Omessa pronunzia istanza di distrazione delle spese. Esperibile la correzione materiale errori – Cassazione Civile Sezioni Unite, Sentenza 16037/2010
In caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore è ammissibile – anche valorizzando il disposto del secondo comma dell’art. 93 c.p.c. – il procedimento di correzione degli errori materiali, poiché la suddetta omissione si configura, ordinariamente, come il frutto di una mera svista o dimenticanza in relazione all’adozione di un provvedimento sul quale il giudice non può, di norma, esercitare alcun sindacato, con l’applicabilità, in sede di legittimità, dello stesso procedimento come richiamato dall’art. 391 bis dello stesso codice di rito.
E’ questo il principio affermato dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione che hanno così risolto il cotrasto giurisprudenziale in favore dell’orientamento, divenuto maggioritario, che ritiene doveroso ricercare nell’ordinamento strumenti di garanzia della situazione giuridica fata valere alternativi e meno dispendiosi dei mezzi di impugnazione, ravvisandoli nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., giustificato dalla necessità di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione, in quanto determinato da una divergenza evidentemente e facilmente individuabile, che lascia immutata la conclusione adottata.
Secondo i supremi giudici, questa soluzione è la più idonea a salvaguardare l’effettività del principio di garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dal 2° comma dell’art. 111 Cost.), che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 26373/2008) impone al giudice (anche nell’interpretazione dei rimedi processuali) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, traducendosi, per converso, in un inutile dispendio di attività processuali non giustificate, in particolare, nè dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), nè da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.).
Inoltre, si garantisce così con maggiore celerità il soddisfacimento dello scopo di far ottenere al difensore distrattario un titolo esecutivo immediato pr agire nei riguardi della controparte soccombente, lasciando salvo il diritto di quest’ultimo all’esercizio degli ordinari rimedi impugnatori che, ai sensi del 4° comma dello stesso art. 288 c.p.c., possono essere, comunque, proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze.
Infine, sottolinea la Cassazione, il principio affermato può trovare applicazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. anche con riguardo alle sentenze della Corte di Cassazione, incorse in identica omissione, e tuttavia non impugnabili.
(© Litis.it, Cassiodoro Vicinetti)
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 16037 del 07/07/2010
(Presidente V. Carbone, Relatore S. Salvago)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’avv. G.A. ha proposto in proprio ricorso per cassazione contro il decreto 6 settembre 2006 della Corte di appello di Roma che aveva condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del proprio assistito M.E. di un indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata di un processo in materia di pubblico impiego svoltosi davanti al giudice amministrativo;e liquidato le spese per complessivi Euro 500,00, omettendo di pronunciarsi sull’istanza di distrazione da lui avanzata malgrado la regolare dichiarazione di averle anticipato e di non aver riscosso onorario.
La Presidenza del Consiglio non ha spiegato difese. La 1^ sez. civile di questa Corte con ordinanza 2 marzo 2010 n. 5007, rilevando la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza sul rimedio esperibile contro la sentenza di appello che abbia omesso di pronunciare sull’istanza di distrazione delle spese avanzata dal difensore, ha rimesso la questione al Primo Presidente che l’ha assegnata alle Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. L’istituto della distrazione delle spese in favore del difensore trova il suo referente normativo nell’art. 93 c.p.c., il quale dispone che questi è legittimato a chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese la controparte, distragga in suo favore (e degli altri difensori che lo abbiano eventualmente affiancato) gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato al proprio cliente. Nessuna indicazione, tuttavia, è fornita sul rimedio di tutela processuale azionabile nel caso di omessa pronuncia sull’istanza (ovvero di rigetto di essa); per cui un primo orientamento di questa Corte, in passato maggioritario, vi ha ravvisato il tipico vizio ricavabile dalla formula dell’art. 112 c.p.c., che gli impone di provvedere “su tutta la domanda”,e che deve essere denunciato dal difensore interessato (allorchè trattasi di sentenza di appello) con l’ordinario rimedio del ricorso per cassazione. Ciò perchè l’accoglimento dell’istanza non è automatico, ma richiede di accertare la sussistenza del requisito dell’anticipazione da parte del
difensore; e perchè il rimedio è apparso coerente con la finalità dell’eccezione introdotta dalla norma alla regola generale secondo la quale il compenso al difensore è dovuto solo dal suo rappresentato o assistito salvo (se vittorioso) il diritto di quest’ultimo al rimborso nei confronti della parte soccombente; e si giustifica con l’opportunità di prevedere un sistema di maggiore garanzia in favore del difensore ai fini del conseguimento del suo compenso direttamente dalla parte soccombente (senza, quindi, la necessità di dover compulsare il proprio cliente).
