Bisogna avvisare il collega di controparte prima di dare esecuzione alla sentenza – Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 27214/2009
Viola l’articolo 22 del codice deontologico forense l’avvocato che sulla base di sentenza favorevole al proprio cliente, nonostante la modestia – in relazione alle condizioni economiche del debitore – del credito accertato nella pronunzia giurisdizionale e pur in essenza di un rifiuto esplicito del debitore di dare spontanea esecuzione alla sentenza – notifichi al debitore atto di precetto (così aggravando la posizione debitoria di questo), senza previamente informare l’avvocato dell’avversario della propria intenzione di dare corso alla procedura esecutiva.
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 27214 del 23/12/2009
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di XXX ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Ve.Ma. “per avere violato il dovere di colleganza, avendo in data gg/mm/aaaa notificato alla società Pa. Co. Ge. s.r.l. – difesa dall’avv. Gr. Ma. – la sentenza del Giudice di Pace depositata il 1 settembre 2003, a cui in data 10 settembre 2003 aveva fatto apporre la formula esecutiva, senza che il dispositivo della sentenza fosse stato ancora comunicato alle parti e senza curarsi di accertare se il legale di controparte avesse ricevuto notizia del dispositivo stesso, nè rendendo la stessa edotta dell’intervenuto deposito di detta sentenza, nè chiedendo all’avv. Gr. quali fossero le intenzioni della sua cliente in ordine al pagamento della sentenza onde evitare alla società Pa. Co. Ge. s.r.l. l’aggravio delle competenze di precetto, con ciò violando l’articolo 38 Legge Professionale, in riferimento agli articoli 49 e 22 Codice Deontologico Forense approvato dal CNF nella seduta del 17 aprile 1997 e successive modifiche”.
All’esito di tale procedimento il Consiglio territoriale, con provvedimento 19 novembre 2007, rigettata la eccezione di nullità del procedimento stesso – eccepita dal Ve. con riferimento alla presunta violazione del diritto alla difesa essendo stata data, in realtà, al Ve. comunicazione degli atti nonchè possibilità di essere sentito dallo stesso Consiglio ancor prima dell’apertura del procedimento disciplinare – e ritenuto che i fatti di cui al capo di incolpazione e-rano stati dimostrati, ha inflitto al Ve. la sanzione dell’avvertimento. Ha osservato, in particolare il Consiglio locale che il Ve. aveva richiesto la sentenza con formula esecutiva, notificandola alla controparte, in una al precetto, allorchè l’avv. Gr. procuratore della controparte non aveva ancora ricevuto il dispositivo della decisione nè tantomeno alcuna comunicazione da parte del collega avversario, così realizzando un comportamento preordinato al compimento di atti pregiudizievoli senza peraltro un apparente vantaggio a favore dei cliente, vista anche la modestia dell’importo precettato poco più di 300,00 euro.
Ve. Ma. ha proposto ricorso avverso tale provvedimento innanzi al Consiglio Nazionale Forense e questo ultimo, con decisione 28 febbraio – 18 maggio 2009 lo ha accolto.
Per la cassazione di tale pronunzia ha proposto ricorso con atto 3 luglio 2009 e date successive il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di XXX , affidato a due motivi e illustrato da memoria.
Resiste all’avverso ricorso, con controricorso, il Ve. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Come accennato in parte espositiva il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di XXX ha inflitto all’avv. Ve. Ma. la sanzione dell’avvertimento, ritenendo sussistere la sua responsabilità disciplinare per avere – in violazione degli articoli 49 e 22 del codice deontologico – richiesto la sentenza con formula esecutiva, notificandola alla controparte, in una al precetto, allorchè il procuratore ad litem della controparte non aveva ancora ricevuto il dispositivo della decisione nè tantomeno alcuna comunicazione da parte del collega avversario (così realizzando un comportamento preordinato al compimento d i atti pregiudizievoli senza peraltro un apparente vantaggio a .favore del cliente, vista anche la modestia dell’importo precettato poco più di 300,00 euro).
