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Condizione per il riconoscimento dello status di rifugiato o beneficiario della protezione sussidiaria – Corte di Giustizia UE, Sentenza del 09/11/2010

La Corte di giustizia si è pronunciata in ordine alla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, stabilendo che la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui alla posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, ed abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la stessa abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite».

La Corte ha inoltre affermato che la constatazione della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se gli atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona che ne abbia fatto parte, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2. Il Giudice comunitario ha infine precisato: a) che l’esclusione dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole considerate nella direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro d’accoglienza. Le clausole d’esclusione mirano solo a sanzionare atti commessi in passato. Nell’ambito della direttiva, infatti, altre disposizioni consentono alle autorità di adottare le misure necessarie quando una persona rappresenta un pericolo attuale; b) che gli Stati membri possono riconoscere il diritto d’asilo sulla base del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole di esclusione della direttiva, purché questo altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato delineato ai sensi della stessa direttiva.

Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, Sentenza del 9 novembre 2010
 
Nei procedimenti riuniti C‑57/09 e C‑101/09,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), con decisioni 14 ottobre e 25 novembre 2008, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 10 febbraio e 13 marzo 2009, nelle cause

Bundesrepublik Deutschland

contro

B (causa C‑57/09),

D (causa C‑101/09),

con l’intervento di:

Vertreter des Bundesinteresses beim Bundesverwaltungsgericht (cause C‑57/09 e C‑101/09),

Bundesbeauftragter für Asylangelegenheiten beim Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (causa C‑101/09),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, U. Lõhmus e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione, in primo luogo, dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva»), e, in secondo luogo, dell’art. 3 della medesima direttiva.

2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) – rappresentata dal Bundesministerium des Inneren (ministero federale dell’Interno), a sua volta rappresentato dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, in prosieguo il «Bundesamt») – opposta a B (causa C‑57/09) e D (causa C‑101/09), cittadini turchi di origine curda, relativamente, rispettivamente, al rigetto della domanda di asilo e per il riconoscimento dello status di rifugiato presentata da B e alla revoca, da parte della stessa autorità, del diritto di asilo e dello status di rifugiato che erano stati riconosciuti a D.

Contesto normativo

Il diritto internazionale

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati

3 La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

4 L’art. 1, dopo aver definito nella sezione A, in particolare, la nozione di «rifugiato» ai fini della Convenzione in parola, enuncia nella sezione F:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

(…)

b) hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

c) si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite».

5 L’art. 33 della Convenzione di Ginevra, intitolato «Divieto di espulsione e di rinvio al confine» stabilisce:

«1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

6 L’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), così dispone:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

7 A seguito degli attacchi terroristici compiuti l’11 settembre 2001 a New York, a Washington e in Pennsylvania, il 28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, sulla base del capo VII della Carta delle Nazioni Unite, la risoluzione 1373 (2001).

8 Il preambolo di tale risoluzione riafferma «la necessità di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce che gli atti di terrorismo fanno pesare sulla pace e sulla sicurezza internazionale».

9 Ai sensi del punto 5 di tale risoluzione, «gli atti, metodi e pratiche terroristici sono contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e (…) il finanziamento e l’organizzazione di atti terroristici o l’istigazione a commettere tali atti, compiuti scientemente, sono altresì contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite».

10 Il 12 novembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1377 (2001), nella quale esso «[s]ottolinea che gli atti di terrorismo internazionale sono contrari alle finalità e ai principi enunciati nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e che il finanziamento, la pianificazione e la preparazione degli atti di terrorismo internazionale, come tutte le altre forme di sostegno a tal fine, sono del pari contrari alle finalità e ai principi in essa enunciati».

La normativa dell’Unione

La direttiva

11 Ai sensi del terzo ‘considerando’ della direttiva la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

12 Il sesto ‘considerando’ precisa che lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per individuare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

13 Il nono ‘considerando’ della direttiva è formulato nel modo seguente:

«La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base di discrezionale».

14 Il decimo ‘considerando’ della direttiva precisa che essa rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana , e il diritto di asilo dei richiedenti asilo.

15 I ‘considerando’ sedicesimo e diciassettesimo della direttiva sono così formulati:

«16) Dovrebbero essere stabilite norme minime per la definizione ed il contenuto dello status di rifugiato, al fine di orientare le competenti autorità nazionali degli Stati membri nell’applicazione della convenzione di Ginevra.

17) È necessario introdurre dei criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo della qualifica di rifugiati ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra».

16 Il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva così prevede:

«Gli atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite sono enunciati nel preambolo e agli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite e si rispecchiano, tra l’altro, nelle risoluzioni delle Nazioni Unite relative alle misure di lotta al terrorismo, nelle quali è dichiarato che “atti, metodi e pratiche di terrorismo sono contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite” e che “chiunque inciti, pianifichi, finanzi deliberatamente atti di terrorismo compie attività contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”».

17 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva ha lo scopo di stabilire norme minime in materia, da un lato, di attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale e, d’altro lato, in materia di contenuto della protezione riconosciuta.

