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L’Amministratore di condominio, questo sconosciuto – di Vincenzo Farro

Il condominio, così come lo intendiamo e viviamo oggi, era sconosciuto al Codice Civile del 1865 che non conosceva né adoperava il termine stesso, neanche quando regolava la proprietà di stabili divisa per piani o porzioni di piano, sotto i titoli della comunione e delle servitù (Visco, Le case in condominio, Milano, 1976,2).

Solo con il D.L. 15.1.1934 n.56, convertito nella legge 10 gennaio 1935 n.8, furono disciplinati, per la prima volta, i rapporti di condominio sulle case.
Le norme della Legge del 1935 furono, poi, quasi integralmente trasfuse nel vigente Codice Civile.
Se ne occupano gli articoli da 1117 a 1139 che costituiscono il capo secondo del titolo settimo del Libro Terzo (della proprietà).
Sin dai primi momenti successivi all’entrata in vigore, si rilevò, sia in dottrina (D.R. Peretti Griva, Torino, 1942) sia in giurisprudenza (Cass. Civ. 24.3.1972 n. 899), l’impossibilità di avere, in, tutto sommato, pochi articoli di legge, una disciplina completa di un così complesso istituto.
Del resto, la notevole mole di massime di giurisprudenza, spesso alle prese con problemi nuovi, non regolamentati, non previsti dal legislatore, rende plasticamente l’idea dell’impossibilità alla quale abbiamo appena fatto cenno.

La notazione vale per tutti i settori dell’interesse umano, le cui infinite sfaccettature potenziali non possono essere previste e  nemmeno, o, forse, a maggior ragione, regolate dal legislatore.
In materia di condominio, il fenomeno è più vistoso.

Ci occupiamo, ora, in particolare della rappresentanza che all’amministratore è attribuita dall’art.1131 c.c.

Su limiti e portata dei detti poteri di rappresentanza, la giurisprudenza, anche di legittimità, non è stata, nel corso del tempo, unanime.
Va premesso che, ai sensi del cennato art.1131 c.c., 1° comma, l’amministratore di condominio è autonomamente legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (e a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c.

Quindi, dal combinato disposto delle norme appena richiamate, si evince che quel potere di rappresentanza è pieno, quando cioè si tratti:

 a) di eseguire le deliberazioni dell’assemblea e di curare l’osservanza dei regolamenti di condominio;
 b) di disciplinare l’uso delle cose comuni, così da assicurarne il miglior godimento a tutti i condomini;
 c) di riscuotere i contributi determinati in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea;
 d) di compiere, infine, gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.

I problemi sono sorti, in ordine  all’interpretazione dei commi secondo e terzo del richiamato articolo 1131 c.c.

Un prevalente indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto che la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi del secondo comma dell’art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio riguardino le parti comuni dell’edificio, con la conseguenza che l’amministratore non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie, compreso il ricorso per cassazione, in relazione al quale è legittimato a conferire la procura speciale all’avvocato iscritto nell’apposito albo speciale a norma dell’art. 365 c.p.c. (v., tra le tante, Cass. 20/4/2005, n. 8286; 21/5/2003, n. 7958; 15/3/2001, n. 3773).

Un minoritario indirizzo ha sostenuto che l’amministratore di condominio non è, nelle controversie non rientranti tra quelle che può autonomamente proporre ai sensi del primo comma dell’art. 1131 c.c., legittimato a resistere in giudizio per il condominio senza autorizzazione dell’assemblea, atteso che ratio del secondo comma dello stesso articolo che consente di convenire in giudizio l’amministratore per qualunque sanzione concernente le parti comuni dell’edificio è soltanto favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di notificare la citazione al solo amministratore anziché citare tutti i condomini, mentre nulla, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea. Considerato, inoltre, che la cosiddetta autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, onde, in definitiva, l’amministratore non svolge che una funzione di mero nuncius, tale autorizzazione non può valere che per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata (v., per tutte, *Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2004, n. 22294).

Da  detta impostazione, consegue:

 a) l’amministratore deve munirsi di autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio atteso che la rappresentanza passiva dell’amministratore riguarda solo la notificazione degli atti e non la gestione della controversia;

 b) la concessa autorizzazione assembleare non legittima l’amministratore ad impugnare spettando tale legittimazione solo all’assemblea.
In presenza, dunque, di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione se l’amministratore condominiale, per resistere alla lite proposta nei confronti del condominio, ovvero per impugnare la sentenza a questo sfavorevole, debba o meno essere autorizzato dall’assemblea, sono intervenute le SS.UU. civili che, con Sentenza n. 18331 dei 6 luglio – 6 agosto 2010, (Presidente Carbone – Relatore Elefante), hanno precisato:
“L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione”.