Diversamente il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto che il comportamento dell’avv. Ve. non abbia violato gli articoli 49 e 22 del codice deontologico. Ha osservato, infatti, quel giudice, che non esiste obbligo deontologico alla infarinale comunicazione dell’esito della sentenza e che a nulla vale che sia stato o meno notificato alle parti il biglietto di cancelleria, contenente il dispositivo della sentenza, essendo questo, atto d’ufficio non certo riconducibile al professionista che può notificare copia della sentenza esecutiva e del precetto. Specie considerato che nessuna norma impone al procuratore della parte di informare il difensore della controparte dell’intenzione di intraprendere un’azione esecutiva laddove non vi sia richiesta in tal senso.
2. Parte ricorrente censura la riassunta pronunzia con due motivi. 2.1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta, in particolare, “violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e violazione e falsa applicazione di norma di diritto: articolo 22, comma 1, codice deontologico forense” che, in tema di rapporto di colleganza prevede che l’avvocato deve mantenere sempre, nei confronti dei colleghi, un comportamento ispirato a correttezza e lealtà, mentre nella specie il Ve. , “venuto a conoscenza in modo informale del dispositivo di una sentenza del giudice di pace di Verona, richiedeva e prima ancora della notifica del dispositivo della Cancelleria, le copie autentiche esecutive della stessa, che notificava unitamente ad atto di precetto alla parte avversaria senza previamente avvertire il collega”.
Si sottopone – conclusivamente, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. – all’esame di questa Corte il seguente quesito di diritto:
premesso che l’avv. Ve. venuto a conoscenza in modo informale del dispositivo di una sentenza del giudice di pace di Verona richiedeva e, prima ancora della notifica del dispositivo da parte della cancelleria, le copie autentiche esecutive della stessa, che notificava unitamente ad atto di precetto alla parte avversaria senza previamente avvertire il collega; considerato che l’articolo 22 del Codice Deontologico Forense prevede, al titolo 2, rapporti con i colleghi, “rapporto di colleganza”, che l’avvocato deve mantenere sempre, nei confronti dei colleghi, un comportamento ispirato a correttezza e lealtà”, dica la Corte Suprema se l’avv. Ve. abbia violato il dovere di correttezza e lealtà non avvertendo il collega che si accingeva a notificare la sentenza del giudice di pace (della Quale era venuto informalmente a conoscenza) prima ancora che il dispositivo venisse notificato a cura della Cancelleria.
2. 2. Con il secondo motivo parte ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando “violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione di norma di diritto: articolo 22, comma 1, codice deontologico forense” che, in tema di rapporto di colleganza prevede che l’avvocato deve mantenere sempre, nei confronti dei colleghi, un comportamento ispirato a correttezza e lealtà, mentre nella specie il Ve. , “venuto a conoscenza in modo informale del deposito della sentenza del giudice di pace provvedeva alla notifica della sentenza con pedissequo precetto senza avvertire il collega avversario” che a sua volta “aveva richiesto di essere notiziato dell’avvio della esecuzione in quanto non a conoscenza del deposito della sentenza”.
Si sottopone – conclusivamente, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. – all’esame di questa Corte il seguente quesito di diritto:
premesso che l’avv. Ve. venuto a conoscenza in modo informale del deposito della sentenza del giudice di pace di Verona provvedeva alla notifica de la sentenza con pedissequo precetto senza avvertire il Collega avversario; rilevato che il Collega avversario non aveva richiesto di essere notiziata dell’avvio dell’esecuzione in quanto non a conoscenza del deposito della sentenza ; considerato che
l’articolo 22 del Codice Deontologico Forense prevede, al titolo 2, rapporti con i colleghi, “rapporto di colleganza”, che l’avvocato deve mantenere sempre, nei confronti dei colleghi, un comportamento ispirato a correttezza e lealtà”; dica la Corte Suprema se mancando richiesta di informativa da parte del collega, possa il difensore di controparte avviare azione esecutiva senza previo avvertimento e se tale condotta possa integrare violazione dell’articolo 22 del Codice Deontologico Forense.
