CivileGiurisprudenzaTributaria

Fattura di società inesistente. L’Iva indicata non è detraibile – Cassazione Civile, Sentenza n. 24965/2010

L’emissione del documento e il pagamento dei beni non sono idonei a escludere che si tratti di operazioni fittizie
Non è detraibile l’Iva se l’impresa che fattura è diversa dall’effettivo fornitore, anche se è avvenuto il pagamento dell’imposta e la merce è stata consegnata: in questo caso il committente, o cessionario, deve fornire riscontri precisi in ordine all’emissione del documento da parte del terzo.
 
Lo ha sancito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24965 del 10 dicembre, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.

Il fatto
A seguito di indagini condotte dalla Guardia di finanza in merito all’esistenza di un sodalizio tra soggetti operanti nel settore del commercio di bestiame e di carni, creato e organizzato al solo fine di porre in essere, mediante l’utilizzo di società “cartiere”, evasioni fiscali di rilevante entità, è stata contestata, con verbale di verifica, la fittizietà delle operazioni di acquisto di carni effettuate da un’azienda del settore. E’ stata quindi recuperata a tassazione, con avviso di rettifica, l’Iva indebitamente detratta.

Il contribuente ha impugnato gli atti dell’amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli. Il ricorso, però, è stato rigettato dal giudice tributario perché privo della sottoscrizione di un difensore abilitato.
Di conseguenza, il contribuente ha proposto ricorso in appello, contro la sentenza di inammissibilità, avendo poi provveduto a nominare un nuovo difensore in sostituzione del precedente avvocato privo di abilitazione.

La Ctr Campania ha escluso l’inammissibilità del ricorso in primo grado affermando che “la nomina del difensore abilitato, espressa nel ricorso introduttivo è valida a tutti gli effetti perché riportata in prosieguo dello stesso atto e, quindi, va considerata come sottoscrizione del ricorso anche da parte del difensore costituito” ritenendo, inoltre, firmato il ricorso dal solo ricorrente e, trattandosi di lite tributaria d’importo superiore i cinque milioni di vecchie lire, il giudice di primo grado avrebbe dovuto concedere un termine entro il quale nominare un difensore abilitato (articolo 12, comma 5, Dlgs 546/92).
Inoltre, il giudice d’appello ha accolto le motivazioni in merito al fatto che le fatture emesse non potessero “essere ricondotte ad operazioni oggettivamente inesistenti in quanto la merce è stata effettivamente acquistata dalla verificata e pagata attraverso emissione di assegni bancari non trasferibili riportanti quale beneficiario il fornitore della stessa, inoltre la merce è regolarmente prevenuta nei locali aziendali …”.

L’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di secondo grado, ha presentato ricorso in Cassazione, adducendo due motivazioni:
1.la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 del Dlgs 546/92 (nomina successiva di un difensore)
2.la violazione e la falsa applicazione degli articoli 19 e 54 del Dpr 633/1972, nonché un’omessa, insufficiente e illogica motivazione sul fatto decisivo della controversia, cioè che i giudici hanno “confusamente ritenuto che l’emissione di fatture e la sussistenza delle relative merci nei magazzini della contribuente ed il pagamento di tali merci mediante regolare emissione di assegni bancari, fossero elementi idonei ad escludere la contestata fittizietà di tali operazioni commerciali”. L’Amministrazione finanziaria contestava ai giudici il fatto di non comprendere che la società verificata non ha emesso le fatture bensì le ha ricevute e che la contestazione di cui alla rettifica aveva riguardato acquisti che la contribuente aveva effettuato presso soggetti diversi da quelli che avevano in realtà emesso le fatture.

La sentenza

La Cassazione, con la sentenza n. 24965/2010, ha stabilito che “nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione all’attività istituzionale dell’impresa, che il committente/cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonché dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto ai thema probandum, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi”.

Quindi, in definitiva, secondo quanto disposto dall’articolo 19 del Dpr 633/1972, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa e in considerazione al particolare funzionamento del tributo dell’Iva, per il quale un’infrazione fiscale si configura per il solo fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo, determina il rischio per l’Amministrazione di non introitare l’assolvimento dell’imposta effettivamente dovuta o l’abbia esposta a indebite detrazioni.

Secondo gli articoli 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio Cee/77/388 e secondo il principio affermato dalla Corte di giustizia con sentenza 13 dicembre 1989 (342/87), il diritto alla detrazione non sorge per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, ma è richiesto che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente a operazione soggetta all’Iva.

Valerio Giuliani
nuovofiscooggi.it

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *