Civile

Dichiarazione dello stato di adottabilita, affidamento eterofamiliare ed audizione del minore – Corte di Appello Salerno, Sent. 3/2010 del 23/05/2010

Nel vigente ordinamento, il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia ha carattere prioritario sicché nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine, il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai Servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino. Ne consegue che è necessario particolare rigore nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, che non può discendere da un mero apprezzamento circa l’inidoneità dei genitori del minore cui non si accompagni l’ulteriore, positivo accertamento che tale inidoneità abbia provocato, o possa provocare, danni gravi ed irreversibili ad una equilibrata crescita dell’interessato.

La “situazione di abbandono” che rende necessaria la dichiarazione di adottabilità non consiste soltanto nel rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali e parentali, ma anche in una situazione di fatto obiettiva che a prescindere dagli intendimenti e desideri dei genitori e parenti, impedisca o ponga in pericolo il sano sviluppo psicofisico del minore, dovendosi prescindere da giudizi di responsabilità e colpevolezza a carico di genitori e parenti e dovendosi invece guardare unicamente alla situazione oggettiva e all’interesse esclusivo del minore.

L’audizione del minore  nell’ambito del processo di dichiarazioe dello stato di adottabilità(pur quando sia facoltativa), non può essere qualificata un atto di indagine, ovvero un accertamento su di esso, rientrante nella categoria di quelli rivolti a convincere il giudice in ordine alla sussistenza o meno di determinati fatti storici, bensì lo strumento diretto per raccogliere le opinioni nonché le valutazioni ed esigenze rappresentate dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto; e nel contempo per consentire al giudice di percepire con immediatezza, attraverso la voce del minore e nella misura consentita dalla sua maturità psicofisica, le esigenze di tutela dei suoi primari interessi.

L’apprezzamento dello stato di abbandono non può più avvenire tenendo conto soltanto del dato oggettivo che lo abbia determinato desunto dal comportamento omissivo (sul piano morale e materiale) anche incolpevole dei genitori, ma deve essere considerata anche la percezione soggettiva di esso, da parte del minore, altrimenti correndosi il rischio di esporlo a seri e gravissimi traumi

La situazione che giustifica l’affidamento etero-familiare, a norma degli artt. 2 e segg. della L. 4.5.83 n. 184, come sostituiti dai corrispondenti articoli della legge 28.3.01 n. 149, e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di “un ambiente familiare idoneo” è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità

Anche un prolungato affidamento eterofamiliare non osta alla configurabilità di uno stato di abbandono e della soggettiva percezione dello stesso da parte del minore, ai fini della dichiarazione di adottabilità.

 

Corte di Appello di Salerno – sezione per i minorenni

 

Sentenza n. 3/10 del 25.5.10, in causa n. 5/10 r.g.m.

La Corte di Appello di Salerno, sezione per i minorenni, riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati:

Dott. Nicola BARTOLI – Presidente

Dott. Franco DE STEFANO – Consigliere est.

Dott. Francesco FLORA – Consigliere

Dott. Enrico SANTORO – Componente onorario

Dott.ssa Antonietta FERRARA – Componente onorario

Ha pronunziato la seguente sentenza

Nella causa civile di 2° grado iscritta al n. 5/10 r.g. min., avente ad oggetto: impugnazione di sentenza n. 112/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno, del 6-23 novembre 2009, in causa n. 9/07 cont. – “opposizione a decreto dichiarativo dello stato di adottabilità”;

E vertente TRA

F.R. (avv. L.G. – el. dom. via …); APPELLANTE

E

D.D.R. e C. G. – (avv. F. V. – el. dom. …);

NONCHÉ

P.C. e M.M., rispettivamente curatore speciale e tutore provvisorio della minore F.M.G. (n. … il 4.9.96)(di uff.: avv. M.T.S.)

NONCHÉ

Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno;

INTERVENTORE NECESSARIO

All’udienza del 18.5.10 le parti hanno così concluso:

– il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dell’impugnazione con conferma dell’impugnato provvedimento;

– l’appellante ha chiesto l’accoglimento dell’appello;

– i costituiti appellati hanno chiesto il rigetto dell’appello e come da comparsa di costituzione;

– l’avvocato dei minori ha chiesto l’accoglimento dell’appello.

Svolgimento del processo

Con ricorso dep. il 22.2.10 F. R. ha proposto appello avverso la sentenza n. 112/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno (notificata al suo avvocato costituito con atto spedito per la notifica il 20.1.10), con la quale è stato, in parziale riforma del precedente decreto dichiarativo dello stato di adottabilità dei suoi figli F.D.V. e F.M.G., confermato lo stato di adottabilità soltanto della seconda.

