CivileGiurisprudenza

Si alle azioni collettive in materia tributaria quando si controverte su diritti – Cassazione Civile, Sentenza 21955/2010

Via libera della Cassazione alle azioni collettive in materia tributaria allorchè si controverte su questioni di diritto. E’ questo il principio che ha enunciato la Sezione Tributaria della Cassazione, nella sentenza 21955 del 27 ottobre 2010, esaminando il caso di tre contribuenti che avevano proposto un ricorso comune chiedendo il rimborso delle somme versate a titolo di IRAP relativamente agli anni di imposta 1998,1999 e 2000.
Affermano i giudici della sezione tributaria che – senza porre in discussione il recente principio affermato da Cass. 10578/10, secondo cui nel processo tributario non è, di regola, ammissibile il ricorso collettivo (proposto da più parti) e cumulativo (proposto nei confronti di più atti impugnabili), essendo necessaria, per la configurazione del litisconsorzio facoltativo, la comunanza delle questioni sia in diritto, sia in fatto – laddove la contestazione dell’Ufficio rispetto alle istanze proposte dai contribuenti si fonda esclusivamente su questioni di diritto, e non di fatto, comuni ai contribuenti stessi, il ricorso collettivo è ammissibile.
Nela fattispecie esaminata dalla Cassazione si discuteva, appunto, se alle contribuenti era dovuto o meno – in ragione della applicabilità dell’imposta IRAP – il rimborso di quanto versato.
Sul punto, poi, la Cassazione ha ribadito i principi già espressi in materia di esclusione della applicabilità dell’imposta IRAP all’esercizio delle attività di lavoro autonomo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumenali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, ilminimo indispensabile per l’esercizio dell’tività in asenza di organizzazione, oppur si avalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza n. 21955 del 27/10/2010
(Presidente: Donato Pletenda, Estensore: Paolo D’Alessandro)

sul ricorso proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze ed Agenzia delle Entrate

contro

[OMISSIS], [OMISSIS], [OMISSIS]

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Lombardia n. 1/32/05 del 16/02/05.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/07/10 dal Relatore Cons. Paolo D’Alessandro;
udito il PM in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pasquale Paolo Maria Ciccolo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo e, in subordine, per il rigetto del ricorso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione, in base a due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso delle contribuenti contro il silenzio rifiuto formatosi su istanze di rimborso IRAP relative agli anni di imposta 1998,1999 e 2000.

Le intimate non si sono costituite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgsl. n. 546 del 1992 e degli artt. 103 e 104 cod proc. civ., i ricorrenti deducono l’inammissibilità, nella specie, del ricorso cumulativo e la conseguene erroneità della sentenza impugnata, che ha respinto il relativo motivo di appello, assumendo che “i tratti di concomitanza delle rispettive materie del contendere si riducono al rilievo che si discute in tuti e tre i casi di IRAP”.

1.1. Il primo motivo è infondato.
Non si vuole, sia chiaro, porre in discussione il principio, di recente affermato da Cass. 10578/10, secondo cui nel processo tributario non è, di regola, ammissibile il ricorso collettivo (proposto da più parti) e cumulativo (proposto nei confronti di più atti impugnabili), essendo necessaria, per la configurazione del litisconsorzio facoltativo, la comunanza delle questioni sia in diritto, sia in fatto.

Nel caso di specie deve tuttavia rilevarsi che la contestazione dell’Ufficio rispetto alle istanze di rimborso proposto dalle attrici si fonda – come risulta anche dal presente ricorso – su questioni di diritto, e non di fatto, comuni alle contribuenti, cosicchè il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni appare in concreto ultroneo.

La sentenza impugnata appare pertanto, sul punto, nella sostanza corretta.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo plurime violazioni di legge, in sostanza assumono che i professionisti sarebbero sempre soggetti ad IRAP.

2.1. Il secondo motivo è infondato
In tema di IRAP, questa Corte ha infatti affermato che, a norma del combinato disposto degli att. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del D.lgs 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, commaprimo, del DPR 22 dicembre 1986, n, 917 (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003), e all’art. 53, comma primo, del medesimo DPR (nella versone vigente dal 1 gennaio 2004) è escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumenali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, ilminimo indispensabile per l’esercizio dell’tività in asenza di organizzazione, oppur si avalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. 3676/07 ed altre).

Considerato che i ricorrenti non censurano la congruità della motivazione, il mezzo va dunque rigettato, essendo ispirato ad un erroneo principio di diritto.

3. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, in difetto di costituzione delle intimate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 13/07/2010.

Depositata in cancelleria il 27/10/2010

 

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