Stop alla politica rissosa. Gli insulti vanno condannati – Cassazione Penale, Sentenza 33310/2010
Il confronto politico non giustifica le ingiurie reciproche tra avversari, le quali vanno punite in sede penale. La Cassazione dice cosi’ basta agli insulti tra politici, confermando la condanna inflitta dal tribunale di Verona (sezione distaccata di Legnago) all’ex sindaco del comune di Casaleone, che aveva definito “mentecatto” il suo successore alla poltrona di primo cittadino al termine di una seduta del consiglio comunale. L’imputato era stato condannato per il reato di ingiuria a risarcire i danni all’avversario e a pagare una multa di 200 euro: per questo, il suo difensore si era rivolto ai giudici di piazza Cavour, rilevando che si era trattato di un semplice “esercizio del diritto di critica politica”.
Del tutto diversa l’opinione della quinta sezione penale della Suprema Corte, secondo cui “non appare fondata la tesi sull’esistenza nella nostra democrazia di un’area (il confronto politico) in cui si sarebbe sedimentata, grazie ad un lessico fatto di ingiurie reciproche, una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi, che perderebbero, per consuetudine, rilevanza penale, rilevanza che invece mantiene nell’ambito dell’intera cittadinanza”. Questa tesi, osservano gli ‘ermellini’, “si fonda su una concezione della gestione dei pubblici poteri in cui i rappresentanti della democrazia rappresentativa potrebbero esprimere le proprie opinioni con strumenti di comunicazione vietati dalla legge, invocando un trattamento di favore inammissibile dinanzi al fondamentale principio di uguaglianza dinanzi alla legge”. Al di la’ degli orientamenti interpretativi, si legge ancora nella sentenza n.33310, “il diritto di critica deve rispettare il limite della continenza” e quindi “deve consistere in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari che non trasmodino in attacchi personali, lesivi della dignita’ morale ed intellettuale della persona che, in qualsiasi contesto di vivace polemica, rimane comunque penalmente tutelata”.