A sostegno della qui impugnata decisione il Tribunale per i Minorenni aveva, dopo una analitica e particolareggiata esposizione delle vicende della minore fin dalla sua nascita, concluso per l’indispensabilità della dichiarazione di adottabilità, alla stregua della protrazione dello stato di sostanziale abbandono, se non affettivo, almeno relativo all’assistenza morale e materiale, della minore fin dalla sua nascita e soprattutto della previsione di sicuro nocumento, per quest’ultima, dell’alterazione del positivo stato di serenità finalmente da lei conseguita nella famiglia degli affidatari, con idonea proiezione di se stessa nel futuro di questa.

L’appellante adduce: la violazione di norme procedurali in primo grado in ordine all’accesso agli atti del procedimento; la contraddittorietà della pronuncia, che, pur dinanzi ad un’identica valutazione di assoluta inadeguatezza della madre a prendersi cura di entrambi i figli, revoca lo stato di adottabilità solo per uno e non anche per l’altra; il valore meramente consultivo dell’audizione del minore; il carattere preconcetto dell’avversità della minore alla madre; l’omessa verifica della persistenza contingente ed attuale dello stato di abbandono; l’erroneità del peso dato a valutazioni mediche o sociologiche molto risalenti e della mancata considerazione della transitorietà o non imputabilità dello stato di abbandono; la persistenza del suo affetto verso la figlia; la sufficienza del mantenimento dello stato di semplice affidamento. E conclude per la riforma della sentenza, nella parte in cui essa ha confermato lo stato di adottabilità di F.M.G., con revoca di quest’ultima e condanna delle controparti alle spese di giudizio, previa C.T.U. sulle sue attuali condizioni di salute mentale ed audizione dei precedenti affidatari e del proprio consulente spirituale.

L’appello con il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza camerale del 20.4.10 è stato notificato il 9.3.10 ed a seguito di tanto si sono costituiti gli attuali affidatari D.D.R. e C.G., i quali deducono: il rispetto in primo grado di tutte le norme procedurali (con l’audizione di tutti gli interessati e la nomina del difensore di ufficio); la coerenza della motivazione e della diversità delle scelte in ordine ai due minori, giustificata dalla differenza dei rapporti di ciascuno con la madre; la corretta considerazione non soltanto di accertamenti risalenti, ma della condotta materna protrattasi per un decennio e della carenza di prove del superamento dell’originaria conclamata incapacità; la sussistenza di un grave disagio della minore negli incontri con la madre e, al contrario, di un consistente recupero dello sviluppo psico-fisico e della socializzazione a partire dal suo ultimo affidamento; la rilevanza dell’opinione del fanciullo come ascoltato, per la centralità del suo ruolo nei procedimenti che lo riguardano; la gravità degli effetti dell’allontanamento della minore dall’ambiente in cui si trova ormai integrata anche dal punto di vista affettivo da almeno cinque anni. E, oppostisi ai mezzi istruttori invocati, hanno concluso per il rigetto del gravame, vinte le spese.

All’ud. 18.5.10, cui era stato disposto rinvio per consentire la notifica anche al curatore speciale ed al tutore provvisorio della minore, comparivano tutte le parti e, precisate dalle parti le conclusioni come in epigrafe riportate, la causa era decisa mediante lettura del dispositivo come in atti riportato, ai sensi del previgente testo dell’art. 17, co. 3 e 4, L. 4.3.83 n. 184.

Motivi della decisione

Per la qualificazione data dai primi giudici, alla presente controversia si applica il testo della L. 184/83 anteriore alla riforma di cui alla L. 28 marzo 2001 n. 149, essendo stato il decreto dichiarativo dello stato di adottabilità pronunciato prima del 1.7.07 (Cass. 4.4.08 n. 8713): infatti, l’efficacia della sua modifica – introdotta dall’art. 16 L. 28.3.01, n. 149 – è stata sospesa sino al 30.6.02 dall’art. 1 d.l. 24.4.01 n. 150, conv. con modif. nella L. 23.6.01 n. 240, termine successivamente prorogato al 30.6.03 dal d.l. 1.7.02 n. 126, conv. con modif. nella L. 2.8.02 n. 175, quindi al 30.6.04 dal d.l. 24.6.03 n. 147, conv. con modif. nella L. 1.8.03 n. 200, poi al 30.6.05 dal d.l. 24.6.04 n. 158, conv. con modif. nella L. 27.7.04 n. 188, poi al 30.6.06 dal d.l. 30.6.05 n. 115, conv. con modif. nella L. 17.8.05 n. 168 e, da ultimo, al 30.6.07 dall’art. 1 d.l. 12.5.06 n. 173, conv. con modif. nella L. 12.7.06 n. 228.

