Provvedimento Amministrativo. No alla integrazione della motivazione nel corso del giudizio – Consiglio di Stato, Sentenza n. 8040/2010
Gli atti con i quali l’amministrazione esercita il proprio potere di autotutela necessitano di un’adeguata motivazione che dia conto dei fatti sopravvenuti e delle ragioni di interesse pubblico sottesi alla determinazione assunta.
La motivazione del provvedimento amministrativo non puo’ essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con cio’ il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario.
Esattamente, quindi, il giudice rileva l’insufficienza motivazionale di un provvedimento laddove le considerazioni sviluppate dall’amministrazione sono del tutto generiche ed inidonee a supportare lo scioglimento anticipato di un rapporto concessorio, senza che siano indicate, neppure in via sintetica, le ragioni di interesse pubblico sottese alla cessazione autoritativa del rapporto prima della sua naturale scadenza, con conseguente violazione del generale obbligo motivazionale previsto dall’art. 3 della legge 1990 n. 241
Evidente è la colpa dell’amministrazione, quindi, nell’ipotesi di scioglimento anticipato del rapporto concessorio disposto con un provvedimento carente di motivazione, in violazione di elementari doveri di diligenza ed escluso ogni errore scusabile, Conseguentemente va riconosciuto e liquidato al danneggiato anche il danno patrimoniale costituito dal lucro cessante.
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 8040 del 15/11/2010
FATTO
La società [OMISSIS] s.a.s. assumeva in gestione la piscina comunale del Comune di [OMISSIS] in forza di una delibera della Giunta Comunale datata 21.09.1993, n. 456. Il rapporto veniva rinnovato dall’amministrazione, dapprima, con delibera della Giunta Comunale datata 21 luglio 1995 n. 548 per il periodo compreso tra il giorno 01.09.1995 e il giorno 31.08.1997, poi, con delibera della Giunta Comunale datata 22.07.1997 n. 388, per il periodo compreso il giorno 01.09.1997 ed il giorno 31.08.1999.
Successivamente, con delibera del Consiglio Comunale datata 29.05.1998 n. 31, l’amministrazione deliberava di “integrare e modificare la convenzione già esistente per la gestione della piscina comunale con la società [OMISSIS] alle condizioni tutte indicate nello schema di convenzione “ allegato alla delibera medesima, stabilendo la durata del rapporto in cinque anni e “precisamente dal momento della sottoscrizione del contratto fino al dicembre 2003”.
In data 18.07.2000, con deliberazione n. 210, la Giunta Comunale deliberava di affidare alla società [OMISSIS] s.a.s., sulla base di un allegato schema di convenzione, i servizi per la gestione della piscina estiva comunale per il periodo compreso tra il 22.07.2000 e il 10.09.2000, richiamando nelle premesse la deliberazione n. 31 del 29.05.1998 di approvazione della convenzione per la gestione degli impianti natatori.
Con delibera n. 316 del 14.11.2000, la Giunta Comunale deliberava di “dichiarare risolto il contratto sottoscritto il 29 giugno 1998” con la società [OMISSIS] relativo alla gestione dell’impianto natatorio comunale, fissando la data del 31 dicembre 2000 per la riconsegna dell’impianto sportivo da parte della società.
Nella motivazione la delibera n. 316, oltre a richiamare la deliberazione n. 31 del 29.05.1998, considerava che dalla stagione 1998 /1999 la gestione della piscina non era proseguita secondo le regole del contratto del 29.06.1998, ma secondo quelle del precedente contratto, precisando che tale situazione non risulta “da atti formali” ma dall’esame del contratto del 1998.
In particolare, l’amministrazione considerava che le spese erano state suddivise tra le parti secondo la precedente determinazione, mentre alcune forniture previste per i mesi di ottobre 1998 e aprile 1999 a carico della società [OMISSIS] s.a.s. non erano state effettuate, precisando però che “né il Comune le ha potute pretendere a causa del protrarsi dei lavori della piscina scoperta” e per tale ragione neppure si era potuto procedere agli “ammortamenti tecnici”.
Inoltre, specificava che i lavori relativi alla piscina scoperta erano stati completati nel giugno del 2000, aggiungendo che per la gestione degli stessi le parti avevano elaborato un contratto “nuovo e diverso (deliberazione della Giunta Comunale n. 210 del 21.07.2000) e per la sola durata dal 15.07 al 17.09.2000”.
Sulla base di queste premesse la delibera, da un lato, riteneva che il contratto del 1998 “non avendo mai esplicato i suoi effetti” doveva essere risolto anche da un punto di vista formale, dall’altro, rilevava che la gestione dell’impianto da parte della società [OMISSIS] era stata caratterizzata “specialmente nell’ultimo periodo da carenze e inadempienze di vario genere, tanto che si era “dato inizio ad un procedimento di contestazione con richiesta di risarcimento di danni”.
In relazione a quest’ultimo profilo, la controversia tra le parti è stata decisa da un collegio arbitrale e si è conclusa con lodo del 20 febbraio 2002.
