Il vincolo archeologico impedisce finalità pubbliche in contrasto con la destinazione del bene – Consiglio di Stato, Sentenza 7434/2010
La peculiare situazione di un bene coperto da vincolo archeologico ai sensi della cit. L. n. 1089/39 e ricompreso in parco regionale storico archeologico naturale ne fa un immobile non suscettibile di interventi se non previo assenso (cd. nulla osta) della competente Soprintendenza e, di norma, nel solo ambito di restauro o risanamento conservativo. E’ la particolare natura del bene, coerente alla tutela dei valori che trascendono l’attualità degli interessi ai sensi anche di quanto prevede il comma secondo dell’art. 9 della Costituzione, a impedire che sullo stesso possano operarsi scelte non coerenti con l’assetto riconosciuto conforme al mantenimento degli stessi valori come accertati e presidiati dall’Amministrazione per i beni e le attività culturali.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 7434 del 12/10/2010
FATTO
1. I signori [OMISSIS], [OMISSIS], [OMISSIS], [OMISSIS] e [OMISSIS] sono proprietari dei due terzi della Chiesa rupestre di [OMISSIS], sottoposta a vincolo e ricadente in Parco regionale archeologico storico naturale delle chiese rupestri (il rimanente terzo appartiene all’’A.P.T.).
2. Il Comune di Matera, per utilizzare i fondi europei POP- FESR bandiva una gara per la realizzazione del Centro visite masserie Radogna- Jazzo Gattini, sul progetto preliminare redatto dall’Ufficio Sassi del Comune di Matera, che comportava l’esproprio di metà della chiesa, aggiudicandola all’arch. [OMISSIS].
3. Pronunciandosi sul ricorso proposto al riguardo da taluni professionisti, il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata , con sentenza n. 230/98, annullava gli atti di gara e, quindi, il conferimento dell’incarico al gruppo guidato dall’arch. [OMISSIS].
4. Il Comune, anche al fine di non perdere i finanziamenti europei e per iniziare subito i lavori, accedeva ad un atto di transazione sottoscritto il 12 novembre 1999 con gli architetti [OMISSIS] e [OMISSIS] e, pur dichiarando vincitore della gara il gruppo del secondo, confermava l’incarico di progettazione al raggruppamento dell’arch. [OMISSIS] e affidava al gruppo dell’arch. [OMISSIS] la direzione dei lavori.
5. Con determinazione n.3/696 del 1999 il dirigente competente approvava l’atto di transazione, riapprovava il progetto redatto dallo studio dell’arch. [OMISSIS], dichiarava l’opera indifferibile ed urgente e autorizzava l’inizio delle espropriazioni. Con successiva determinazione del 5/6/2000 sospendeva la suddetta determinazione n. 3/696, perché non preceduta da comunicazione di avvio del procedimento.
6. Dopo aver provveduto agli adempimenti prescritti, il Comune adottava la deliberazione n. 3/644 del 28/9/00 con cui riapprovava il progetto esecutivo del Centro visite e disponeva l’esproprio della metà della sopraindicata chiesa rupestre.
7. I proprietari della stessa, signori [OMISSIS], ricorrevano al Tribunale amministrativo regionale della Basilicata che, con la sentenza n. 1015 del 2003, qui impugnata, rigettava il ricorso, per le seguenti ragioni:
a) infondatezza della censura di incompetenza del dirigente a disporre l’espropriazione(ex art. 149, comma 1, D.Lvo 31/3/98 n. 112);
b) infondatezza della censura di violazione dell’art. 7 L. n. 241 del 1990 perché, trattandosi di destinatari numerosi, correttamente si è fatto ricorso a misure alternative di pubblicità;
c) inammissibilità della censura avverso la mancata aggiudicazione all’arch. [OMISSIS], per mancata notificazione al contro interessato arch. [OMISSIS];
d) infondatezza della censura di illegittimo uso della chiesa, bene vincolato, per usi diversi da quelli propri della sua natura, perché il progetto prevede l’uso indiretto della stessa, solo a fini recettizi;
e) infondatezza della censura secondo cui un bene vincolato può essere espropriato solo dal Ministero dei beni culturali e presuppone la dichiarazione di pubblica utilità ex art. 94 D.Lvo n. 490/99, perché il procedimento ablatorio in questione rientra nella previsione dell’art. 92 del D. l.vo n. 490 del 1999, mirando proprio ad accrescere la fruibilità del bene da parte dell’utenza;
f) infondatezza della censura di mancata acquisizione dei richiesti pareri delle Soprintendenze competenti;
g) inammissibilità per difetto di giurisdizione della censura sul quantum dell’indennità di esproprio, ai sensi dell’art. 34 del D.Lvo 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000;
h) inammissibilità per difetto d’interesse della censura secondo cui il piano particolareggiato avrebbe aumentato l’area espropriata a danno della soc. [OMISSIS].
