Per la Cassazione non è reato dare dello ‘spione’ o ‘ruffiano’ al vicino di casa – Cassazione Penale, Sentenza 39618/2010
Si può dare dello ‘spione’ e ‘ruffiano’ al vicino di casa, se lo merita. E se la lite condominiale finisce in tribunale, gli appellativi – dice la Cassazione – possono essere ripetuti in un’aula di giustizia per dimostrare che la persona in questione è stata così etichettata perché ha cercato di “adulare” l’inquilino. E’ per questa ragione che la Quinta sezione penale ha bocciato il ricorso di un 63enne di Gaeta, Gennaro D.C., che si era sentito diffamato, e per questo chiedeva di essere risarcito, dal legale del vicino di casa Leonardo M. che in aula aveva detto: ‘se gli altri confinanti fossero stati degli spioni o ruffiani come lo stesso Gennaro D.C….”.
La lite tra i due vicini di casa, ricostruisce la sentenza 39618, risale addirittura a trent’anni fa. Nel 1980, infatti, il signor Gennaro si era preso la briga di andare a riferire al vicino Leonardo M. che i confinanti avevano illegittimamente aperto una servitù di veduta. Una ‘soffiata’ che, come annotano gli ‘ermellini’, solo in apparenza era stata fatta per fare cosa gradita a Leonardo. In realtà Gennaro D. C. voleva solo “fare i suoi interessi”. La vicenda è finita davanti al Giudice di pace di Gaeta che, il 6 luglio 2009, aveva assolto l’avvocato Antonio D. “perché il fatto non costituisce reato”.
Una sentenza assolutoria non gradita dal vicino di casa etichettato come ‘spione’ e ‘ruffiano’ che ha fatto ricorso in Cassazione per chiedere i danni patiti anche sulla base del fatto che gli appellativi erano finiti agli atti. Piazza Cavour ha respinto il ricorso di Gennaro D.C. e ha evidenziato che l’appellativo ‘ruffiano’ è stato utilizzato “in senso figurato, volendo indicare una persona che cerca di acquistarsi il favore altrui con l’adulazione o con atteggiamento di ostentata sottomissione”.
In effetti, osserva ancora la Suprema Corte, legittimamente il Giudice di pace “ha ritenuto che l’espressione usata fosse funzionale all’esercizio del diritto di difesa e direttamente collegata all’oggetto della causa”. In pratica, il legale dei Leonardo M., spiegano i supremi giudici, si era riferito ad un “episodio di diversi anni prima quando fu proprio Gennaro D. C. ad avvertirlo che alcuni vicini avevano aperto una servitù di veduta: in tale contesto si spiegavano i termini ‘spione’ e ‘ruffiano'”.