18 Ai sensi dell’art. 2 della direttiva, ai fini della stessa, si intende per:

«a) “protezione internazionale”: lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria quale definito alle lettere d) e f);

(…)

c) “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

d) “status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(…)

g) “domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta ad uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nel campo d’applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

(…)».

19 L’art. 3 della direttiva così recita:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone ammissibili alla protezione sussidiaria nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

20 L’art. 12 della direttiva, che è intitolato «Esclusione» e compare nel suo capo III, a sua volta intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», dispone ai nn. 2 e 3:

«2. Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere:

(…)

b) che abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;

c) che si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite.

3. Il paragrafo 2 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati».

21 Gli artt. 13 e 18 della direttiva stabiliscono che gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato o lo status offerto dalla protezione sussidiaria ai cittadini di paesi terzi che soddisfano i requisiti di cui, rispettivamente, ai capi II e III o II e V della direttiva medesima.

22 L’art. 14 della direttiva, intitolato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status» e contenuto nel capo IV della stessa, a sua volta intitolato «Status di rifugiato», è così formulato:

«1. Per quanto riguarda le domande di protezione internazionale presentate successivamente all’entrata in vigore della presente direttiva gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo (…) da un organismo [competente] se questi ha cessato di essere un rifugiato ai sensi dell’articolo 11.

(…)

3. Gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo o di un apolide qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, lo Stato membro interessato abbia stabilito che:

a) la persona in questione avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12;

(…)».

23 L’art. 21 della direttiva, che compare al capo VII di quest’ultima, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», ai nn. 1 e 2 così dispone:

«1. Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali.

2. Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno, quando:

a) vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o

b) […] essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

24 Conformemente ai suoi artt. 38 e 39, la direttiva è entrata in vigore il 9 novembre 2004 e la sua trasposizione doveva avvenire al più tardi entro il 10 ottobre 2006.

La posizione comune 2001/931/PESC

25 Per attuare la risoluzione 1373 (2001), il 27 dicembre 2001 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93).

26 L’art. 1, n. 1, di detta posizione comune prevede che essa si applica «alle persone, gruppi ed entità, (…) coinvolti in atti terroristici» il cui elenco compare nell’allegato della stessa posizione comune.

27 Ai termini dell’art. 1, nn. 2 e 3, della posizione comune 2001/931, ai fini della stessa:

«2. (…) per “persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici” si intendono:

– persone che compiono, o tentano di compiere, atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano,

– gruppi ed entità posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone; e persone, gruppi ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone, gruppi ed entità, inclusi i capitali provenienti o generati da beni posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone o da persone, gruppi ed entità ad esse associate.

3. (…) per “atto terroristico” si intende uno degli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la sua natura o contesto, possa recare grave danno a un paese o un’organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di:

(…)

iii) destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un’organizzazione internazionale:

(…)

k) partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo.

(…)».

28 La posizione comune 2001/931 contiene un allegato intitolato «Elenco delle persone, gruppi ed entità di cui all’articolo 1 (…)». Inizialmente in tale elenco non comparivano né il DHKP/C né il PKK.

29 Il contenuto di tale allegato è stato aggiornato dalla posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC (GU L 116, pag. 75).

30 In tale allegato, così aggiornato, ai punti 9 e 19 della sezione 2, intitolata «Gruppi e entità» compaiono, rispettivamente, il «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK)» e l’«Esercito/Fronte/Partito rivoluzionario popolare di liberazione (DHKP/C), [anche noto come Devrimci Sol (Sinistra rivoluzionaria), Dev Sol]». Tali organizzazioni sono state poi mantenute nell’elenco di cui all’art. 1, n. 1 e 6, della posizione comune 2001/931 dalle successive posizioni comuni del Consiglio, da ultimo dalla decisione del Consiglio 12 luglio 2010, 2010/386/PESC, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931 (GU L 178, pag. 28).

La decisione quadro 2002/475/GAI

31 L’art. 1 della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/475/GAI, sulla lotta contro il terrorismo (GU L 164, pag. 3), impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali, enumerati nello stesso articolo, che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi per uno dei fini del pari indicati in tale articolo.

32 L’art. 2 di detta decisione quadro, intitolato «Reati riconducibili a un’organizzazione terroristica», al suo n. 2 così dispone:

«Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano punibili i seguenti atti intenzionali:

(…)

b) partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica, anche fornendole informazioni o mezzi materiali, ovvero tramite qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose dell’organizzazione terroristica».

La normativa nazionale

33 L’art. 16a, n. 1, della legge fondamentale (Grundgesetz) dispone quanto segue:

«I perseguitati politici beneficiano del diritto di asilo».

34 Nell’art. 1 della legge sulla procedura d’asilo (Asylverfahrensgesetz; in prosieguo l’«AsylVfG»), nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 1798), si enuncia che la legge si applica agli stranieri che chiedono protezione in quanto perseguitati politici ai sensi dell’art. 16a, n. 1, della legge fondamentale o la protezione contro le persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra.

35 L’art. 2 dell’AsylVfG prevede che i beneficiari del diritto d’asilo godono, nel territorio nazionale, dello status definito dalla Convenzione di Ginevra.

