Processo Tributario. In appello una lite “pesante” impone la presenza del difensore – Cassazione Civile, Sentenza n. 21139/2010
L’assistente va nominato al di là della sollecitazione del giudice della Ctr. Se ciò non avviene il ricorso è insanabile
Nell’ipotesi in cui il ricorso in appello, proposto dal contribuente in relazione ad una controversia di valore superiore a quello indicato nell’articolo 12 del Dlgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – 2.582,28 euro, ndr -, non rechi la sottoscrizione di un difensore abilitato l’immediata declaratoria di inammissibilità del gravame è legittima, non essendo subordinata all’inottemperanza all’ordine di nomina impartito dal giudice che ha rilevanza unicamente nel giudizio di primo grado.
Così, con la sentenza n. 21139 del 13 ottobre, la Corte di cassazione ha riaperto una partita che sembrava essersi definitivamente chiusa con l’intervento, dapprima della Corte costituzionale e, di seguito, e in senso conforme, delle sezioni unite civili della stessa Suprema corte.
La materia del contendere, oggi come allora, è rappresentata dall’interpretazione della norma che disciplina il processo tributario in ordine all’assistenza tecnica di cui le parti “diverse dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ente locale nei cui confronti è stato proposto il ricorso” devono necessariamente dotarsi per poter partecipare al giudizio (articolo 30, legge 413/1991).
In proposito, l’articolo 12 del Dlgs 546/1992, prevede, al primo comma, che i contribuenti partecipino al processo a mezzo di un difensore abilitato, salvi i casi in cui la controversia abbia un valore inferiore a 2.582,28 euro ovvero sia stata promossa da un soggetto abilitato all’assistenza tecnica ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 12.
In particolare, la norma individua i difensori autorizzati negli avvocati, dottori e ragionieri commercialisti, periti commerciali, consulenti del lavoro, funzionari e dirigenti a riposo dell’Amministrazione finanziaria, sottufficiali e ufficiali in congedo della Guardia di finanza, iscritti in appositi elenchi tenuti presso le direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate, funzionari delle associazioni di categoria, e altri soggetti quali ingegneri, architetti, dottori agronomi, geometri, periti edili e agrari, limitatamente alle controversie relative alle materie di loro competenza.
L’originaria interpretazione della norma portava a ritenere irrimediabilmente affetto da causa di inammissibilità il ricorso sottoscritto dal solo contribuente, nell’ipotesi di lite di valore superiore a cinque milioni di lire e tale pesante conseguenza posta a carico del contribuente aveva indotto, già nel 1998 (il nuovo rito tributario di cui al Dlgs 546/1992 è entrato in vigore il 1° aprile 1996), la Ctp di Novara, con l’ordinanza n. 360/1998, a esprimere dubbi circa la conformità degli articoli 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, del Dlgs 546/1992, ai precetti costituzionali recati dagli articoli 3 e 24 della Carta.
In particolare, secondo i giudici piemontesi, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario si era consolidato nel senso di ritenere confliggenti con l’articolo 24, che tutela il diritto ad agire in giudizio per la difesa delle proprie ragioni giuridiche, anche le norme che limitino, per ragioni di carattere meramente procedurale, la concreta possibilità del singolo di esercitare il proprio diritto costituzionalmente garantito.
Il giudizio di legittimità costituzionale innescato dalla Commissione novarese si era poi concluso dinanzi alla Consulta che, con una sentenza interpretativa di rigetto, la n. 189/2000, aveva chiarito che l’inammissibilità del ricorso riferito a una controversia di valore superiore a cinque milioni di lire, per difetto della sottoscrizione da parte di professionista abilitato alla difesa tecnica “scatta solo a seguito dell’ordine ineseguito, nei termini fissati dal Presidente della Commissione o della Sezione o del Collegio, di munirsi di assistenza tecnica tramite il conferimento dell’incarico ad un professionista abilitato”.
La Corte di cassazione, che pure non si era mostrata immediatamente condiscendente nei riguardi del canone interpretativo offerto dalla sentenza della Consulta (cfr, sentenza n. 1100/2002), si è finalmente conformata alla posizione espressa dal giudice delle leggi, con la sentenza n. 8369/2002, pur non mancando di evidenziare “le sue perplessità sulla interpretazione delle norme processuali accolta dalla Corte Costituzione ed affermando che a tale interpretazione si adegua per consentire il raggiungimento della certezza del diritto”.