Pare indispensabile, per la delicatezza della fattispecie, riassumere i fatti secondo la ricostruzione dei primi giudici, i quali così argomentano:

1) entrambi i minori sono stati sentiti nel corso quanto meno del procedimento di opposizione al decreto (ud. 14.2.08); ed anche gli attuali affidatari sono stati ascoltati;

2) centrale motivo di opposizione è l’asserzione dell’idoneità della ricorrente all’assistenza passata e futura dei minori;

3) in tutte le convenzioni internazionali riguardanti i minori e nell’ordinamento interno dello Stato Italiano è inequivocabilmente ribadito il diritto del minore ad un’adeguata assistenza morale e materiale, possibilmente nell’ambito della famiglia biologica, che certamente deve essere preferita nell’interesse sia dei figli che dei genitori;

4) solo in presenza di accertate carenze al riguardo sono previsti rimedi, tra i quali l’adozione, la cui finalità non è quella di sanzionare comportamenti inadeguati dei genitori, ma di assicurare al minore l’assistenza morale e materiale, alle quali ha diritto e che è indispensabile per una sua crescita equilibrata;

5) pertanto, nel procedimento di adozione e, quindi, nel caso concreto occorre stabilire se i minori hanno ricevuto in passato e potranno ricevere in futuro un’adeguata assistenza dalla madre, ovvero dai parenti entro il quarto grado (ma nel caso concreto i minori sono stati riconosciuti dalla sola madre e non si conoscono familiari che abbiano avuto rapporti significativi gli stessi); in caso negativo devono essere adottati i provvedimenti necessari alla sua tutela, ivi compresa l’adozione;

6) quindi è addirittura secondario accertare se la mancata assistenza morale e materiale da parte della madre sia addebitabile al suo comportamento doloso o colposo, o a cause diverse, esulando dal presente procedimento, inteso esclusivamente alla tutela del minore, ogni finalità punitiva del genitore;

7) per come si rileva dalle innumerevoli relazioni e provvedimenti in atti, F. R. non ha mai assicurato ai due figli una accettabile assistenza materiale e morale, nonostante i sostegni e gli aiuti ricevuti sin dalla nascita dei due minori;

8) che già con provvedimento del Tribunale per i Minorenni di … nei primi mesi della loro vita F.D.V. e M.G. sono stati collocati in un istituto di … assieme alla madre, “non essendo quest’ultima, affetta da disturbi di natura psichica, in grado di occuparsene e di assicurare loro adeguate condizioni di crescita”;

9) il medesimo Tribunale il 17.12.96, rilevato che la permanenza in tale struttura si era rilevata col tempo “insostenibile a causa delle interferenze disturbanti poste in essere dalla madre nel normale svolgimento della vita della comunità, tali da creare situazioni di grosso scompiglio e tensioni”, ha disposto il ricovero dei soli minori presso un istituto di …;

10) con decreto del 13.5.1997, preso atto dell’impossibilità di eseguire il provvedimento di ricovero dei minori per indisponibilità di posti nella struttura individuata e del trasferimento di madre e figli a …, ha trasmesso gli atti per competenza al Tribunale per i Minorenni di Salerno;

11) il 15.4.97 il DSM … ha riferito che la madre non riusciva ad integrarsi in famiglia dopo la seconda gravidanza, anche per marcati disturbi di personalità e da “disturbi psichici” (“insufficienza mentale di grado moderato con disturbo della personalità con prevalente disturbo di adattamento e della condotta”) che in passata avevano determinato ricoveri in strutture psichiatriche; la donna era incapace di accudire i figli senza il supporto di adeguate figure parentali, ma, come si legge nella relazione dei servizi sociali del 13.5.97, aveva un comportamento violento ed aggressivo nei confronti dei genitori che la ospitavano;

12) dalla relazione dei servizi sociali dell’1.8.97 si apprendeva che la madre non era capace da sola di provvedere ai figli, ma rifiutava sostegni; per tali motivi la cugina materna F.I., che era disponibile ad aiutarla, era stata costretta a rinunziarvi; altrettanto era avvenuto coi volontari della …; i due minori erano stati pertanto ricoverati presso l’IPI di Salerno il 31.7.97;

13) gli unici parenti individuati, lo zio F.G. e la moglie, il 21.8.07 e poi il 28.10.97, hanno riferito di non trovarsi in condizioni economiche per tenere minori; laddove i nonni materni non erano in grado di provvedere ai minori sia per l’età (erano nati nel 1927 e 1926), sia per le loro condizioni di salute;

14) con relazione del 8.9.97 il DSM, confermando la precedente diagnosi, ha riferito che la patologia materna era cronica e non suscettibile di cambiamenti significativi in tempi brevi; la donna non era, quindi, in grado di provvedere ai figli;

15) in data 1.12.97 F. R. si è presentata spontaneamente in Tribunale con tale C.F. ed insieme hanno dichiarato che era loro intenzione sposarsi e tenere con loro i minori; ma già il 15.12.97 la donna è comparsa di nuovo spontaneamente per comunicare che la relazione col C.F. era cessata;

16) il 13.1.98 la moglie del fratello della F. ha riferito al Tribunale che la madre ostacolava i rapporti degli zii con i minori; lo stesso giorno l’assistente sociale riferiva che i rapporti della donna coi genitori, coi quali conviveva, continuavano ad essere conflittuali;