Con la sentenza appellata il Tar stabiliva in via preliminare la giurisdizione del giudice amministrativo e quindi accoglieva il ricorso di [OMISSIS] ritenendo fondato il primo e terzo motivo dedotti relativi alla illegittimità della deliberazione impugnata ritenendo sussistente il vizio di carenza di motivazione e di eccesso per la insussistenza dei presupposti fattuali della determinazione assunta.
La domanda di condanna della PA veniva poi ritenuta fondata con riferimento al profilo soggettivo dell’illecito per violazione del dovere di motivazione che deve improntare la attività provvedimentale della P.A.. L’amministrazione ai fini della quantificazione del danno avrebbe dovuto proporre una somma entro giorni 90 dal ricevimento dei bilanci della società.
Avverso la sentenza del Tar ha proposto appello il Comune deducendo plurimi profili di illegittimità.
Si è costituita la società [OMISSIS] chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del primo giudice.
DIRITTO
Con il primo motivo dedotto il Comune assume che con la deliberazione di G.C. n.316 del 2000 non aveva esercitato alcun potere autoritativo ma si era limitato a prendere atto della situazione esistente esercitando il proprio diritto privatistico di proprietà sugli impianti con l’effetto che la controversia, assimilabile a quelle di tipo meramente economico, doveva essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario ed erroneamente il primo giudice l’avrebbe trattenuta.
L’assunto non è condivisibile .
La società [OMISSIS] gestiva un impianto natatorio, compresa la custodia e la manutenzione ordinaria, percependo il corrispettivo direttamente dagli utenti e pagando un canone di concessione al Comune. Trattavasi di un rapporto rinnovato più volte i cui caratteri tipici sono riconducibili, come ben evidenziato dal primo giudice, ad un rapporto concessorio in cui l’amministrazione ha unilateralmente disposto lo scioglimento anticipato prima del decorso del termine di durata complessiva del rapporto .
In fattispecie similare questo Consiglio di Stato ha rilevato che “..mentre si è in presenza di una appalto nel caso di prestazioni rese in favore dell’amministrazione, la concessione di servizi instaura un rapporto trilaterale tra la amministrazione concessionaria e gli utenti; più precisamente nella concessione di servizi il costo del servizio grava sugli utenti mentre nell’appalto di servizi spetta alla amministrazione compensare l’attività svolta dal privato (Cons. Stato, VI, 4.8.2009 n.4890)
Ed inoltre “..gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i beni del patrimonio indisponibile del Comune, precisamente tra quelli destinati ad un pubblico servizio, essendo finalizzati a soddisfare proprio l’interesse dell’intera collettività alle discipline sportive e possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati perché ne facciano un uso ben determinato solo mediante concessione amministrative” (Cass.Civ. SS. UU. 10199/94).
Ne deriva la riconduzione della causa de quo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 33 del d.lg.vo 1998 n.80 .
Con il secondo motivo il Comune sostiene che il contratto del 1998 non ha mai esplicato i suoi effetti mentre vi sarebbero state carenze ed inadempienze di vario genere nella gestione dell’impianto sportivo da parte della società [OMISSIS].
Al riguardo deve tenersi conto che la deliberazione del 1998 n. 31, cui si riferisce l’amministrazione, è espressamente integrativa e modificativa della convenzione correlata alla deliberazione n. 388 del 1997, con la quale è stata disposta la seconda rinnovazione del rapporto concessorio sicché la disciplina complessiva del rapporto risulta dal coordinamento dei due atti ed i due provvedimenti, succedutisi nel tempo, non vanno apprezzati isolatamente l’uno dall’altro, ma si pongono come atti di progressiva modificazione di un rapporto in itinere, che conserva natura concessoria e di cui vengono, di volta in volta, modificati alcuni profili di disciplina.
D’altro canto, proprio la delibera 1998 n. 31, subordina l’adeguamento dei termini economici del rapporto all’ultimazione dei lavori relativi all’impianto natatorio esterno, lavori non demandati al concessionario del servizio pubblico.
L’amministrazione sostiene che la sopradetta delibera n. 31 non avrebbe mai avuto esecuzione e che la convenzione del 1998 non poteva ritenersi vigente tra le parti.
Ma come rilevato dal Tar, le deduzioni del Comune evidenziano che alcuni profili della convenzione del 1998 non hanno potuto trovare esecuzione per la ritardata ultimazione dei lavori, fatto questo che non integrava un inadempimento del gestore agli obblighi derivanti dalla convenzione, sicché non è riconducibile alle ipotesi che, in base all’art. 14 della convenzione, giustificavano lo scioglimento unilaterale e anticipato del rapporto; dall’altro, non esprimono una concreta ragione di interesse pubblico capace di giustificare in termini di ragionevolezza la decisione di fare cessare autoritativamente, prima della scadenza, la concessione di cui era titolare [OMISSIS] s.a.s. e che veniva a scadenza nel dicembre 2003.