36 Lo status di rifugiato era inizialmente regolato dall’art. 51 della legge sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale (Gesetz über die Einreise und den Aufenthalt von Ausländern im Bundesgebiet; in prosieguo: l’«Ausländergesetz»).

37 La legge 9 gennaio 2002 per la lotta al terrorismo internazionale (Gesetz zur Bekämpfung des internationalen Terrorismus, BGBl. 2002 I, pag. 361, in prosieguo: il «Terrorismusbekämpfungsgesetz») ha inserito, per la prima volta, nell’art 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz, con effetto dall’11 gennaio 2002, cause di esclusione che rispecchiano quelle previste all’art. 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra.

38 Con la legge 19 agosto 2007 che recepisce le direttive dell’Unione europea in materia di diritto di soggiorno e d’asilo (Gesetz zur Umsetzung aufenthalts- und asylrechtlicher Richtlinien der Europäischen Union, BGBl. 2007 I, pag. 1970), entrata in vigore il 28 agosto 2007, la Repubblica federale di Germania ha trasposto, fra le altre, la direttiva.

39 Attualmente i requisiti per essere considerato rifugiato sono fissati all’art. 3, dell’AsylVfG. Ai sensi dei nn. 1-2 di questo articolo:

«(1) Uno straniero è un rifugiato ai sensi della [Convenzione di Ginevra] se è esposto a minacce ai sensi dell’art. 60, n. 1, della legge [in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet, in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»)] nello Stato di cui è cittadino (…).

(2) Uno straniero è escluso dallo status di rifugiato ai sensi del n. 1 ove sussistano fondati motivi per ritenere:

1. (…)

2. che abbia commesso un reato grave di diritto comune al di fuori del territorio nazionale, prima di esservi ammesso come rifugiato, in particolare un atto crudele, anche quando quest’ultimo sia stato commesso con un dichiarato obiettivo politico, oppure

3. che abbia commesso atti contrari ai principi e alle finalità delle Nazioni Unite;

La prima frase trova applicazione anche nei confronti degli stranieri che abbiano istigato tali crimini o tali atti, o che abbiano partecipato ad essi in altro modo».

40 Le cause di esclusione che compaiono all’art. 3, n. 2, dell’AsylVfG hanno sostituito, a decorrere dal 28 agosto 2007, l’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz, che aveva a sua volta sostituito l’art. 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz.

41 L’art. 60, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz, nella versione pubblicata il 25 febbraio 2008 (BGBl. 2008, pag. 162) così recita:

«In applicazione della Convenzione [di Ginevra], uno straniero non può essere ricondotto alla frontiera verso uno Stato nel quale la sua vita o la sua libertà siano minacciate a causa della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. (…)».

42 L’art. 73, n. 1, prima frase, dell’AsylVfG prevede che «[i]l riconoscimento del diritto d’asilo e dello status di rifugiato sono immediatamente revocati laddove non siano più soddisfatte le condizioni prescritte a tal fine».

Cause principali e questioni pregiudiziali

La causa C‑57/09

43 Alla fine del 2002, B, nato nel 1975, è entrato in Germania ove ha chiesto asilo e protezione in quanto rifugiato e ha altresì chiesto, in subordine, di poter beneficiare di un divieto di espulsione verso la Turchia.

44 A sostegno della sua domanda, egli ha, in particolare, dichiarato di aver simpatizzato, in Turchia, mentre era ancora a scuola, con il Dev Sol (divenuto il DHKP/C) e di aver appoggiato la lotta armata della guerriglia in montagna tra la fine del 1993 e l’inizio del 1995.

45 Dopo il suo arresto nel mese di febbraio 1995, avrebbe subìto gravi maltrattamenti fisici e sarebbe stato costretto a rilasciare una dichiarazione sotto tortura.

46 Nel corso del mese di dicembre 1995, egli sarebbe stato condannato all’ergastolo.

47 Nel 2001, mentre era detenuto, sarebbe stato nuovamente condannato all’ergastolo dopo essersi assunto la responsabilità dell’omicidio di un altro detenuto sospettato di essere un delatore.

48 Nel dicembre 2002, egli avrebbe approfittato di un periodo di sei mesi in libertà condizionata per ragioni di salute per lasciare la Turchia e recarsi in Germania.

49 Con decisione in data 14 settembre 2004, il Bundesamt ha respinto la domanda di asilo di B dichiarandola infondata e ha constatato che non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 51, n. 1, dell’Ausländergesetz. Tale autorità ha ritenuto che, avendo commesso gravi reati di diritto comune, B rientrasse nel secondo caso di esclusione previsto nell’art. 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz (menzionato successivamente all’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz, e poi all’art. 3, n. 2, punto 2, dell’AsylVfG).

50 Nella stessa decisione, il Bundesamt ha inoltre constatato che non esisteva nel diritto nazionale applicabile alcun ostacolo all’espulsione di B verso la Turchia e ha dichiarato che poteva essere espulso verso tale paese.