17) con provvedimenti del 20.3.98 e 3.4.98 il Tribunale per i Minorenni, ottenuta la disponibilità materna, ha disposto il ricovero dei minori con la madre presso l’istituto “…” di …: ma anche all’interno di tale struttura la madre dei minori non solo non ha provveduto alle esigenze più elementari dei figli, ma ha anche ostacolato gli interventi delle suore;

18) il 14.5.98 i servizi sociali hanno comunicato che la donna in istituto non provvedeva a preparare il cibo e ad accudire i figli; solo dopo insistenze lasciava che le suore si occupassero dei minori, ai quali, peraltro, la F. era legata affettivamente;

19) con relazione del 24.7.98 gli stessi servizi hanno riferito che la madre continuava con aggressività e violenza a rifiutare ogni sostegno e pretendeva di provvedere da sola ai figli (ma aveva tentato di dar loro farmaci diversi da quelli prescritti, pretendeva dai figli ritmi non adeguati e ne curava poco l’igiene);

20) i difficili rapporti con la donna sono stati confermati il 31.7.98 dalla responsabile dell’istituto “…”, mentre lo zio materno ribadiva la non disponibilità all’affidamento dei minori; sono, invece proseguiti gli incontri tra i due fratelli;

21) il 6.2.2007 l’ex responsabile dell’istituto … di …, ove F. R. è rimasta coi figli per diversi anni, ha riferito al G.D. che la donna non è mai stata in condizione di accudire i figli; le suore si erano sostituite a lei sperando di responsabilizzarla, cosa mai avvenuta, perché la F. era infantile e immatura ed ha sempre rifiutato ogni sostegno; la riferente aveva di recente sollecitato la madre dei minori a consentire all’adozione dei figli ma la F. le aveva risposto che M.G. poteva vivere come aveva sempre vissuto lei e fare la “prostituta” come lei;

22) sono quindi giunte diverse relazioni dei servizi che hanno sempre ribadito che i due minori vivevano serenamente presso gli affidatari, dai quali ricevevano adeguata assistenza materiale e morale;

23) si è, così, pervenuti al decreto di adottabilità dell’11.5.07, avverso il quale F. R. ha proposto opposizione;

24) dalle vicende innanzi descritte si rileva in modo incontrovertibile che F. R. non è stata mai in condizione di assistere adeguatamente i figli: sin dalla loro nascita, per come si è detto, ha usufruito di numerosi sostegni, da lei peraltro non accettati, ma che, soli, hanno consentito una qualche assistenza dei minori; né dopo la dichiarazione di adottabilità la donna ha concretamente dimostrato di essersi messa in condizione di provvedere ai figli;

25) le numerose istanze di incontrare M.G. e l’opposizione al decreto di adattabilità sono qualificati come meri atti formali, che non consentono previsioni ottimistiche sul ruolo materno della donna;

26) non si mette in dubbio il legame affettivo coi figli della F., che però non si è mai adoperata concretamente per loro;

27) certo, si può essere umanamente comprensivi nei confronti dell’opponente anche in considerazione dei suoi disturbi psichici, ma la donna ha sempre rifiutato le cure necessarie, nonostante le buone intenzioni manifestate ripetutamente davanti al giudice;

28) in ogni caso, per come si è già detto, la dichiarazione di adottabilità non è un provvedimento punitivo dei genitori, ma ha l’unica finalità di tutelare i minori: non è, pertanto, rilevante stabilire se la madre non ha esercitato il suo ruolo genitoriale per scelte colpevoli o per problemi psichici; per tali motivi di scarsa rilevanza sarebbe stata una consulenza tecnica sull’opponente.

29) è certo che F. R. non ha fornito ai figli, sin dalla loro nascita, l’assistenza materiale e morale della quale avevano bisogno; ciò non ha fatto neanche quando ha ricevuto forti sostegni, in particolare quando per anni (dal 1998 al 2002) è rimasta in comunità coi figli (v. dichiarazione della responsabile dell’istituto “…”);

30) sussistono quindi, con riguardo al comportamento materno, tutte le condizioni per confermare il provvedimento di adottabilità;

31) peraltro F.D.V. vive attualmente serenamente presso la famiglia affidataria, conservando rapporti, oltre che con la sorella, anche con la madre; ha forti legami verso la famiglia di origine, manifestando anche il desiderio di sapere chi è suo padre; sentito nel corso per presente procedimento, F.D.V. ha sostanzialmente manifestato il desiderio di rimanere in affidamento, ma non di essere adottato;

32) in definitiva, nell’esclusivo interesse di tale minore, può essere revocato il decreto di adottabilità che lo riguarda;

