essendo volto ad evitare l’impatto con la struttura carceraria, e a favorire, in tal modo, la riabilitazione del condannato che venga poi ammesso ad espiare la stessa pena in regime alternativo alla detenzione;

che, d’altra parte, osserva ancora il rimettente, il divieto previsto dalla norma censurata non preclude al condannato ristretto in carcere di formulare l’istanza di ammissione ad una misura alternativa alla detenzione, essendo tali misure applicabili anche agli stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato (è richiamata, tra le altre, la sentenza della Corte di cassazione n. 17334 del 2006);

che, di conseguenza, la condizione di «clandestinità» al momento del fatto non sarebbe ostativa alla concessione delle misure alternative alla detenzione, «ma al meccanismo processuale che ne garantisce l’effettività», così evidenziandosi ulteriormente l’incoerenza della norma censurata con il sistema delle misure alternative alla detenzione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione;

che la difesa dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui la disciplina dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici (sicurezza e sanità pubblica, ordine pubblico, vincoli internazionali), che spetta in via preminente al legislatore ordinario, al quale va riconosciuta un’ampia discrezionalità al riguardo (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 148 del 2008; n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994);

che nella specie, secondo l’Avvocatura generale, il limite della ragionevolezza risulterebbe rispettato, dovendosi considerare che, dopo l’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), la condotta di soggiorno illegale nel territorio dello Stato costituisce uno specifico reato, seppure di natura contravvenzionale;

che, inoltre, la norma censurata non sarebbe in contrasto con il principio della necessaria finalità rieducativa della pena, considerato che il divieto di sospensione dell’esecuzione già sussisteva, «in relazione a numerose altre fattispecie di reato», prima della modifica dell’art. 656, comma 9, cod. proc. pen.;

che, anche in relazione ai reati commessi durante la permanenza illegale nel territorio dello Stato, il legislatore ha ritenuto che il condannato debba comunque fare ingresso in carcere, potendo poi, nella condizione di restrizione, chiedere l’ammissione alle misure alternative alla detenzione;

che, ad avviso della difesa dello Stato, non potrebbe per ciò solo ritenersi compromesso il percorso rieducativo del condannato, posto che altrimenti si finirebbe per teorizzare che ad ogni ipotesi di detenzione in carcere consegua, automaticamente, una violazione del precetto contenuto nell’art. 27 Cost.

Considerato che il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui preclude la sospensione dell’esecuzione delle pene detentive infratriennali nei confronti di persone condannate per delitti aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 61, primo comma, numero 11-bis, del codice penale;

che, secondo il giudice a quo, la norma censurata avrebbe introdotto una «aprioristica presunzione di pericolosità» del condannato straniero per fatti commessi durante la permanenza irregolare nel territorio nazionale, che risulterebbe del tutto eccentrica nel sistema dell’esecuzione penale delle pene detentive brevi, con conseguenze paradossali sul piano della coerenza del sistema, in contrasto con i principi di uguaglianza e della finalità necessariamente rieducativa della pena;

che, con la sentenza n. 249 del 2010, successiva all’ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, primo comma, numero 11-bis, cod. pen., e, in via consequenziale, dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice»;

che, di conseguenza, la questione di legittimità oggi in esame è divenuta priva di oggetto e va dichiarata, per tale ragione, manifestamente inammissibile (ex plurimis, ordinanza n. 78 del 2010).

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Bergamo con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2010.

F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2011.

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