51 Con sentenza 13 giugno 2006, il Verwaltungsgericht Gelsenkirchen (tribunale amministrativo di Gelsenkirchen) ha annullato la decisione del Bundesamt e ha ordinato a tale autorità di concedere il diritto d’asilo a B e di constatare il divieto di espulsione di B verso la Turchia.

52 Con sentenza 27 marzo 2007, l’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (tribunale amministrativo regionale superiore del Nord Reno-Westfalia) ha respinto l’appello proposto dal Bundesamt contro detta sentenza, considerando che a B dovesse essere concesso il diritto d’asilo in forza dell’art. 16a del Grundgesetz e lo status di rifugiato.

53 Tale organo giurisdizionale ha ritenuto, in particolare, che la clausola di esclusione fatta valere dal Bundesamt debba essere intesa nel senso che essa non mira solo a sanzionare un grave crimine di diritto comune commesso in passato, ma anche a prevenire il rischio che il richiedente potrebbe rappresentare nello Stato membro d’accoglienza, e che la sua applicazione esige una valutazione complessiva della fattispecie alla luce del principio di proporzionalità.

54 Contro tale sentenza il Bundesamt ha proposto un ricorso per «Revision» dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa), deducendo l’applicazione del secondo e del terzo caso di esclusione previsti all’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz (e successivamente all’art. 3, n. 2, punti 2 e 3, dell’AsylVfG) e sostenendo che, contrariamente alla tesi adottata dal giudice d’appello, tali due casi di esclusione non presuppongono né la sussistenza di un pericolo per la sicurezza della Repubblica federale di Germania, né un esame di proporzionalità con riferimento al caso di specie.

55 Inoltre, secondo il Bundesamt, le cause di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva farebbero parte dei principi ai quali, a norma dell’art. 3 di quest’ultima, gli Stati membri non possono derogare.

La causa C‑101/09

56 D, nato nel 1968, soggiorna in Germania dal maggio 2001, ove ha chiesto asilo l’11 maggio 2001.

57 A sostegno della sua domanda egli ha dichiarato in particolare che, nel 1990, era fuggito in montagna per unirsi al PKK. Egli avrebbe combattuto nella guerriglia e sarebbe stato un alto funzionario del PKK. Alla fine del 1998, il PKK l’avrebbe inviato nel nord dell’Iraq.

58 A causa di disaccordi d’ordine politico con la direzione del PKK, egli avrebbe abbandonato tale organizzazione nel maggio 2000 e sarebbe da allora minacciato. Si sarebbe trattenuto nell’Iraq settentrionale ancora per circa un anno, ma senza essere al sicuro neppure in tale luogo.

59 Il Bundesamt gli ha accordato, nel maggio 2001, il diritto d’asilo e gli ha riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi del diritto nazionale all’epoca vigente.

60 A seguito dell’entrata in vigore del Terrorismusbekämpfungsgesetz, il Bundesamt ha avviato una procedura di revoca e, con decisione 6 maggio 2004, ha revocato, in forza dell’art. 73, n. 1, dell’AsylVfG, la decisione di riconoscimento del diritto d’asilo e dello status di rifugiato di cui aveva goduto D. Tale autorità ha considerato che sussistessero fondati motivi per ritenere che D avesse commesso un grave reato di diritto comune al di fuori della Germania prima di rifugiarvisi e che si fosse reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

61 Con sentenza 29 novembre 2005, il Verwaltungsgericht Gelsenkirchen ha annullato tale decisione di revoca.

62 L’appello proposto dal Bundesamt è stato respinto dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen con sentenza 27 marzo 2007. Seguendo un ragionamento analogo a quello sotteso alla sentenza in pari data nella causa riguardante B, tale organo giurisdizionale ha considerato inapplicabili, anche nel caso di D, le cause di esclusione previste dalla normativa nazionale.

63 Il Bundesamt ha proposto un ricorso per «Revision» contro tale sentenza, deducendo sostanzialmente motivi analoghi a quelli presentati a sostegno del ricorso proposto nella causa relativa a B.

Le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte

64 Il giudice del rinvio rileva che, secondo gli accertamenti effettuati dal giudice d’appello, ai quali il giudice del rinvio è vincolato, i resistenti nelle cause principali, in caso di rientro nel paese d’origine, non sarebbero sufficientemente al riparo da nuove persecuzioni. Ne deduce che nelle due cause ricorrono le condizioni positive per essere considerato rifugiato. Tuttavia, gli interessati non potranno vedersi riconoscere la qualità di rifugiato laddove fosse applicabile una delle clausole di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva.

65 Detto giudice ha precisato che, in caso di applicazione di una di tali clausole di esclusione, i resistenti nelle cause principali sarebbero legittimati a vedersi riconoscere il diritto d’asilo ai sensi dell’art. 16a del Grundgesetz, il quale non esclude da tale diritto alcuna categoria di persone.

66 Esso rileva infine che né un’esclusione ai sensi dell’art. 12 della direttiva né la constatazione di un’eventuale incompatibilità tra l’art. 16a del Grundgesetz e la direttiva condurrebbero necessariamente alla perdita, per i resistenti nelle cause principali, del diritto di soggiornare in Germania.