33) completamente diversa è la condizione di M.G.: la ragazza si è ambientata perfettamente presso gli affidatari, che le hanno prestato le cure e l’assistenza necessarie anche a risolvere diversi problemi fisici e psichici e numerose sono le relazioni dei servizi al riguardo (l’ultima è del 9.11.09): da anni la minore rifiuta ogni rapporto con la madre, anche in considerazione delle conseguenze negative dei precedenti incontri con la genitrice;

34) sentita il 14.2.08 la ragazzina ha confermato il rifiuto della madre ed il suo grande desiderio di essere adottata dagli affidatari; già si qualificava col cognome degli affidatari (lo ha fatto anche davanti al G.D.) e programmava la sua vita futura con una sorella adottiva (poi gli affidatari hanno effettivamente adottato due gemelli stranieri di sei anni, coi quali M.G. ha stabilito un forte legame);

35) per aderire alle richieste dell’opponente bisognerebbe sottrarre alla minore l’ambiente familiare ed i legami affettivi che è riuscita ad avere dopo numerosi anni di vita turbolenta con la madre, di ricoveri in istituto e di abbandono da parte dell’unico genitore che l’ha riconosciuta;

36) non è quindi nel suo interesse sperimentare a suo rischio esclusivo le buone intenzioni dichiarate dalla madre successivamente al decreto di adottabilità, dopo anni di comportamenti comprovanti la sua incapacità a prendersi cura della figlia: e tanto in considerazione dei comportamenti irresponsabili della ricorrente nei confronti della figlia, sin dalla nascita, e degli attuali rapporti conflittuali, anzi inesistenti, tra le due è facilmente prevedibile il fallimento dei tentativi di ricostruzione dei rapporti madre-figlia;

37) in tal caso, dopo aver sottratto alla minore una famiglia faticosamente acquisita dopo lunghi anni di sofferenze, non resterebbe che collocare la giovane in istituto, dove presumibilmente rimarrebbe fino alla maggiore età, per poi essere abbandonata a se stessa: essendo, infatti, estremamente improbabile che possa essere individuata un’altra coppia disponibile all’affidamento di una ragazza di tredici anni;

38) in definitiva deve essere confermata la dichiarazione di adottabilità della sola F.M.G..

Tutto ciò posto, va osservato che l’interposto gravame non è fondato.

In primo luogo ed in punto di rito, nessuna concreta menomazione della difesa della F.R. risulta perpetrata nel procedimento sfociato nel provvedimento impugnato: minimali esigenze di cautela hanno imposto restrizioni nell’accesso agli atti, il quale comunque è stato alla fine consentito in ordine agli atti rilevanti. Alcuni di quelli dei quali l’odierna appellante si duole non sono poi stati ritenuti utili ai fini della decisione, la quale si fonda sulla considerazione complessiva di una condotta che risulta idoneamente documentata sulla base di documenti che sono stati offerti al vaglio ed alla disamina della F. con modalità tali da consentire una piena difesa.

Per la disamina dei motivi di merito è opportuno premettere che:

– nel vigente ordinamento il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia ha senza dubbio un carattere prioritario, sicché nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine, il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai Servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino;

– la richiamata valorizzazione del legame naturale – e, insieme, la logica di gradualità e di sussidiarietà degli interventi che ispira la legge novellata, in una prospettiva che assegna all’istituto dell’adozione il carattere di estremo rimedio – rende necessario un particolare rigore nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, che non può discendere da un mero apprezzamento circa l’inidoneità dei genitori del minore cui non si accompagni l’ulteriore, positivo accertamento che tale inidoneità abbia provocato, o possa provocare, danni gravi ed irreversibili ad una equilibrata crescita dell’interessato (ex multis Cass. 28.6.06 n. 15011);

– in sostanza, il principio ispiratore della disciplina dell’adozione, secondo cui il minore ha diritto ad essere educato nella propria famiglia di origine, incontra i suoi limiti là dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, né di assicurare l’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, con conseguente configurabilità dello stato di abbandono, il quale non viene meno neppure per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte dei genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado, risultando necessario, in tal caso, accertare che l’ambiente domestico sia in grado di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità del minore, senza che, in particolare, la valutazione di idoneità dei medesimi parenti alla di lui assistenza possa prescindere dalla considerazione della pregressa condotta degli uni in relazione all’altro, come evidenziato dall’art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore (Cass. 10.8.06 n. 18113);

Può così concludersi nel senso che la “situazione di abbandono” che rende necessaria la dichiarazione di adottabilità non consiste soltanto nel rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali e parentali, ma anche in una situazione di fatto obiettiva che a prescindere dagli intendimenti e desideri dei genitori e parenti, impedisca o ponga in pericolo il sano sviluppo psicofisico del minore, dovendosi prescindere da giudizi di responsabilità e colpevolezza a carico di genitori e parenti e dovendosi invece guardare unicamente alla situazione oggettiva e all’interesse esclusivo del minore (Cass. 31.3.10 n. 7961).  E tanto si verifica, ad esempio, quando vi sia una obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico necessario a consentirgli un normale sviluppo psico-fisico: essendo invero l’assistenza morale e materiale un insieme di condotte dovute dai genitori e che si sostanziano nella capacità di prestare quelle cure ed attenzioni affettive, quell’aiuto allo sviluppo della personalità ed al regolare processo di socializzazione, nonché quelle relazioni interpersonali profonde, di cui il minore ha bisogno per un’ottimale maturazione sul piano fisico e psichico (Trib. Minorenni Bari 3.2.10, inedita).

