La scarcerazione di un coindagato non influenza la legittimità della custodia cautelare degli altri imputati – Cassazione Penale, Sentenza 34240/2010
In tema di misure cautelari personali, la valutazione della personalità dell’imputato varia caso per caso ed è, quindi, diversa per ciascuno dei soggetti del medesimo processo. Pertanto, quando la motivazione si sia soffermata sugli elementi ritenuti influenti e decisivi, il richiamo alla pretesa disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati è del tutto inconferente giacché le determinazioni del giudice, in materia di custodia preventiva, conseguono alla valutazione anche di circostanze strettamente personali che, come tali, non possono esercitare alcuna influenza sulla posizione individuale degli altri.
Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza n. 34240 del 22/09/2010
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Genova, quale giudice dell’impugnazione ex art. 310 c.p.p., con ordinanza del 16.3.2010 rigettava l’appello proposto nell’interesse di XXXX avverso il provvedimento del 16.3.2010 con il quale la Corte di Appello di Genova aveva respinto l’istanza rivolta ad ottenere, per l’imputato, la revoca o la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta in relazione al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 D.P.R. n. 30911990 (concorso nella detenzione di circa un chilo di eroina con elevato grado di purezza).
Il Tribunale motivava il proprio provvedimento di rigetto rilevando che:
– l’imputato è stato condannato, in primo e secondo grado, alla pena di anni 15 di reclusione ed euro 100.000 di multa per il reato a lui ascritto;
– permanevano le esigenze di cautela, già rivolte ad impedire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, che non appariva contrastabile con misure meno afflittive.
Evidenziava, in particolare, il Tribunale che “i precedenti penali, numerosi, gravi e specifici di XXXX escludono che passa ritenersi venuto meno ovvero attenuato il pericolo di recidiva, aggiungendosi che il rilevante quantitativo di eroina da lui detenuto induce a ritenere il suo inserimento in ambienti dediti al traffico di stupefacente; tale contesto complessivo esclude che possa attribuirsi al mero decorso del tempo (la affermata collaborazione di XXXX con la DDA non risulta da alcun elemento) l’attenuazione o addirittura il venir meno dell’esigenza cautelare.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso lo XXXX, il quale – sotto il profilo della violazione di. legge- ha eccepito:
– una evidente disparità di trattamento rispetto a quello riservato ail coimputato YYYY., il quale, fermato insieme a lui, era stato immediatamente scarcerato appena alcune ore dopo l’arresto operato dalla polizia giudiziaria.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. Rileva al riguardo il Collegio che, in tema di misure cautelari personali, la valutazione della personalità dell’imputato varia caso per caso ed è, quindi, diversa per ciascuno dei soggetti del medesimo processo. Pertanto, quando la motivazione si sia soffermata sugli elementi ritenuti influenti e decisivi, il richiamo alla pretesa disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati è del tutto inconferente giacché le determinazioni del giudice, in materia di custodia preventiva, conseguono alla valutazione anche di circostanze strettamente personali che, come tali, non possono esercitare alcuna influenza sulla posizione individuale degli altri.
Nella fattispecie in esame il diniego della revoca ovvero della sostituzione della custodia cautelare in carcere con misure meno afflittive risulta correlato ad argomentati riscontri della attualità della persistenza delle esigenze cautelari che hanno concorso a determinare l’applicazione della misura detentiva, in relazione alla gravità dei fatti, alle modalità del loro compimento ed alla personalità dell’imputato.
Le esigenze di cautela sono state ribadite dunque, con motivazione logica ed adeguata, secondo le previsioni di cui alla lettera o) dell’art. 274 c.p.p.
3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’ art. 616 c.p.p., l’ onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario ove lo XXXX è detenuto, per gli adempimenti cui al comma 1ter dell’art. 94, disp. att. c.p.p., introdotto dalla legge n. 332/1995.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli arti. 127 e 311 c.p.p.,
dichiara inammissibile li ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso ai direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’ad. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.
Depositata in Cancelleria il 22.09.2010