La quale conferisce, appunto, allo stesso difensore, cui è riconosciuta la distrazione, la titolarità di una posizione giuridica soggettiva, autonoma e distinta da quella del suo assistito, ancorchè limitatamente a questo aspetto. Anche la dottrina meno recente ha aderito alla costruzione che il procuratore, fa valere con l’istanza di distrazione un diritto soggettivo autonomo, ancorchè indissolubilmente legato alla sentenza che contiene la condanna alle spese nei confronti della controparte:perciò acquisendo la qualità di parte in senso proprio,che legittima la proposizione delle impugnazioni ordinarie, anche se la stessa non può investire sotto alcun profilo i rapporti tra le parti, ma resta “rigorosamente limitata all’ambito del suo interesse giuridicamente riconosciuto alle spese processuali, nè da tale ambito può sconfinare in nessun caso”.
3. Più recenti pronunce, ormai numerose, hanno invece ritenuto doveroso ricercare nell’ordinamento strumenti di garanzia della situazione giuridica fatta valere, alternativi e meno dispendiosi del ricorso al giudice di legittimità (Cass. 11965 e 13982/2009; 14831/2010): ravvisandoli nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., giustificato della necessità di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione, in quanto determinato da una divergenza evidentemente e facilmente individuabile, che lascia immutata la conclusione adottata. Al nuovo indirizzo hanno aderito qualificati studiosi ora richiamando la disposizione dello stesso art. 93, comma 2, che espressamente lo prevede nell’ipotesi di revoca
dell’istanza richiesta dalla parte che dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore, ora evidenziando l’autonomia e l’estraneità del provvedimento sulla distrazione rispetto alla pronuncia sul merito, e perciò escludendo l’estensione al primo dei mezzi di reazione processuale che la legge riconosce contro l’altra. Non sono mancate, infine, pronunce che hanno ritenuto ammissibile il cumulo dei due rimedi (Cass. 7692/2009), ovvero opinioni dottrinali che hanno attribuito al difensore istante,non parte del processo, il rimedio dell’opposizione di terzo o ne hanno equiparato la posizione all’interventore volontario.
4. Le Sezioni Unite ritengono di comporre il contrasto in favore del secondo più recente orientamento, il quale:
A) è il più idoneo a salvaguardare l’effettività del principio di garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dall’art. 111 Cost., comma 2), che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 26373/2008) impone al giudice (anche nell’interpretazione dei rimedi processuali) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso,
traducendosi, per converso, in un inutile dispendio di attività processuali non giustificate, in particolare, nè dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), nè da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.);
B) garantisce con maggiore celerità il soddisfacimento dello scopo di far ottenere al difensore distrattario un titolo esecutivo immediato per agire nei riguardi della controparte soccombente: lasciando salvo il diritto di quest’ultimo all’esercizio degli ordinari rimedi impugnatori che, ai sensi dello stesso art. 288, comma 4, possono essere, comunque, proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze;
C) può trovare applicazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., anche con riguardo alle sentenze rese dalla Corte di Cassazione, incorse in identica omissione,e tuttavia non impugnabili.