67 In tale contesto il Bundesverwaltungsgericht ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte, in ciascuna delle cause principali, le cinque questioni pregiudiziali seguenti, la prima e la quinta delle quali presentano una formulazione leggermente diversa in considerazione delle circostanze proprie di ciascuna causa:

«1) Se si configuri un reato grave di diritto comune ovvero un atto contrario alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva (…), nel caso in cui [:]

[–] il richiedente asilo abbia fatto parte di un’organizzazione che è iscritta nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune [2001/931] e che opera con metodi terroristici, e il detto richiedente abbia attivamente sostenuto la lotta armata di tale organizzazione; (causa C‑57/09)

[–] lo straniero sia stato coinvolto per anni, in quanto combattente e funzionario, e per un periodo anche come membro del comitato direttivo, in un’organizzazione (nella fattispecie: il PKK) che nella sua lotta armata contro lo Stato (nella fattispecie: la Turchia) ha continuato ad applicare metodi terroristici e che risulta iscritta nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune [2001/931] e detto straniero abbia con ciò attivamente sostenuto la lotta armata di tale organizzazione occupando in essa una posizione preminente (causa C‑101/09).

2) In caso di soluzione affermativa della prima questione, se l’esclusione dal riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) [o] c), della direttiva (…) presupponga che [la persona in questione] continui a costituire una fonte di pericolo.

3) In caso di soluzione negativa della seconda questione, se l’esclusione dal riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) [o] c), della direttiva (…) presupponga un vaglio di proporzionalità riferito al singolo caso.

4) In caso di risposta affermativa alla terza questione:

a) se nell’ambito del vaglio di proporzionalità vada considerato il fatto che [la persona in questione] beneficia della tutela contro l’espulsione in forza dell’art. 3 della [CEDU] ovvero in forza di norme nazionali;

b) se l’esclusione sia sproporzionata soltanto in casi eccezionali presentanti caratteristiche particolari.

5) Se possa considerarsi compatibile con la direttiva (…), nel senso di cui all’art. 3 di quest’ultima, il fatto che [:]

[–] il richiedente, malgrado l’esistenza di una causa di esclusione ai sensi dell’art. 12, n. 2, della medesima direttiva, goda di un diritto di asilo in forza di norme costituzionali nazionali (causa C‑57/09);

[–] lo straniero, malgrado la sussistenza di una causa di esclusione ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva e malgrado la revoca dello status di rifugiato in conformità dell’art. 14, n. 3, [lett. a)] della medesima, continui ad essere riconosciuto come titolare di un diritto di asilo in forza di norme costituzionali nazionali (causa C‑101/09)».

68 Con ordinanza del presidente della Corte 4 maggio 2009 le cause C‑57/09 e C‑101/09 sono state riunite ai fini della fase scritta, della fase orale e della sentenza.

Sulla competenza della Corte

69 Nelle cause principali il Bundesamt ha adottato le decisioni controverse in base alle norme applicabili prima dell’entrata in vigore della direttiva, ossia prima del 9 novembre 2004.

70 Tali decisioni, che hanno dato luogo alla proposizione delle domande di pronuncia pregiudiziale in esame, non rientrano quindi nell’ambito di applicazione ratione temporis della direttiva.

71 Occorre tuttavia ricordare che, qualora le questioni sollevate dai giudici nazionali vertano sull’interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è in linea di principio tenuta a pronunciarsi. Non risulta, in particolare, dal dettato degli artt. 68 CE e 234 CE, né dalle finalità del procedimento istituito da quest’ultima disposizione che gli autori del Trattato CE abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una direttiva nel caso particolare in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvii al contenuto delle disposizioni di una convenzione internazionale, che sono riprese dalla direttiva in parola, per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna al detto Stato. In un caso del genere esiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni di tale convenzione internazionale riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (v., per analogia, sentenza 2 marzo 2010, cause riunite C‑175/08, causa C‑176/08, causa C‑178/08 e C‑179/08, Salahadin Abdulla e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 48).

72 Nelle presenti cause principali, il giudice del rinvio sottolinea che il Terrorismusbekämpfungsgesetz ha introdotto nel diritto nazionale cause di esclusione dallo status di rifugiato sostanzialmente corrispondenti a quelle contenute nell’art. 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra. Tenuto conto del fatto che anche le cause di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva corrispondono sostanzialmente a quelle che compaiono all’art. 1, sezione F, il Bundesamt, nelle due decisioni controverse nelle cause principali, adottate prima dell’entrata in vigore della direttiva, ha esaminato e applicato cause di esclusione che, sostanzialmente, corrispondono a quelle introdotte successivamente nella direttiva.

73 Inoltre, per quanto riguarda la decisione del Bundesamt di revocare la decisione che aveva accordato a D lo status di rifugiato, si deve rilevare che l’art. 14, n. 3, lett. a), della direttiva impone alle autorità competenti di uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato a qualunque persona interessata qualora esse accertino, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, che essa «avrebbe dovuto essere esclusa» dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12 della direttiva.