Sulla base di queste premesse, va esclusa la lamentata contraddittorietà del provvedimento, il quale, revocando lo stato di adottabilità per uno solo dei minori, parrebbe appunto ad un tempo stesso affermare e negare l’idoneità della F. ad accudire i propri figli.

Per quanto appena argomentato, non occorre tanto verificare l’idoneità del genitore, quanto piuttosto la sussistenza di un obiettivo stato di abbandono di gravità tale da imporre l’adozione quale extrema ratio: ed è evidente che questo non sussiste – coi visti necessari requisiti di gravità, beninteso – nel caso di D.V., il figlio maggiore. Questi ha invero dimostrato di avere risentito meno della sorella della situazione complessiva in cui la madre lo ha costretto fin dalla nascita (si ricordi che entrambi i figli furono ricoverati in istituto fin da tenerissima età, dapprima con la madre e poi da essa separatamente), visto che, sentito, ha confermato che la situazione di semplice affidamento lo soddisfaceva e che, soprattutto, ha mantenuto rapporti di una certa significatività con la madre naturale.

La giovane M.G., invece, ha espressamente e chiaramente manifestato la sua avversità alla prosecuzione dei rapporti con la madre – rifiutandoli da tempo, anche per il carattere conflittuale o ansiogeno degli incontri con la medesima – e la sua radicata aspirazione a vedersi definitivamente inserita nel nuovo contesto familiare sperimentato nei precedenti tre anni, sereno ed idoneo ad una piena sua risocializzazione. E si ha valida notizia dell’instaurazione di saldi rapporti affettivi anche con la coppia di gemelli – di cinque anni – poi adottati dagli stessi attuali affidatari.

Quanto al valore dell’audizione del minore, soccorrono recenti prese di posizione del Supremo Collegio (Cass. 26.3.10 n. 7282):

– già nell’originaria disciplina dell’adozione dettata dalla L. n. 184 del 1983, l’esigenza di ascoltare il minore – nella duplice previsione, obbligatoria per gli ultradodicenni e facoltativa per gli infradodicenni (cfr. artt. 7 e 25 per la dichiarazione di adozione, artt. 10 e 15 in tema di adottabilità, artt. 22 e 23 in tema di affidamento preadottivo) costituiva nella giurisprudenza di legittimità una costante intesa ad attribuire rilievo alla personalità e alla volontà del fanciullo in relazione a provvedimenti che nel suo interesse trovano la loro ragion d’essere;

– l’originaria prospettiva della prevalenza assoluta di valutazioni oggettive circa l’interesse del minore anche sulle sue soggettive considerazioni muta a seguito della ratifica, anche da parte dell’Italia (L. 176/91), della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, il cui art. 12 stabilisce “1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”;

– ed ancor più incisiva è risultata la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva con L. n. 77 del 2003, il cui art. 3 dispone: “Ad un fanciullo che è considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente, sono conferiti nelle procedure dinnanzi ad un’autorità giudiziaria che lo concernono i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere la sua opinione; c) essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione”;

– il minore (come recepito formalmente dalla L. 149/01, ma secondo principi già introdotti nel vigente ordinamento) non è così più oggetto della potestà dei genitori e/o del potere-dovere officioso del giudice di individuarne e tutelarne gli interessi preminenti, ma è invece soggetto di diritto, e parte necessaria del procedimento, perciò titolare di un ruolo sostanziale (nonché di uno spazio processuale) autonomo rispetto a quello tradizionale di semplice destinatario di una decisione presa nel suo interesse da altri (a prescindere dal fatto che egli abbia bisogno, siccome incapace di agire, di una rappresentanza per far valere il proprio diritto o difenderlo contro un’ingiusta pretesa altrui); ed in tale nuova ottica va affrontato il tema della rilevanza della sua volontà nei provvedimenti che il giudice è chiamato ad emanare “nel suo interesse”, pur lasciando immutato il sistema che prevedeva il consenso espresso all’adozione del minore ultraquattordicenne (art. 7) e per la dichiarazione dello stato di adottabilità l’ascolto del minore, obbligatorio quando il minore abbia compiuto i dodici anni; e con la sola condizione, ma solo per quello che tale età non abbia ancora raggiunto, di valutare la sua capacità concreta di discernimento;