Le SS.UU. hanno rilevato, in motivazione:

<<La prima, fondamentale, competenza dell’amministratore consiste nell’”eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini” (art. 1130 c.c., comma 1, n. 1). Da tale disposto si evince che l’essenza delle funzioni dell’amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell’assemblea: è l’assemblea l’organo deliberativo del condominio e l’organo cui compete l’adozione di decisioni in materia di amministrazione dello stesso, mentre l’amministratore riveste un ruolo di mero esecutore materiale delle deliberazioni adottate in seno all’assemblea>>.
Ne consegue che <<il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio>>.
Argomentativamente, le SS.UU. osservano che ove tale potere spettasse all’amministratore, questi potrebbe anche autonomamente non solo costituirsi in giudizio ma anche impugnare un provvedimento senza il consenso dell’assemblea e, in caso di ulteriore soccombenza, far sì che il condominio sia tenuto a pagare le spese processuali, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo.

Ciò contrasterebbe con il principio che unico organo decisionale nel condominio è l’assemblea, ma, cosa ancor più inconcepibile, conculcherebbe  il diritto dei condomini di dissentire rispetto alle liti (art. 1132 c.c.). La mancata convocazione dell’assemblea per l’autorizzazione ovvero per la ratifica dell’operato dell’amministratore vanifica ogni possibilità di esercizio del diritto al dissenso alla lite che la legge espressamente riconosce ai condomini.

Il nucleo  della motivazione  è da rinvenirsi  nei seguenti  passaggi della parte motiva:

<<L’attribuzione in capo all’assemblea di condominio del potere gestorio e, quindi, della decisione se resistere in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole, per cui occorre che l’amministratore sia autorizzato a tanto, va tuttavia raccordata con la legittimazione passiva generale attribuita all’amministratore dall’art. 1131 c.c., comma 2. Invero, tale legittimazione rappresenta il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l’esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva (urgente) difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale.
Pertanto, l’amministratore convenuto può anche autonomamente costituirsi in giudizio ovvero impugnare la sentenza sfavorevole, nel quadro generale di tutela (in via d’urgenza) di quell’interesse comune che integra la ratio della figura dell’amministratore di condominio e della legittimazione passiva generale, ma il suo operato deve essere ratificato dall’assemblea, titolare del relativo potere>>.

Alla luce delle considerazioni appena  (riassuntivamente)  riportate, è stato enunciato il principio di diritto del quale si è detto.

Più di recente,  la sezione II Civile  della  S.C. ha precisato:

“Nessuna limitazione sussiste in relazione alla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio per qualsiasi azione anche di natura reale, promossa contro il condominio, da terzi (o anche dal singolo condomino) in ordine alle parti comuni dell’edificio e tale legittimazione sussiste anche in ordine all’interposizione di ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino” (Sentenza 5 ottobre – 10 novembre 2010, n. 22886).

La sensazione, spiacevole, è quella di trovarsi di fronte ad  un contrasto giurisprudenziale, in materia nella quale si poteva tranquillamente ritenere che l’intervento delle SS.UU.  civili avesse messo  definitivamente ordine.

Cominciamo col dire che l’inconveniente lamentato, se inconveniente è, non sarebbe possibile, in presenza dell’operatività dell’art.374  -3° comma- c.p.c., nel testo modificato ex art.  8 del D.L.vo 2 febbraio 2006, n. 40.

Si consideri, però, che, a norma dell’art. 27, comma 2, del citato decreto legislativo, tale disposizione (il testo così modificato dell’art. 374 c.p.c.)  si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto (2.3.2006).
Andando al merito  della questione, è da notare  che, nella parte motiva, c’è modo di recuperare un  senso di continuità, e non di rottura, con la decisone delle SS.UU.

La S.C., infatti,  argomenta:

<<nessuna limitazione sussiste in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell’amministratore per qualsiasi azione anche di natura reale, promossa contro il Condominio, da terzi (o anche dal singolo condomino) in ordine alle parti comuni dell’edificio>>.

Si noti: in ordine alle parti comuni dell’edificio.

Si tratta, dunque, della rappresentanza piena che, come abbiamo rilevato in precedenza, spetta all’amministratore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c.

Attenzione: nella motivazione della Sentenza 18331 /10 le SS.UU.  fanno espresso riferimento (al punto 2.2.) al fatto che la controversia in esame esula dal campo di quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1,  in forza di una rappresentanza di diritto  che lo  legittima  ad agire (e a resistere) in giudizio (nonché a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c.

Quindi, pare non esserci  sovrapposizione tra il thema decidendum  affrontato e risolto nella Sentenza 18331/2010 e quello di cui alla Sentenza, di poco successiva, n. 22886 del 2010.

Continuiamo a leggere  i passaggi decisivi della motivazione di quest’ultima Sentenza.La S.C. aggiunge, sùbito dopo il periodo appena riportato, parte  di una  massima  di precedente Sentenza in materia (n. 9093 / 2007):

<<…..; in tal caso, l’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini >>.

In sostanza, pare che il contrasto si possa sospettare, ma l’esame andrà accuratamente approfondito, atteso che, per quel che risulta,  le fattispecie concrete  erano (sono)  diverse.

Vincenzo Farro

 

 

 

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