8. Appellano i signori [OMISSIS], chiedendo l’annullamento della sentenza per illogicità delle motivazioni in essa contenute e per errore sia di fatto sia di diritto.
In particolare, si sostiene che l’intera procedura espropriativa sarebbe illegittima, in quanto il bene in questione è vincolato ai sensi della L. n. 1089 del 1939 e, di conseguenza, prevarrebbe la legge speciale sulla legge generale in materia di espropri.
Inoltre, essi non avrebbero ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi della L. n. 241 del 1990, con conseguente illegittimità di tutta la procedura.
9. Si è costituito in giudizio il Comune di Matera, eccependo la legittimità della deliberazione n. 3/696 del 1999 che ha confermato gli atti dichiarati nulli, con transazione fra le parti, al fine di non perdere i finanziamenti europei(cd. conferma provvedimento o conferma impropria).
Eccepisce, altresì, che la normativa di riferimento all’epoca era l’art. 54 della L. n. 1089/39, non essendo ancora entrato in vigore il D.Lgs. n. 490 del 1999.
Eccepisce, infine, che non vi sarebbe stata violazione del giusto procedimento.
10. Il ricorso è stato inserito nei ruoli di udienza del 15 giugno 2010 e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
La controversia concerne la determinazione del Comune di Matera n. 3/644 del 28 settembre 2000 con la quale veniva riapprovato il progetto esecutivo del Centro visite masserie Radogna- Jazzo Gattini in località Murgia Timone di Matera e disposto l’esproprio di metà della chiesa rupestre di S. Maria della Valle di proprietà dei germani Lisanti.
La pronuncia impugnata ha ritenuto, quale argomentazione centrale, che il procedimento ablatorio di cui si discute rientra nella previsione dell’art. 94 del D.Lvo n. 490 del 1999, e che pertanto dalla intervenuta approvazione del progetto deriva ope legis la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Gli appellanti sostengono che il vincolo archeologico ex lege n. 1089 del 1939, relativo all’immobile, ricadente in Parco regionale archeologico storico naturale delle chiese rupestri, sarebbe di ostacolo alla realizzazione dell’opera pubblica e alle conseguenti attività espropriative. Sarebbe mancato, inoltre, il rispetto delle previste garanzie procedimentali.
Le argomentazioni degli appellanti vanno condivise.
Invero, la peculiare situazione della chiesa rupestre in questione(coperta da vincolo archeologico ai sensi della cit. L. n. 1089/39 e ricompresa in parco regionale storico archeologico naturale)ne fa un immobile non suscettibile di interventi se non previo assenso (cd. nulla osta)della competente Soprintendenza e, di norma, nel solo ambito di restauro o risanamento conservativo(cfr. Cons. Stato, V Sez., n. 3182 del 2001).
Come si afferma nella riportata decisione giurisprudenziale, è la particolare natura del bene, coerente alla tutela dei valori che trascendono l’attualità degli interessi ai sensi anche di quanto prevede il comma secondo dell’art. 9 della Costituzione, a impedire che sullo stesso possano operarsi scelte non coerenti con l’assetto riconosciuto conforme al mantenimento degli stessi valori come accertati e presidiati dall’Amministrazione per i beni e le attività culturali.
In particolare, nella fattispecie, attesa la natura del bene è inammissibile la previsione di farne, sia pure parzialmente o in via indiretta, un’opera pubblica.
Invero, sia la sua identità strutturale, che è quella individuata ai fini dell’imposizione del vincolo, sia la sua identità funzionale contrastano con la destinazione dell’immobile a servizio pubblico(sia pure indiretto).
Il comportamento complessivamente tenuto dal Comune risulta finalizzato all’espropriazione di una porzione di manufatto tramite lavori pubblici non idonei, attesa la natura del bene oggetto dell’intervento, intangibile quanto ad assetto archeologico, storico ed artistico, che subirebbe una radicale trasformazione sul piano sia strutturale sia funzionale.
Ne deriva che la chiesa rupestre di S. Maria della valle di Matera non può essere adibita a finalità pubbliche in contrasto con la destinazione impressa dal vincolo, con conseguente impossibilità di legittimare, in funzione del progetto approvato, il potere di espropriazione nei confronti del bene.
2. Per le suesposte considerazioni, l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in Euro 5000,00(cinquemila/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez. IV, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di I grado.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in Euro 5000,00.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2010 con l’intervento dei Signori:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Pier Luigi Lodi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere
Antonino Anastasi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/10/2010