– conseguenza altrettanto rilevante della nuova concezione non più incentrata sul minore “oggetto” di tutela, ma sul minore “soggetto” titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili, è che la sua audizione (pur quando sia facoltativa), non può essere qualificata un atto di indagine, ovvero un accertamento su di esso, rientrante nella categoria di quelli rivolti a convincere il giudice in ordine alla sussistenza o meno di determinati fatti storici, bensì lo strumento diretto per raccogliere le opinioni nonché le valutazioni ed esigenze rappresentate dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto; e nel contempo per consentire al giudice di percepire con immediatezza, attraverso la voce del minore e nella misura consentita dalla sua maturità psicofisica, le esigenze di tutela dei suoi primari interessi;

– tanto risulta conforme alle direttive poste dalle due Convenzioni menzionate, le quali non si riferiscono affatto ad un diritto del minore ad essere interrogato in forma di testimonianza, nonché di convincere il giudice in ordine all’esistenza o meno di determinati fatti storici, ma assegnano al suo ascolto anzitutto lo scopo di consentirgli l’esercizio di un diritto della personalità; e quindi di evitare che egli resti estraneo ai provvedimenti che vengono assunti nel suo interesse;

– in definitiva, l’apprezzamento dello stato di abbandono non può più avvenire tenendo conto soltanto del dato oggettivo che lo abbia determinato desunto dal comportamento omissivo (sul piano morale e materiale) anche incolpevole dei genitori, ma deve essere considerata anche la percezione soggettiva di esso, da parte del minore, altrimenti correndosi il rischio di esporlo a seri e gravissimi traumi; così come non possono essere trascurate peculiari situazioni definite di “semiabbandono”, che hanno indotto questa Corte già nel passato regime ad enunciare il principio che i provvedimenti nell’interesse del minore non vanno stabiliti a priori, sulla base di un generico criterio di adeguatezza, ma rapportati alle reali esigenze della fattispecie in esame (Cass. 6899/1997).

In applicazione di tali principi al caso di specie, valore discriminante decisivo per la decisione sulla sussistenza di uno stato di abbandono risulta l’audizione dei due minori.

Se è vero che M.G., al momento della sua audizione in giudizio (14.2.08), non aveva ancora compiuto i dodici anni (siccome nata il 4.9.96), la coerenza delle sue risposte denota una maturità accentuata per l’età, del resto verosimilmente imputabile alle peculiarità della vita anteatta impostale dalle manifeste carenze genitoriali della madre, rapportata al rapido miglioramento delle relazioni intersoggettive ed al recupero di uno spazio familiare sereno e risocializzante negli ultimi anni.

La capacità di discernimento della giovane M.G. è quindi tale da qualificarla del tutto idonea ad esprimere un consapevole apprezzamento delle sue condizioni ed un’affidabile manifestazione delle sue aspirazioni.

Si deve concludere che la percezione di uno stato di abbandono assoluto da parte della madre sia comprensibilmente diversa per i due minori, benché figli della stessa F.: e che tale percezione sia chiara e netta solo per M.G. e non per D.V..

Tanto basta peraltro per attribuire un peso importante alle rispettive audizioni ed una decisione opposta in ordine alle conseguenze giuridiche dello stato in cui si trovano e si sentono i due minori: l’impugnata decisione, quindi, non solo non è contraddittoria, ma affronta e risolve in modo differenziato – e quindi legittimamente – due situazioni oggettivamente differenziate.

Ora, la peculiarità dello stato di definitivo ed irrimediabile abbandono in cui si viene a trovare – e che, per quanto detto, percepisce chiaramente come tale la sola M.G. – la minore sta in ciò, che le precarie condizione di salute mentale della madre persistono dalla nascita dei due figli e, soprattutto, che ella non si è mai sottoposta con regolarità alle terapie necessarie, scegliendo così volontariamente o coscientemente di rimanere in uno stato di manifesta inidoneità all’espletamento del proprio ruolo materno.

Non si basa quindi la decisione su dati e fatti remoti, ma sulla persistenza della situazione accertata a far tempo da quelli, persistenza – poi, si badi – imputabile alla condotta volontaria della madre: nessuna nuova disponibilità è stata da lei manifestata a seguire scrupolosamente le cure e superare le gravi difficoltà anche relazionali del passato, a prescindere poi dal fatto che nessuna concreta disponibilità di mezzi materiali viene neppure prospettata.

Né potrebbe ovviarsi a tanto con una verifica ufficiosa delle sue condizioni attuali, visto che di esse – e della loro serietà, già riferita (insufficienza mentale di grado moderato con disturbo della personalità con prevalente disturbo di adattamento e della condotta) – la F. è stata consapevole da subito e che avrebbe bene potuto e dovuto dare la prova positiva di concreti atti di impegno per superarle, dopo avere dimostrato di non intendere (o di non essere in grado di) seriamente curarsi dei suoi figli nel periodo della loro infanzia.