74 Orbene, contrariamente al motivo di revoca previsto all’art. 14, n. 1, della direttiva, quello di cui al n. 3, lett. a), di tale articolo non è accompagnato da un regime transitorio e non può essere limitato alle domande presentate o alle decisioni adottate successivamente all’entrata in vigore della direttiva. Esso non presenta neppure il carattere facoltativo delle cause di revoca di cui al n. 4 dello stesso articolo.

75 Alla luce di quanto sopra occorre rispondere alle questioni poste.

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

76 La direttiva è stata adottata sul fondamento, in particolare, dell’art. 63, primo comma, punto 1), lett. c), CE, il quale incaricava il Consiglio di adottare misure relative all’asilo, conformi alla Convenzione di Ginevra e agli altri trattati pertinenti, nell’ambito delle norme minime relative all’attribuzione dello status di rifugiato a cittadini di paesi terzi.

77 Dai ‘considerando’ terzo, sedicesimo e diciassettesimo della direttiva risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati e che le disposizioni della direttiva relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto del medesimo sono state adottate al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare detta Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni (sentenze Salahadin Abdulla e a., cit., punti 52, e 17 giugno 2010, causa C‑31/09, Bolbol, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37).

78 L’interpretazione delle disposizioni della direttiva deve pertanto essere effettuata alla luce dell’economia generale e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’art. 63, primo comma, punto 1, CE, divenuto art. 78, n. 1, TFUE. Tale interpretazione deve effettuarsi anche, come risulta dal decimo ‘considerando’ della direttiva, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali (citate sentenze Salahadin Abdulla e a., punti 53 e 54, nonché Bolbol, punto 38).

Sulla prima questione

79 Con la sua prima questione in ciascuna delle due cause, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se ci si trovi dinanzi ad un «reato grave di diritto comune» o ad «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite» ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva laddove la persona considerata abbia fatto parte di un’organizzazione che è presente nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici e tale persona abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, eventualmente occupando in quest’ultima una posizione preminente.

80 Per risolvere tale questione – diretta a far stabilire in quali limiti l’appartenenza di una persona ad un’organizzazione che è iscritta in tale elenco possa rientrare nell’ambito dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c) della direttiva – occorre preliminarmente verificare se gli atti commessi da tale organizzazione possano, come presume il giudice del rinvio, rientrare nelle categorie dei reati gravi e degli atti di cui, rispettivamente, alle citate lett. b) e c).

81 In primo luogo, è necessario considerare che gli atti di natura terroristica, che sono caratterizzati dalla loro violenza nei confronti delle popolazioni civili, anche se sono commessi con un dichiarato obiettivo politico, devono essere considerati reati gravi di diritto comune ai sensi di detta lett. b).

82 In secondo luogo, per quanto riguarda gli atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite di cui alla lett. c) dell’art. 12, n. 2, della direttiva, il ventiduesimo ‘considerando’ della stessa mostra che essi sono menzionati nel preambolo e agli artt. 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite e precisati, tra l’altro, dalle risoluzioni delle Nazioni Unite relative alle «misure di lotta al terrorismo».

83 Tra tali atti si annoverano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1373 (2001) e 1377 (2001), dalle quali risulta che quest’ultimo muove dal principio che gli atti di terrorismo internazionale sono, in linea generale e indipendentemente dalla partecipazione di uno Stato, atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite.

84 Ne consegue, come hanno sostenuto, nelle loro osservazioni scritte sottoposte alla Corte, tutti i governi che hanno presentato tali osservazioni e la Commissione europea, che le autorità competenti degli Stati membri possono applicare l’art. 12, n. 2, lett. c) della direttiva anche ad una persona che, nell’ambito della sua appartenenza ad un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931, sia stata coinvolta in atti terroristici aventi una dimensione internazionale.

85 Si pone inoltre la questione della misura in cui l’appartenenza ad un’organizzazione siffatta comporti che la persona di cui trattasi rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva ove essa abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, occupando eventualmente in quest’ultima una posizione preminente.

86 In proposito occorre rilevare che l’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva, come peraltro l’art. 1, sezione F, lett. b) e c), della Convenzione di Ginevra, consente di escludere una persona dallo status di rifugiato solo qualora sussistano «fondati motivi» per ritenere che «abbia commesso» al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune o che «si sia res[a] colpevole» di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

87 Risulta dal testo di tali disposizioni della direttiva che l’autorità competente dello Stato membro considerato non può applicarle prima di aver proceduto, per ciascun caso individuale, ad una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status di rifugiato, rientrino in uno di quei due casi di esclusione.

88 Di conseguenza, in primo luogo, anche se gli atti commessi da un’organizzazione che è iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici possono collegarsi a ciascuna delle cause di esclusione di cui alle lett. b) e c), dell’art. 12, n. 2 della direttiva, la sola circostanza che la persona di cui trattasi abbia fatto parte di un’organizzazione siffatta non può avere la conseguenza automatica che tale persona debba essere esclusa dallo status di rifugiato a norma di dette disposizioni.

89 Non sussiste, infatti, una relazione diretta tra la posizione comune 2001/931 e la direttiva quanto agli obiettivi perseguiti e non è giustificato che l’autorità competente, qualora intenda escludere una persona dallo status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 2, della direttiva, si fondi unicamente sulla sua appartenenza ad un’organizzazione che è presente in un elenco adottato al di fuori dell’ambito istituito dalla direttiva nel rispetto della Convenzione di Ginevra.