5. Per converso, il diritto alla proposizione dell’impugnazione ordinaria in capo al difensore che non ha ricevuto alcuna risposta all’istanza di distrazione,non può desumersi nè dall’art. 93 c.p.c., nè da altra norma positiva : anche perchè l’istanza non comporta l’instaurazione di alcun contraddittorio sostanziale con la controparte che, anche se soccombente, non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione. E perchè, d’altra parte, il vizio di omessa pronuncia implicante violazione dell’art. 112 c.p.c., si configura ai fini della proposizione dell’impugnazione ordinaria, qualora il giudice del merito abbia, nella valutazione motivazionale delle pretese avanzate in giudizio dalle parti, mancato di provvedere in tutto o in parte su una o più domande legittimamente da esse formulate, attinenti all’oggetto del contendere dedotto ai fini del soddisfacimento della tutela sostanziale azionata nel processo. E’ al riguardo significativo,se non determinante, che lo stesso legislatore nella menzionata disposizione dell’art. 93 c.p.c., comma 2, abbia indicato nel procedimento di correzione degli errori materiali (piuttosto che nell’impugnazione ordinaria) il rimedio con cui la parte può ottenere la revoca del provvedimento di distrazione nell’ipotesi di cui si è detto avanti:pur comportando la stessa una notevole estensione del campo di applicazione dell’istituto della correzione, testualmente limitato dall’art. 287 c.p.c., alle ipotesi in cui il giudice “sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. E pur richiedendo da parte del giudice della correzione un controllo assai più complesso (sull’avvenuto soddisfacimento “del credito del difensore per gli onorari e le spese”), di quello devolutogli in caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione, in cui deve limitarsi ad accertare se sussista o meno la dichiarazione di avere anticipato le spese e non riscosso onorario: senza alcun potere di apprezzamento neppure sulla corrispondenza al vero della stessa. Per cui,’ anche sotto il profilo sistematico, risulta evidente il miglior coordinamento con il disposto dell’art. 93 c.p.c., comma 2, del rimedio della correzione rispetto alla facoltà del difensore di avvalersi dei mezzi di impugnazione ordinaria onde consentirgli di rinnovare una mera istanza,rivolta ad ottenere un provvedimento autonomo rispetto alla pronuncia sul merito:per giustificare la quale è peraltro necessario estendere a costui la qualifica di parte (sopravvenuta e condizionata alla dimenticanza del giudice),esclusivamente per la necessità di legittimare detto rimedio processuale posto che il difensore medesimo esaurisce ogni attività con la presentazione dell’istanza; e capovolgere La regola generale per la quale,invece, sono legittimati a proporre mezzi di gravame soltanto coloro che hanno già la veste di parte a seguito di domanda formulata nel processo, nei casi in cui tale domanda non venga accolta (o su di essa venga omesso di provvedere).
6. Sul piano della ricostruzione della vicenda in termini processuali non è, poi, sostenibile che la richiesta di distrazione possa essere qualificata come domanda autonoma, suscettibile di dar vita ad un capo della decisione in senso tecnico: attesa la sua funzione di istanza incidentale non giustificata dalla soccombenza sostanziale, e collegata ad una sorta di favor per il difensore da parte dell’ordinamento processuale,nonchè occasionata dal processo pendente tra le parti principali al cui esito resta peraltro condizionata.
La stessa non presenta alcuno dei caratteri della domanda giudiziale in senso proprio; sfugge alla relativa disciplina posto che come tale può essere formulata anche oralmente all’udienza di discussione della causa, nonchè in qualunque altro momento, pur in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, nella comparsa conclusionale. E la sua proposizione – consentita soltanto per conseguire la finalità posta direttamente dall’art. 93 c.p.c., – si sottrae perfino all’applicazione del regime processuale di tipo preclusivo (e, quindi, decadenziale), peculiare di ogni altro intervento giudiziale. Proprio in forza di queste caratteristiche il distrattario non è gravato dall’onere della prova relativa alle dichiarazioni operate e la sua dichiarazione di anticipazione è da ritenersi vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato su di essa); nè può dar luogo, in sede di condanna alle spese, ad alcuna contestazione sul punto, sia da parte del cliente, che dell’avversario, trattandosi di un privilegio, la cui giustificazione e la cui tutela vengono rinvenute dall’ordinamento nella funzione alla quale il difensore assolve. E, d’altra parte, il provvedimento che dispone la distrazione deve considerarsi, piuttosto che una statuizione della sentenza in senso stretto, un autonomo provvedimento formalmente cumulato con questa, esclusivamente inerente al rapporto che intercorre tra il difensore ed il suo cliente vittorioso: comportante la sostituzione del primo al secondo nel diritto di credito al pagamento delle spese processuali e dei compensi professionali nei confronti della controparte soccombente che gli deriva dalla già pronunciata condanna di quest’ultima. Per cui, se nell’ambito del rapporto suddetto,il cliente nell’eventualità del sopravvenuto soddisfacimento delle spese assunte come anticipate e degli onorari attestati come non riscossi dal suo patrono, non può proporre l’impugnazione ordinaria ed ha la possibilità di tutelarsi – come già evidenziato – mediante il ricorso al procedimento di revoca disciplinato dallo stesso art. 93 c.p.c., comma 2, ricondotto dalla stessa norma nel solco della procedura di correzione, è coerente con questo quadro normativo che anche la mera omissione del provvedimento di distrazione,assolutamente vincolato ed a priori sottratto a qualsiasi forma di valutazione, sia egualmente emendabile con il medesimo rimedio “impugnatorio” specifico della correzione della sentenza ai sensi dell’art. 287 c.p.c. e segg..
