Non si può rendere pubblica la relazione extraconiugale – Nota a Cassazione Civile 21245/2010 – di Vincenzo Farro
La sentenza in esame (il cui testo integrale è stato già pubblicato sulla nostra rivista, ndr) ha rigettato il ricorso di un coniuge ( il marito,per la precisione ),al quale era stata addebitata, dal Tribunale di Roma, la separazione per violazione del dovere di fedeltà, nonché di assistenza e solidarietà familiare.
La competente Corte territoriale (Sentenza 1339 depositata il 23 maggio 2005) ha confermato la precedente decisione, dando atto della cessazione della materia del contendere a far tempo dal 2 novembre 2004 in ordine alle condizioni economiche della separazione, tenuto conto della fissazione dell’assegno di mantenimento nell’udienza presidenziale, celebratasi nell’incardinata causa di divorzio.
Ha proposto ricorso, per la cassazione di detta Sentenza, il coniuge al quale era stata addebitata la separazione .
I punti cruciali, sia del ricorso sia della Sentenza che lo ha rigettato , sono :
1)addebito della separazione;
2)cessazione della materia del contendere ;
3)quantificazione dell’assegno.
In ordine al primo punto,i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato il giudizio della Corte territoriale ,rilevando che la relazione extraconiugale, di cui lo stesso coniuge ,di poi ricorrente, aveva diffuso notizia nell’ambiente degli amici comuni, aveva consolidato una crisi che già effettivamente si era manifestata, ma aveva anche determinato definitivamente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Si aggiunga l’abbandono della casa familiare, fatto, di per sé, violazione di un obbligo matrimoniale e sufficiente motivo di addebito della separazione;ne è derivata l’impossibilità della convivenza e la fine del matrimonio.
Circa la dichiarata cessazione della materia del contendere, il ricorrente lamentava error in judicando e violazione dell’art. 156 c.c. e L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e art. 100 c.p.c.. Censurava la sentenza impugnata per avere dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alle disposizioni di carattere economico a seguito del provvedimento presidenziale che, nell’incardinata causa di divorzio, ha fissato l’assegno divorzile ed il contributo di mantenimento per le figlie.
Assumeva che le misure economiche ( quelle disposte in sede di separazione; quelle disposte in sede di divorzio) sono di natura diversa, sicché il contributo di divorzio non elimina l’interesse alla modifica dell’assegno di separazione che perde efficacia solo con la sentenza di divorzio.
La S.C . ha ritenuto il motivo non fondato, atteso che il provvedimento presidenziale che stabilisce in via provvisoria la spettanza e la misura dell’assegno divorzile non si cumula con il titolo formato in sede di separazione, ma si sovrappone ad esso e si fonda su criteri di determinazione autonomi e distinti.
L’approdo è confortato dalla considerazione dell’impossibilità logica e giuridica di coesistenza di due diversi regimi patrimoniali tra i coniugi in relazione al medesimo arco temporale.
Passando alla quantificazione dell’assegno,la Sentenza in esame affronta un problema di carattere processuale,In particolare , limiti e portata del ricorso all’istituto di cui all’art.710 c.p.c. che recita testualmente :
(Modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi). Le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio (737 ss.), la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione (155 ss. c.c.).
Il tribunale, sentite le parti, provvede alla eventuale ammissione di mezzi istruttori e può delegare per l’assunzione uno dei suoi componenti.
Ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunale può adottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne il contenuto nel corso del procedimento.
La S.C. ha già avuto modo , in passato, di precisare:
La domanda ex art. 710 c.p.c. può essere esperita solo dopo che si sia formato il giudicato, sulla separazione mentre la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza della separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali o reddituali, ed anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni, con la conseguenza che il giudice di appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatesi nelle more del giudizio. (per tutte, Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16398).
Ciò è confermato, nella sentenza in esame; con una particolarità.
Spieghiamo.
Il ricorrente, con il terzo motivo, aveva denunciato vizio di motivazione in ordine alla quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore della moglie fino alla indicata data del 2 novembre 2004, lamentando omesso esame della sua effettiva capacità reddituale, desumibile dalla comprovata proprietà di due appartamenti in ****, l’uno in ****, l’altro in comunione col fratello in Via **** di notevole valore, di cinque appezzamenti di terreno in ****, di un appartamento in palazzo ****, il cui valore si era chiesto di provare a mezzo C.T.U. Aveva dedotto omesso riferimento al fatto che uno solo dei fondi ha fruttato un capitale di Euro 220.000,00 desumibile dal preliminare in atti, nonché al fatto che la denuncia fiscale prodotta dalla moglie indica terreni del valore di circa Euro 500.300,00, ed infine ad un lascito testamentario di cui ella ha beneficiato in Euro 103.000,00.
La Corte d’Appello aveva, a riguardo, sostenuto che le circostanze di fatto evidenziate – nuda proprietà della casa di Via ****, proprietà dei cinque terreni in ****, e lascito testamentario – rappresentano circostanze sopravvenute valutabili al più in sede di modifica delle condizioni della separazione ex art. 710 c.p.c..
La S.C., nel richiamare la propria giurisprudenza in materia, ha rilevato che la conclusione, alla quale era pervenuta la Corte territoriale, era affetta da errore di diritto.
Non prima, però, di aver rilevato l’inammissibilità del motivo.
E’ interessante rileggere il relativo passaggio della motivazione:
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Inerisce alla natura ed alla funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza della separazione la possibilità di correlare l’ammontare del contributo alle condizioni patrimoniali o reddituali emergenti in corso di giudizio, “anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda”. Ciò impone al giudice di prendere in considerazione tutte le circostanze sopravvenute nelle more del giudizio, per tutto il corso del giudizio, sino alla sua conclusione con sentenza definitiva. Per quel che rileva, ciò imponeva alla Corte di merito di esaminare ogni elemento che potesse incidere sulla misura dell’assegno, sino alla data in cui è stato assunto il provvedimento presidenziale nel giudizio di divorzio. Questo errore non è stato censurato. La doglianza in esame indirizza critica al tessuto motivazionale che sorregge l’esame delle emergenze istruttorie, mirando peraltro palesemente ad una rivisitazione nel merito delle circostanze riferite, il cui apprezzamento si contesta confutandone la fondatezza. Non indirizza alcuna censura, in quanto non ne coglie il senso, alla ratio sottostante che, come si è rilevato, è errata in jure.
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Il caso è, quindi, emblematico delle difficoltà che l’operatore del diritto incontra giornalmente, nell’esporre, nell’argomentare, nell’impugnare.
Vincenzo Farro