3. Eccepisce parte controricorrente, con riguardo ai sopra riassunti motivi, la loro inammissibilità, per violazione dell’articolo 366 bis c.p.c..
Si assume, infatti, che i quesiti di diritto come proposti dalla difesa del ricorrente non rispondono alla regola contenuta nella norma sopra ricordata.
La proposizione che esprime il quesito – assume parte controricorrente – deve essere fondata in maniera da essere assunta come base per la statuizione del principio di diritto che a sua volta si presta a essere assunto come base per l’estrazione di una corrispondente massima giurisprudenziale.
4. L’eccezione è totalmente infondata.
Per quanto rilevante a questo punto della esposizione è noto che in margine all’articolo 366 bis c.p.c., costituiscono diritto vivente le seguenti proposizioni: – il quesito di diritto previsto dall’articolo 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’articolo 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;
– in altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dai solo quesito, inteso come sintesi, logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare;
– la ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054, nonchè Cass. 18 settembre 2009, n. 20288, in motivazione, tra le tantissime).
Pacifico quanto precede è palese che i quesiti – sopra trascritti – rispondono pienamente al precetto di cui all’articolo 366 bis c.p.c..
Gli stessi, infatti, dopo la descrizione della condotta che il giudice a quo ha incontestabilmente accertato essere stata posta in essere dalla parte ora controricorrente, senza eccepire, quindi, in alcun modo, che la condotta materiale tenuta dal Ve. fosse diversa da quella accertata o che le risultanze di causa potevano, in tesi, essere interpretate in senso diverso, trascrivono la norma (del codice deontologica forense) che detto giudice almeno a parere del ricorrente ha erroneamente interpretato (nell’escludere la responsabilità disciplinare de il VE. , quanto alle descritte condotte), enunciano chiaramente e adeguatamente – sotto forma di quesito -, il principio di diritto che questa Corte deve enunciare in caso di accoglimento del ricorso ai fini di una corretta interpretazione della ricordata disposizione del codice deontologico, con riguardo alla fattispecie concreta e suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello ora all’esame.
5. Accertata la ammissibilità dei motivi, osserva la Corte che a prescindere dalla parziale loro ripetitività i due motivi denunziano – in pratica – la violazione, da parte del Consiglio Nazionale Forense, del precetto di cui all’articolo 22 del Codice deontologico forense sotto due – distinti – profili.
In particolare:
– da un lato, per non avere il giudice a qua ritenuto censurabile la condotta del l’avv. VE. perchè questi, venuto a conoscenza in modo informale del dispositivo di una sentenza del giudice di pace, prima della notifica del dispositivo da parte della cancelleria, ha omesso di informare della circostanza il collega avversario, notificando la sentenza a controparte -primo motivo;
– dall’altro, per avere ritenuto non censurabile la condotta dell’avv. VE. che ha notificato atto di precetto senza prima darne notizia al collega avversario – secondo motivo.
6. Premesso quanto sopra, ritiene la Corte che il primo motivo non può trovare accoglimento. In particolare deve escludersi che le parti e i loro difensori possano (e debbano) avere legale “notizia” dell’esito di un procedimento giurisdizionale esclusivamente a mezzo della “comunicazione della sentenza” ai sensi dell’articolo 133 c.p.c., comma 2, cioè tramite “biglietto di cancelleria contenente il dispositivo, comunicata ai sensi del successivo articolo 136 c.p.c..