90 Nondimeno, l’inserimento di un’organizzazione in un elenco come quello di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 consente di stabilire la natura terroristica del gruppo del quale ha fatto parte la persona considerata, il che costituisce un elemento che l’autorità competente deve prendere in considerazione nel verificare, in un primo tempo, che tale gruppo abbia commesso atti che rientrano nell’ambito dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

91 A tal proposito va rilevato che i presupposti in base ai quali sono state inserite in tale elenco le due organizzazioni delle quali hanno fatto rispettivamente parte i resistenti nelle cause principali non possono essere comparati alla valutazione individuale di fatti precisi che deve precedere qualsiasi decisione di escludere una persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

92 In secondo luogo, e contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, neppure la partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. b), della decisione quadro 2002/475 può necessariamente ed automaticamente rientrare tra le cause di esclusione previste all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva.

93 Infatti, non solo tale decisione quadro, al pari della decisione comune 2001/931, è stata adottata in un contesto diverso da quello della direttiva, che è essenzialmente umanitario, ma l’atto intenzionale di partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica, che è definito all’art. 2, n. 2, lett. b), di tale decisione quadro e che gli Stati membri hanno dovuto rendere punibile nel loro diritto nazionale, non è di natura tale da far scattare l’applicazione automatica delle clausole di esclusione contenute all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva, le quali presuppongono un esame completo di tutte le circostanze proprie a ciascun caso individuale.

94 Risulta da tutte queste considerazioni che l’esclusione dallo status di rifugiato di una persona che abbia fatto parte di un’organizzazione che impiega metodi terroristici è subordinata ad un esame individuale di fatti precisi che consenta di valutare se sussistano fondati motivi per ritenere che, nell’ambito di tali attività all’interno di detta organizzazione, la persona considerata abbia commesso un reato grave di diritto comune o si sia resa colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, o che essa abbia istigato o altrimenti concorso alla commissione di un reato o di atti siffatti ai sensi dell’art. 12, n. 3, della direttiva.

95 Per poter considerare sussistenti le cause di esclusione di cui alle lett. b) e c) dell’art. 12, n. 2, della direttiva, è necessario poter ascrivere alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto da tale n. 2, una parte di responsabilità per atti commessi dall’organizzazione di cui trattasi durante il periodo in cui tale persona ne faceva parte.

96 Tale responsabilità individuale deve essere valutata alla luce di criteri tanto oggettivi quanto soggettivi.

97 A tal riguardo l’autorità competente deve esaminare in particolare il ruolo effettivamente svolto dalla persona considerata nel compimento degli atti in questione, la sua posizione all’interno dell’organizzazione, il grado di conoscenza che essa aveva o si poteva presumere avesse delle attività di quest’ultima, le eventuali pressioni alle quali sia stata sottoposta o altri fattori atti ad influenzarne il comportamento.

98 Un’autorità che, nel corso di tale esame, accerti che la persona considerata aveva occupato, come D, una posizione preminente in un’organizzazione che impiega metodi terroristici può presumere che tale persona abbia una responsabilità individuale per atti commessi da detta organizzazione durante il periodo rilevante, ma resta tuttavia necessario l’esame di tutte le circostanze pertinenti prima che possa essere adottata la decisione di escludere tale persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

99 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione posta in ciascuna delle due cause dichiarando che l’art. 12, n. 2, lett. b e c), della direttiva deve essere interpretato nel senso che:

– la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite»;

– la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.

Sulla seconda questione

100 Con la seconda questione in ciascuna delle cause il giudice del rinvio chiede se l’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata alla circostanza che la persona considerata continui a rappresentare un pericolo per lo Stato membro d’accoglienza.

101 Va anzitutto sottolineato che, nell’economia della direttiva, il pericolo attuale che un rifugiato può eventualmente rappresentare per lo Stato membro di cui trattasi è preso in considerazione non nell’ambio dell’art. 12, n. 2, bensì in quello, da un lato, dell’art. 14, n. 4, lett. a), in base al quale uno Stato membro può revocare lo status riconosciuto ad un rifugiato in particolare quando vi sono fondati motivi per ritenerlo una minaccia per la sicurezza e, dall’altro, in quello dell’art. 21, n. 2, il quale prevede che uno Stato membro di accoglienza possa, come autorizzato anche dall’art. 33, n. 2, della Convenzione di Ginevra, respingere un rifugiato quando vi siano fondati motivi per considerare che egli costituisca una minaccia per la sicurezza o la comunità di tale Stato membro.

102 Secondo i termini dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva, che sono analoghi a quelli dell’art. 1, sezione F, lett. b) e c), della Convenzione di Ginevra, un cittadino di un paese terzo è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che «abbia commesso» al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune «prima di essere ammesso come rifugiato» o che «si sia reso colpevole» di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

103 Conformemente alla formulazione delle disposizioni che le enunciano, queste due cause di esclusione mirano a sanzionare atti commessi in passato, come hanno sostenuto tutti i governi che hanno presentato osservazioni e la Commissione.