Nel 2003 la Corte costituzionale, il cui intervento sul punto era stato invocato dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari, ribadì la propria posizione e, con l’ordinanza n. 158/2003, dichiarò manifestamente infondata la questione sollevata dal giudice rimettente, in quanto quest’ultimo aveva trascurato l’interpretazione costituzionalmente conforme indicata con la sentenza n. 189/2000, per la quale “l’inammissibilità del ricorso, quando non vi sia assistenza tecnica per controversie di valore superiore a 5.000.000 di lire, scatta – per scelta del legislatore tutt’altro che irragionevole – solo a seguito di un ordine del giudice ineseguito nei termini fissati e non per il semplice fatto della mancata sottoscrizione del ricorso da parte di un professionista abilitato”.
I contrasti interpretativi insorti in seno alla Corte di cassazione provocarono l’intervento delle sezioni unite che, con la sentenza n. 22601/2004, dopo aver chiarito che “non può riconoscersi alla Corte di Cassazione un monopolio nella formazione del diritto vivente e nell’enunciazione d’interpretazioni adeguatrici, ricavato dal compito di nomofilachia assegnatole dall’art. 65, comma 1, dell’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12)” e che non esiste nell’ordinamento “un vincolo giuridico formale, almeno nei confronti dei giudici diversi da quello a quo, ad una pronuncia interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale”, prendevano atto “dell’interpretazione sulla quale il giudice delle leggi ha fondato la propria decisione di rigetto” e si dichiaravano propense “a condividerne il tenore, se non altro perché la diversa interpretazione – accolta da alcune sentenze di questa Corte – condurrebbe inevitabilmente ad una dichiarazione d’incostituzionalità, ove la Corte Costituzionale dovesse rilevare la formazione di un diritto vivente in tal senso, espresso in una pronuncia delle Sezioni Unite”.
L’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in tema di assistenza tecnica nel processo tributario ha, quindi, trovato pacifica applicazione negli arresti giurisprudenziali intervenuti successivamente alla pronuncia delle sezioni unite e fino alla scorsa estate quando, la sezione tributaria, con la sentenza in esame, ha espresso una singolare linea interpretativa secondo la quale, ferma l’obbligatorietà dell’ordine del giudice quale presupposto necessario per dichiarare, ove lo stesso fosse rimasto inevaso, l’inammissibilità del ricorso, quest’ultima deve intendersi riferita, sulla scorta di una formalistica interpretazione delle pronunce del giudice delle leggi e del disposto dell’articolo 12, esclusivamente al primo grado di giudizio, con la conseguenza, a questo punto coerente, che il ricorso in appello privo della sottoscrizione del difensore abilitato è caratterizzato da un insanabile vizio che ne legittima la declaratoria di inammissibilità.
Con questo cambio di rotta, la sentenza smentisce una recente pronuncia (n. 21459/2009) della stessa sezione tributaria, che riconosceva efficacia cogente al principio in forza del quale “la commissione tributaria regionale, chiamata a giudicare una controversia di valore superiore a L. 5.000.000, è tenuta a disporre, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, che il contribuente, attore o convenuto in giudizio, il quale risulti privo dell’assistenza di un difensore, si munisca, invece, dell’indispensabile assistenza tecnica. Da ciò consegue l’illegittimità dell’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso pronunciata in assenza dell’ordine de quo”, e ne estendeva esplicitamente la portata tanto al giudizio di primo grado che all’eventuale fase di appello.
Questa volta, però, il caso all’attenzione dei giudici di legittimità aveva messo in luce una sorta di avversione dei ricorrenti a servirsi dell’ausilio di un difensore abilitato. Nella sentenza n. 21139 è, infatti, riportato che anche nel giudizio di primo grado i contribuenti, sprovvisti della prescritta difesa, se ne erano dotati solo in seguito all’ordine del giudice, salvo ripresentarsi, in veste di appellanti, nel giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale del Veneto nuovamente privi di difensore abilitato.
Fabio Petrone
fonte: nuovofiscooggi.it