Poichè la delibera del 1998 subordinava all’ultimazione dei lavori l’adeguamento economico del rapporto ma non la permanenza del medesimo, la circostanza che alcuni dei profili della convenzione integrativa della delibera del 1998 non abbiano trovato attuazione in ragione della ritardata esecuzione dei lavori da parte dell’amministrazione, non rappresentava una causa di cessazione del rapporto in base al contenuto della convenzione medesima, né consentiva di desumere quali ragioni di interesse pubblico sottendevano la decisione autoritativa di scioglimento anticipato.
Anche il riferimento a carenze e inadempienze di vario genere asseritamente imputabili alla società [OMISSIS] “specialmente nell’ultimo periodo”, costituiva una motivazione di puro stile, perché non si riferiva a fatti concreti, esattamente individuati nella loro consistenza e collocazione temporale, risolvendosi in considerazioni generiche e prive di elementi di riscontro.
Esattamente quindi il primo giudice ha rilevato l’insufficienza motivazionale del provvedimento impugnato giacché le considerazioni sviluppate dall’amministrazione sono, in parte, del tutto generiche ed, in parte, inidonee a supportare lo scioglimento anticipato del rapporto concessorio, sia perché non si riferivano a specifici inadempimenti del gestore, sia perché non indicavano, neppure in via sintetica, le ragioni di interesse pubblico sottese alla cessazione autoritativa del rapporto prima della sua naturale scadenza, con conseguente violazione del generale obbligo motivazionale previsto dall’art. 3 della legge 1990 n. 241, mentre risulta pacifico che gli atti con i quali l’amministrazione, in esercizio di poteri di autotutela, pone fine anticipatamente ad un rapporto concessorio, come nel caso di specie, necessitano di un’adeguata motivazione che dia conto dei fatti sopravvenuti e delle ragioni di interesse pubblico sottesi alla determinazione assunta, secondo quanto risulta dall’art. 21 quinquies della legge 1990 n. 241.
Non ha quindi pregio la censura del Comune secondo la quale la convenzione del 1998 non prevede la condizione di efficacia delle nuove condizioni economiche e che di cio’ non avrebbe tenuto conto il Tar. Sono infatti le due convenzioni integrate e la delibera di approvazione della seconda che consentono di ricavare la reale volontà delle parti e quindi l’effetto condizionato delle nuove clausole economiche. Una volta che l’impianto fosse stato ampliato e quindi fosse stato in grado di offrire una maggiore ricettività e maggiori introiti per il gestore, sarebbero state applicate le nuove clausole più onerose.
Il Comune poi afferma, nell’atto di appello, che le inadempienze sarebbero state illustrate nel corso del giudizio di primo grado. Al riguardo è appena il caso di sottolineare che così deducendo il Comune tende ad effettuare una inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento. Ed invero la motivazione del provvedimento amministrativo non puo’ essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con cio’ il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (Cons. Stato, VI, 6997 del 2009).
In ogni caso il Comune richiama la deliberazione della G.C. n.310 del 31.10.2000 per evidenziare che sarebbero state effettuate delle contestazioni alla concessionaria e che detta deliberazione non sarebbe stata contestata dall’appellata [OMISSIS]. Senonchè, come rilevato dalla resistente, la deliberazione n.310 del 2000 attiene ad un diverso contratto del 2.8.2000 relativo all’appalto per la stagione estiva del 2000.
Relativamente alla situazione di degrado della piscina interna puo’ rilevarsi inoltre che l’art.5 della convenzione per la gestione della piscina stabilisce puntualmente che sono a carico del gestore la sola manutenzione ordinaria e la pulizia della struttura, mentre è dubbio che gli interventi elencati dal Comune possano farsi rientrare tra quelli di manutenzione ordinaria.
Ancora da rilevare è che il decreto ingiuntivo per il pagamento delle utenze è successivo di quasi due anni al provvedimento di risoluzione del contratto e non puo’ essere portato a fondamento della deliberazione del 2000. Si aggiunga ancora che mai alcuna contestazione o diffida è stata mossa nei confronti della società.
Anche le argomentazioni del Tar in ordine al danno lamentato dalla ricorrente devono essere condivise, trattandosi dello scioglimento anticipato del rapporto concessorio disposto con un provvedimento carente di motivazione in violazione di elementari doveri di diligenza di talchè, escluso ogni errore scusabile, evidente risulta la colpa della amministrazione. Quanto poi alla prova del danno patrimoniale le allegazioni della appellata appaiono sufficienti essendo peraltro risolutiva la circostanza che la società avrebbe potuto continuare a percepire ricavi per effetto delle entrate tariffarie derivanti dalla gestione della piscina comunale con ottenimento dell’utile economico, detratte le spese sostenute e sotto tale profilo, davvero non si comprendono le doglianze dell’appellante Comune che assume che il danno era dimostrato in via meramente presuntiva.
In realtà il Tar ha liquidato il danno sulla base dei dati delle pregresse gestioni della società in quanto le condizioni economiche nuove erano subordinate alla realizzazione della piscina scoperta che la società non aveva mai iniziato a gestire.
In conclusione l’appello non merita accoglimento.
Tuttavia per la peculiarità della vicenda le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione definitivamente decidendo sull’appello, lo respinge .
Spese compensate..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 15/11/2010