104 Va in proposito sottolineato che le cause di esclusione di cui trattasi sono state istituite al fine di escludere dallo status di rifugiato le persone ritenute indegne della protezione che è collegata a tale status e di evitare che il riconoscimento di tale status consenta ad autori di taluni gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale. Non sarebbe pertanto conforme a tale duplice obiettivo subordinare l’esclusione da detto status all’esistenza di un pericolo attuale per lo Stato membro d’accoglienza.

105 La seconda questione va pertanto risolta dichiarando che l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza.

Sulla terza questione

106 Con la terza questione in ciascuna delle cause il giudice del rinvio chiede se l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata ad un esame della proporzionalità alla luce del caso di specie.

107 In proposito, occorre ricordare che risulta dalla formulazione stessa di detto art. 12, n. 2, che, ove ricorrano le condizioni in esso fissate, la persona di cui trattasi «è esclus[a]» dallo status di rifugiato e che, nell’economia della direttiva, l’art. 2, lett. c), di quest’ultima subordina espressamente la qualità di «rifugiato» alla circostanza che alla persona interessata non si applichi l’art. 12.

108 L’esclusione dallo status di rifugiato per una delle cause enunciate all’art. 12, n. 2, lett. b) o c), come è stato osservato nell’ambito della risposta alla prima questione, è connessa alla gravità degli atti commessi, la quale deve essere di un grado tale che, ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva, la persona interessata non possa legittimamente aspirare alla protezione collegata allo status di rifugiato.

109 Avendo l’autorità competente già preso in considerazione, nell’ambito della sua valutazione della gravità degli atti commessi e della responsabilità individuale, tutte le circostanze che caratterizzano tali atti e la situazione di tale persona, essa non può essere obbligata – ove giunga alla conclusione che trova applicazione l’art. 12, n. 2 – a procedere ad un esame di proporzionalità che comporti nuovamente una valutazione del livello di gravità degli atti commessi, come hanno sostenuto i governi tedesco, francese, dei Paesi Bassi e del Regno Unito.

110 È importante sottolineare che l’esclusione di una persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva non comporta una presa di posizione relativamente alla distinta questione se detta persona possa essere espulsa verso il suo paese d’origine.

111 Occorre quindi rispondere alla terza questione posta dichiarando che l’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.

Sulla quarta questione

112 In considerazione della risposta data alla terza questione, non è necessario rispondere alla quarta questione proposta dal giudice del rinvio in ciascuna delle due cause.

Sulla quinta questione

113 Con la sua quinta questione in ciascuna delle due cause, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia compatibile con la direttiva, ai sensi del suo art. 3, la circostanza che uno Stato membro riconosca un diritto d’asilo, a titolo del suo diritto costituzionale, ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, della direttiva.

114 A tal riguardo, è necessario ricordare che l’art. 3 consente agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione in particolare dei soggetti che possono essere considerati rifugiati, purché, tuttavia, esse siano compatibili con la direttiva.

115 Orbene, in considerazione dello scopo delle cause di esclusione della direttiva, che è quello di preservare la credibilità del sistema di protezione da essa previsto, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, la riserva che compare all’art. 3 della direttiva osta a che uno Stato membro adotti o mantenga in vigore disposizioni che concedono lo status di rifugiato previsto da quest’ultima ad una persona che ne è esclusa a norma dell’art. 12, n. 2.

116 Va tuttavia rilevato che risulta dall’art 2, lett. g), in fine, della direttiva che essa non osta a che una persona chieda di essere protetta nell’ambito di un «diverso tipo di protezione» che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva stessa.

117 La direttiva, al pari della Convenzione di Ginevra, muove dal principio che gli Stati membri di accoglienza possono accordare, in conformità del loro diritto nazionale, una protezione nazionale accompagnata da diritti che consentano alle persone escluse dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva di soggiornare nel territorio dello Stato membro considerato.

118 Il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di siffatto status di protezione nazionale, per ragioni diverse dalla necessità di protezione internazionale ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva, vale a dire a titolo discrezionale e per ragioni caritatevoli o umanitarie, non rientra, come precisato dal nono ‘considerando’ della direttiva, nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

119 Tale altro tipo di protezione che gli Stati membri hanno la facoltà di accordare non deve tuttavia poter essere confuso con lo status di rifugiato ai sensi della direttiva, come giustamente sottolineato dalla Commissione.

120 Pertanto, nei limiti in cui le norme nazionali che accordano un diritto d’asilo a persone escluse dallo status di rifugiato ai sensi della direttiva permettono di distinguere chiaramente la protezione nazionale da quella concessa in forza della direttiva, esse non contravvengono al sistema di quest’ultima.

121 Alla luce di tali considerazioni, la quinta questione va risolta dichiarando che l’art. 3 della direttiva deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché questo altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi della stessa direttiva.

Sulle spese

122 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) L’art. 12, n. 2, lett. b e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:

– la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite»;

– la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.

2) L’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro di accoglienza.

3) L’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.

4) L’art. 3 della direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi della stessa direttiva.

 

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