In realtà la notizia del deposito della sentenza, che il cancelliere da alle parti costituite con biglietto ai loro difensori, non incide sulla pubblicazione o sulla validità di essa nè sul termine per impugnarla. Come, pertanto, è irrilevante – al fine di ritenere osservato il termine per la impugnazione del provvedimento giurisdizionale – la ritualità (o la eventuale irritualità o omissione) di tale informazione (tra le tantissime in questo senso Cass. 16 luglio 2007, n. 15778; Cass. 7 agosto 2003, n. 11910; Cass. 24 aprile 1998, n. 4220, nonchè Cass. 13 novembre 2000, n. 14698), così deve escludersi – contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si afferma in ricorso – che la conoscenza della sentenza avuta dal difensore prescindendo dal detto biglietto di cancelleria, costituisca una “conoscenza in modo iniformale” sia del dispositivo di una sentenza, sia del suo avvenuto deposito in cancelleria) da portale a conoscenza – per il principio di colleganza di cui all’articolo 22 del codice deontologico – al collega avversario.
È, quindi, corretta l’interpretazione dell’articolo 22 del Codice deontologico offerta del Consiglio Nazionale Forense.
Il primo motivo di ricorso – conclusivamente – deve essere rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: “non viola gli obblighi derivanti dal rapporto di colleganza (di cui all’articolo 22 del codice deontologico forense) l’avvocato che avuta – in assenza della comunicazione del cancellerie di cui all’articolo 136 c.p.c. – conoscenza del dispositivo di una sentenza, favorevole al proprio rappresentato, ometta di fare parte di tale dispositivo il collega di controparte, e, chiesta copia autentica della sentenza (completa di motivazione) la notifichi all’altra parte”.
7. Fondato e meritevole di accoglimento, per contro è il secondo motivo.
Come noto, l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce – ex articolo 2 Cost. – un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale (cfr. Cass., 5 marzo 2 009, n. ) 5349), applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, e impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (in termini, ad esempio, Cass. 5 febbraio 2007, n. .3462).
Il principio di correttezza e buona fede – in particolare – deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass. 11 giugno 2008, n. 15746).
Contemporaneamente, giusta la testuale previsione di cui all’articolo 88 c.p.c. le parti e i loro difensori devono comportarsi in giudizio con lealtà e probità, mentre, il codice deontologico degli avvocati prevede, da un lato, che l’avvocato deve mantenere sempre, nei confronti dei colleghi, un comportamento ispirato a correttezza e lealtà (articolo 22), dall’altro, che l’avvocato non deve aggravare con onerose iniziative giudiziarie la situazione debitoria della controparte (articolo 49).
Certo quanto sopra, ritiene la Corte che la disposizione dettata dall’articolo 22 del codice deontologico vieti al professionista di tenere una condotta quale quella tenuta dall’avvocato VE. e qui discussa. È stato, in verità, già affermato da queste Sezioni Unite deve ribadirsi, ulteriormente, che costituisce illecito disciplinare la violazione, da parte dell’avvocato, del dovere di lealtà e correttezza nei confronti del collega di controparte, dovere la cui osservanza può anche richiedere, in talune circostanze, di informare l’avvocato di controparte circa le iniziative intraprese a tutela delle ragioni del proprio assistito (Cass., sez. un. 17 aprile 2003, n. 6188).
Il secondo motivo di ricorso, in conclusione, deve essere accolto in applicazione del seguente principio di diritto: “viola l’articolo 22 del codice deontologico forense l’avvocato che sulla base di sentenza favorevole al proprio cliente, nonostante la modestia – in relazione alle condizioni economiche del debitore – del credito accertato nella pronunzia giurisdizionale, e pur in essenza di un rifiuto esplicito del debitore di dare spontanea esecuzione alla sentenza – notifichi al debitore atto di precetto (così aggravando la posizione debitoria di questo), senza previamente informare l’avvocato dell’avversario della propria intenzione di dare corso alla procedura esecutiva”.
8. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, per nuovo esame, in applicazione del principio di diritto di cui sopra al Consiglio Nazionale Forense. La, relativa, novità delle questioni trattate giustificano, tra le parti, la totale compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame, al Consiglio Nazionale Forense; compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di cassazione.