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Differenza tra indebita erogazione dì contributi di natura assistenziale e il reato di truffa – Cassazione Penale, Sentenza 38457/2010

I delitti di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p., configurabili entrambi, diversamente dal delitto previsto dall’art. 316 bis c.p., anche nel caso di indebita erogazione dì contributi di natura assistenziale, sono in rapporto di sussidiarietà e non di specialità. Ne discende che il residuale e meno grave delitto di cui all’art. 316 ter, che diversamente da quello di cui all’art. 640 bis c.p., assorbe anche i delitti di falso ideologico previsto dall’art. 483 c.p., e di uso di atto falso previsto dall’art. 489 c.p., è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa; il che vale a circoscrivere l’ambito di operatività dell’art. 316 ter c.p., a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale (Cass. Sez. Un. 19-4-2007 n. 16568).

Nella menzionata sentenza è stato meglio chiarito che in alcuni casi il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verìfiche. Sicchè in questi casi l’erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente.

Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza n. 38457 del 02/11/2010

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4-3-2010 il GUP del Tribunale di Avellino, all’esito dell’udienza preliminare, previa derubricazione del fatto contestato sub B) nella fattispecie di cui al capoverso dell’art. 316 ter c.p., ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di C.G. perchè il fatto non è previsto come reato, dichiarando assorbito nella violazione amministrativa di cui al capo B) il reato contestato sub A).

All’imputato era stato contestato di avere omesso di indicare, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata al Comune di Avellino per il conseguimento del c.d. reddito di cittadinanza istituito dalla L.R. Campania 19 febbraio 2004, n. 2, in relazione alla situazione patrimoniale dell’anno 2003, un reddito di Euro 2.000,00 relativo al possesso di un’auto Ford immatricolata nell’anno 1992. Di qui l’accusa di truffa aggravata perchè commessa ai danni di ente pubblico (capo B), diversamente qualificata in udienza ex art. 640 bis c.p., e di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (capo A).

Il GUP, nel rilevare che nella specie non vi è stata induzione in errore dell’ente pubblico tale da integrare il reato di truffa, in quanto il beneficio previsto dalla L.R. n. 2 del 2004, è concesso sulla base dell’autocertificazione dell’interessato attestante i presupposti reddituali del nucleo familiare, ha ritenuto integrata la violazione amministrativa di cui all’art. 316 ter c.p., comma 2, non essendo superati i limiti quantitativi dì erogazione indebitamente percepita ivi indicati (Euro 3.999,96); ed ha ritenuto il reato di falso ideologico assorbito nella fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Avellino, lamentando violazione di legge. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dal GUP, l’erogazione della somma richiesta non costituisce un’automatica conseguenza della domanda corredata da falsa attestazione, in quanto a seguito di tale attestazione il Comune deve formare una graduatoria, basata su un giudizio di merito relativo alla pluralità di richieste presentate. Sostiene, pertanto, che la condotta dell’imputato integra il reato di truffa di cui all’art. 640 bis c.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.

Come è stato puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte, i delitti di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p., configurabili entrambi, diversamente dal delitto previsto dall’art. 316 bis c.p., anche nel caso di indebita erogazione dì contributi di natura assistenziale, sono in rapporto di sussidiarietà e non di specialità. Ne discende che il residuale e meno grave delitto di cui all’art. 316 ter, che diversamente da quello di cui all’art. 640 bis c.p., assorbe anche i delitti di falso ideologico previsto dall’art. 483 c.p., e di uso di atto falso previsto dall’art. 489 c.p., è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa; il che vale a circoscrivere l’ambito di operatività dell’art. 316 ter c.p., a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale (Cass. Sez. Un. 19-4-2007 n. 16568). Nella menzionata sentenza è stato meglio chiarito che in alcuni casi il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verìfiche. Sicchè in questi casi l’erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale dichiarazione del richiedente.

E’ questo il caso che si prospetta nella fattispecie in esame, in quanto, come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, il “reddito di cittadinanza” istituito dalla L.R. Campania n. 2 del 2004, è concesso sulla base dell’autocertificazione dell’interessato attestante i presupposti reddituali del nucleo familiare, essendo domandato al Comune capofila il solo compito di raccogliere le domande e stilare una graduatoria in base alle indicazioni provenienti dagli istanti, senza alcuna valutazione del merito delle stesse. Il potere di “selezione” attribuito ai Comuni di riferimento dalla normativa in esame, infatti, si fonda su una verifica di carattere meramente formale sulle condizioni dichiarate da ciascun richiedente, e non già su un controllo sostanziale sulla effettiva esistenza di tali condizioni.

Alla stregua dei principi di diritto innanzi enunciati, pertanto, legittimamente il giudice di merito ha escluso che le false dichiarazioni rese dall’imputato valgano a configurare gli estremi del reato dì truffa e ha ricondotto, invece, la condotta contestata nell’ambito della previsione dell’art. 316 ter c.p., ritenendo integrato, in ragione del mancato raggiungimento della soglia minima di punibilità prevista dal comma 2, di tale norma di legge, un mero illecito amministrativo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Depositata in cancelleria il 2 novembre 2010

 

 

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