Notifica a società in fallimento. Valido il domicilio del liquidatore – Cassazione Civile, Sentenza n. 22977/2010
Con l’apertura della procedura concorsuale è legittima la presunzione di inesistenza della sede legale
E’ legittima la notifica della pretesa erariale effettuata presso il domicilio del liquidatore entro il termine prescrizionale decennale decorrente dal momento in cui il credito erariale è diventato esigibile.
E’ questo il principio affermato dalla Corte di cassazione nella recente sentenza n. 22977 del 12 novembre, con cui i giudici hanno confermato la legittimità dell’operato degli uffici dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società che aveva cessato la propria attività.
La vicenda
A una Srl in liquidazione venivano notificati avvisi di liquidazione per il pagamento della maggiore Iva conseguente ad avvisi di accertamento divenuti definitivi a seguito della sentenza di rigetto del ricorso della Commissione tributaria di primo grado non appellata dalla società contribuente.
La società impugnava gli avvisi di liquidazione lamentando l’intervenuta prescrizione del credito erariale e l’omessa notifica dell’avviso di liquidazione e pagamento, che sarebbe dovuta essere eseguita presso la sede legale e non unicamente, come avvenuto, presso il domicilio del liquidatore.
In primo grado, le ragioni della società venivano accolte sul rilievo che, non essendosi l’erario insinuato nel passivo del fallimento della società, non era stato interrotto il termine di prescrizione quinquennale.
L’Amministrazione finanziaria proponeva appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale, argomentando, quanto al vizio della notifica, che la società contribuente aveva cessato la propria attività dandone rituale comunicazione (articolo 35 del Dpr 633/1972), verificandosi così la legittima presunzione di inesistenza della società presso la ex sede legale.
Quanto alla ritenuta intervenuta prescrizione del credito, l’Agenzia delle Entrate deduceva come il credito fosse divenuto certo, liquido ed esigibile con il passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’impugnazione degli atti di accertamento, notificata all’ufficio il 22 settembre 1989, e che nel caso di specie tornava applicabile la prescrizione decennale stabilita dall’articolo 2946 del codice civile.
La Commissione tributaria regionale accoglieva il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Contro la sentenza la società, riproponendo le argomentazioni fatte valere in primo grado, ricorreva in Cassazione.
Tali argomentazioni sono state ritenute infondate dalla Suprema corte che ha, invece, confermato la correttezza dell’operato dell’ufficio.
La decisione della Cassazione
Riguardo al profilo della notifica, la Suprema corte, richiamando la costante giurisprudenza di legittimità, ha ribadito il principio secondo cui la notifica al contribuente degli avvisi e degli altri atti emessi nei confronti di una società posta in liquidazione coatta amministrativa, deve essere effettuata nei confronti della società stessa, non presso la sua sede legale, ma presso il domicilio del commissario liquidatore.
Sul punto, la Corte argomenta che l’assoggettamento alla procedura concorsuale, infatti, pur non determinando la nascita di un soggetto nuovo e diverso, comporta l’immediata cessazione dell’attività d’impresa. In tale situazione, precisano i giudici di legittimità, con la chiusura degli uffici e l’allontanamento del personale amministrativo il centro motore dell’attività opera, secondo l’id quod plerumque accidit, presso il domicilio del commissario liquidatore.
In particolare, precisa la Suprema corte, l’assoggettamento alla procedura concorsuale determina la presa in consegna dei beni da parte dell’organo pubblico delegato alla gestione, e il venir meno delle funzioni dell’assemblea e degli organi di amministrazione e controllo, con l’attribuzione della rappresentanza legale e della legittimazione processuale al commissario liquidatore. In tale quadro di riferimento, evidenziano i giudici, pretendere che la notifica debba essere sempre e comunque tentata presso la sede legale costituirebbe una vuota formalità priva di qualunque significato sostanziale (cfr Cassazione 7161/2007, 9214/2008 e 5283/1989).
Sotto il profilo della prescrizione del credito erariale, la Corte di cassazione ribadisce il principio secondo cui, in tema di Iva, la riscossione dell’imposta, a seguito di accertamento divenuto definitivo, è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale (articolo 2946 cc) decorrente, ai sensi dell’articolo 2935 cc, dal momento in cui il credito diventa esigibile, cioè dalla data in cui l’accertamento diviene definitivo per mancata impugnazione (Cassazione 18110/2004 e 2941/2007). Ai fini della prescrizione del credito erariale Iva, infatti, non rileva il termine di decadenza stabilito dall’articolo 57, Dpr 633/1972, che è relativo alla notificazione degli avvisi di rettifica e di accertamento da parte dell’amministrazione, e neppure il termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’articolo 2948 cc, n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi ad anno o in termini più brevi in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova e autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.
Antonino Iacono
nuovofiscooggi.it