7. L’indirizzo non condiviso ha richiamato sistematicamente il tenore letterale dell’art. 287 c.c., e la sua interpretazione tradizionale,in forza della quale il procedimento di correzione è invocabile quando sia necessario ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, cagionato da mera svista o disattenzione nella redazione del provvedimento e, come tale, percepibile “ictu oculi”, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione: deve trattarsi, insomma, di un tipo di errore che esula sia da tutto ciò che attiene
al processo formativo della volontà, sia da ciò che investe il processo di manifestazione; sicchè rimane spazio solo per quanto è casuale ed involontario o per quanto si riferisce ad elementi che a priori sono sottratti a qualunque forma di valutazione. Ma qualificata dottrina ha da tempo ampliato questa categoria, dapprima con riguardo all’omissione, facendo leva soprattutto sul carattere “necessitato” dell’elemento mancante e da inserire, ed ammettendo la correzione integrativa dell’atto anche per le statuizioni che, pur non risultando con certezza volute dal giudice, dovevano essere da lui emesse, senza margine di discrezionalità, in forza di un obbligo normativo; per poi estenderla a qualsiasi errore, anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Per cui, le Sezioni Unite penali (sent. 15/2000) in punto di erronea condanna (di minore) al pagamento delle spese processuali hanno affermato che in tal caso la correzione incide non sul contenuto intrinseco della pronuncia relativa ai thema decidendum, ma semplicemente su una pronuncia consequenziale ed accessoria alla
prima e non implicante alcuna discrezione valutativa da parte del giudice”;ed assume la funzione di emendare il testo della sentenza, rendendolo conforme al dettato normativo con l’unico mezzo previsto dall’ordinamento, per tutti i casi in cui possa ritenersi che il Collegio sia incorso in errore e non abbia, invece, ritenuto di aderire, per scelta positiva, ad uno specifico orientamento giurisprudenziale giustificativo della decisione sulle spese. Hanno concluso che, pur con siffatto ampliamento la correzione dell’errore materiale non si pone come (inammissibile) rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un suo errore di giudizio, ma è soltanto lo strumento per eliminare la disarmonia tra la manifestazione esteriore costituita dal documento – sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito ex lege: senza che si venga ad incidere, modificandolo, nè sul processo volitivo o valutativo del giudice nè sulla sua decisione di interpretazione che, anche se errata, sia stata posta a fondamento della pronuncia finale sul thema decidendum”. Successivamente (sent. 7945/2008) hanno introdotto una variante qualitativa con riferimento a casi di errore omissivo – quale quello di mancata liquidazione delle spese processuali – dichiarando esperibile la procedura correttiva a fronte della divergenza tra l’espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell’assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo. Ciò perchè in siffatte ipotesi ricorre ugualmente la necessità e automaticità dell’intervento correttivo, diretto a esplicitare un comando giudiziale “tradito” dalla concreta realizzazione espressiva; e quello che si “ricostruisce” non è la volontà “soggettiva” del giudice emergente dallo stesso atto,bensì la sua volontà “oggettiva”, da considerarsi (necessariamente) immanente nell’atto per dettato ordinamentale (Negli stessi termini Cass. civ. 19229/2009).
Applicando tale più moderna concezione dell’errore all’omessa pronuncia, in via esclusiva, sull’istanza di distrazione,non è dubbio che la stessa possa essere, in effetti, ricondotta (e lo e pacificamente quando l’omissione investa il solo dispositivo, mentre la concessione della distrazione emerga dalla parte motiva) più ad una mancanza materiale che non ad un vizio di attività o di giudizio da parte del giudice (e, quindi, ad un errore percettivo di quest’ultimo): proprio perchè, in sostanza, la decisione positiva sulla stessa è essenzialmente obbligata da parte sua (a condizione, ovviamente, che il difensore abbia compiuto la dichiarazione di anticipazione e formulato la correlata richiesta di distrazione) e la relativa declaratoria necessariamente “accede” nel “decisum” complessivo della controversia, senza, in fondo, assumere una propria autonomia formale. E d’altra parte, ricollegando l’omissione ad una mera disattenzione (e, quindi, ad un comportamento involontario) anche sulla scorta del dato che la concessione della distrazione, ricorrendo le suddette condizioni, rimane sottratta, di regola, a qualunque forma di valutazione giudiziale, si rientra nell’ambito proprio della configurazione dei presupposti di fatto che giustificano il ricorso al procedimento di correzione degli errori e delle omissioni materiali.
8. Conclusivamente,il ricorso dell’avv. G. per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciare sull’istanza di distrazione delle spese da lui formulata nei confronti della PCM, condannata al loro pagamento, va dichiarata inammissibile.
Nessuna pronuncia deve essere emessa in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite,dichiara inammissibile il ricorso