Insomma, la dimostrazione di un affetto anche sincero, quale si ricava dalle numerose comunicazioni in atti, purtroppo non basta a superare uno stato di oggettivo abbandono in cui l’inerzia della madre ha finito per far precipitare – e far sentire precipitata – la sola M.G.; del resto, la mera volontà di recupero della capacità e del ruolo genitoriali non è sufficiente, né idonea al superamento dello stato di abbandono, in difetto di elementi concreti di riscontro (Cass. 17.7.09 n. 16795).

E neppure può dirsi che alla giovane M.G. potrebbe bastare la protrazione dell’attuale situazione di affidamento etero-familiare.

In linea di principio, si osservi che:

– la situazione che giustifica l’affidamento etero-familiare, a norma degli artt. 2 e segg. della L. 4.5.83 n. 184, come sostituiti dai corrispondenti articoli della legge 28.3.01 n. 149, e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di “un ambiente familiare idoneo” è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità;

– legittimamente perciò il giudice del merito, accertata l’insufficienza dell’assistenza morale e materiale dei genitori, non dipendente da causa di forza maggiore di carattere transitorio, dichiara il minore in stato di adottabilità, ove pure, per il passato, in analoga situazione, si sia provveduto con l’affidamento etero-familiare – che si sia rivelato inidoneo a risolvere la condizione del minore -, il quale, di per sé, non è di impedimento alla dichiarazione anzidetta, in forza dell’espressa previsione dell’art. 8, co. 2, L. n. 184/83 (non sostanzialmente modificato dall’art. 8 L. n. 149/01), atteso che anche la bontà dell’inserimento del minore presso gli affidatari, se, per un verso, è influente ai fini della successiva trasformazione dell’affidamento provvisorio in affidamento definitivo, non lo è affatto, per altro verso, ai fini del riscontro della sussistenza dello stato di abbandono (tra le ultime, v. Cass. 9.6.05 n. 12168).

Ora, già di per sé la situazione di M.G., che si protrae praticamente fin dalla nascita, è altamente anormale, dovendo presumersi che le difficoltà che giustificano un affidamento siano temporanee e superabili. Il quid novi è peraltro con evidenza dato da una duplice circostanza, una oggettiva ed altra soggettiva:

– la prima è il consolidamento di una condizione anche affettiva maturato negli ultimi anni, caratterizzata dal recupero di serenità della giovane e dalla recisione dei rapporti con la madre; condizione maturata in anni di particolare importanza, in quanto corrispondenti a quelli della tarda infanzia e della preadolescenza, con positivo impatto sullo sviluppo psicologico della minore, quale risulta anche dai riscontri obiettivi delle relazioni in atti;

– la seconda è la percezione, divenuta ormai sufficientemente matura (per quanto più su argomentato e da quanto si evince dalla sua audizione e dalle espressioni, forse infantili ma certo icastiche ed inequivocabili, testualmente riportate a verbale), da parte della minore dell’impossibilità di un mantenimento della condizione precaria in cui l’affidamento pur sempre si risolve (l’aspirazione ad essere parte integrante e piena di una nuova e vera famiglia, con i due fratellini adottati, è significativa in tal senso) e che da lei è percepito appunto come un sostanziale ed oramai irrimediabile abbandono.

Il danno che deriverebbe a F.M.G. dal non conseguimento della definitività del suo inserimento in una nuova famiglia è quindi serissimo, soprattutto se rapportato all’abnorme protrazione del periodo di sofferenza indotto dalle persistenti condizioni e scelte – consapevoli, quand’anche non deliberate – della madre: e tale considerazione deve prevalere su ogni altra – pure sulle comprensibili aspirazioni della madre, frustrate però dalla sua prolungata condotta – al fine di confermare la valutazione della sussistenza dello stato di abbandono, con conferma dell’impugnato provvedimento e rigetto dell’impugnazione.

Quanto alle spese, la peculiarità delle questioni di fatto e di diritto induce a ritenere sussistenti giusti motivi per una integrale compensazione.

P.     Q.     M.

La Corte di Appello di Salerno – sezione per i minorenni, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con ricorso dep. il 22.2.10 da F. R. avverso la sentenza n. 112/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno pubbl. in data 23.11.09 in proc. n. 9/07 cont. e n. 2047 cron., resa anche nei confronti di D.D.R. e C.G., con l’intervento necessario del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno (e relativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità di F.M.G., nata a … il 4.9.96, minore, ogni diversa domanda ed eccezione rigettata o disattesa, così provvede:

1) rigetta l’appello e per l’effetto conferma l’appellata sentenza n. 112/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno, del 6-23 novembre 2009;

2) compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Salerno, all’esito dell’udienza del 18.5.10
Il Presidente – f.to dott. Nicola Bartoli; L’Estensore – f.to dott. Franco De Stefano

  

 

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