Norme & Prassi

L’ampliamento dei termini per l’acceramento fiscale prescinde dall’esito del procedimento penale – Agenzia Entrate circolare 54/E)

Il raddoppio dei tempi di accertamento in caso di denuncia penale per reati fiscali, infatti, si applica anche nel caso di una successiva archiviazione del caso o di assoluzione del contribuente. E’ quanto si afferma nella circolare n.54/E dell’Agenzia delle Entrate, emessa in merito all’applicazione delle norme contenute nel decreto legge 223/2006, che ha raddoppiato i termini di accertamento, da quattro a otto anni e da cinque a dieci anni in caso di mancata presentazione della dichiarazione, in presenza di violazioni che assumono rilevanza penale.

 

Agenzia delle entrate – Circolare n. 54/E – 23 dicembre 2009 – Problematiche di natura interpretativa in materia di termini per l’accertamento. Articolo 37, commi da 24 a 26 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Applicabilità

Sono state recentemente sottoposte all’attenzione di questa Agenzia alcune problematiche di carattere interpretativo in materia di termini per l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto in presenza di violazioni che assumono rilevanza penale, ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74.

L’articolo 37 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, commi da 24 a 26, ha infatti modificato, sia ai fini delle imposte sul reddito che ai fini IVA, la disciplina dei termini per l’attività di accertamento prevista, rispettivamente, all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, aumentando al doppio la durata dell’ordinario termine decadenziale per l’attività di accertamento (fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui questa avrebbe dovuto essere presentata) in presenza di violazioni che comportino l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dal dlgs n. 74 del 2000.

Si tratta, in particolare, delle ipotesi in cui i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, avendo notizia di reato perseguibile d’ufficio nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, sono tenuti a farne denuncia per iscritto.

In tali casi l’Amministrazione, per l’espletamento dell’attività di accertamento, ha a disposizione un più ampio termine, potendo notificare gli avvisi di accertamento entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione e, nel caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Al riguardo, è stato chiesto alla Scrivente di chiarire se l’aumento dei termini ordinari per l’accertamento risenta delle possibili vicende del procedimento penale instaurato per effetto della denuncia di reato e, in particolare, della possibilità che le indagini si concludano con un decreto di archiviazione ovvero che, pure in presenza di un rinvio a giudizio, il processo si concluda con una sentenza di proscioglimento (non luogo a procedere, non doversi procedere o assoluzione).

Al riguardo si esprime l’avviso che, in base al dato testuale della disposizione – che collega l’ampliamento dei termini per l’accertamento alla mera sussistenza dell’obbligo di denuncia della violazione ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale – l’ampliamento stesso operi a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale che consegua alla denuncia.

Tale interpretazione risulta conforme ai criteri ermeneutici fissati dall’articolo 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, che, nello stabilire il primato dell’interpretazione letterale sugli altri criteri ermeneutici (in claris non fit interpretatio), prevede che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Anche utilizzando il diverso – e sussidiario – criterio interpretativo della mens legis, ossia della finalità della disposizione, si giunge alle medesime determinazioni, non sembrando ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia del procedimento tributario di accertamento – e delle risultanze istruttorie ivi raccolte – al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la pronuncia di condanna penale del contribuente.

Ciò assume tanto più rilievo in considerazione del principio di separazione tra procedimento amministrativo di accertamento e procedimento penale fissato dall’articolo 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, in forza del quale il primo non può essere sospeso “… per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”.

Del resto, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al decreto legge n. 223 del 2006, tra le finalità della disposizione, vi è, come chiarito con Circolare 28/E del 4 agosto 2006, anche quella di garantire all’Amministrazione finanziaria l’utilizzabilità di elementi istruttori eventualmente emersi nel corso delle indagini condotte dall’Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto ordinariamente per l’accertamento.

Tali considerazioni devono ritenersi applicabili anche in relazione alle fattispecie in cui, per l’accertamento tributario nei confronti del soggetto verso cui opera l’ampliamento dei termini, sia necessario procedere all’accertamento anche nei confronti di altro soggetto d’imposta legato al primo, ad esempio, da un rapporto di responsabilità solidale, limitatamente agli aspetti tributari che assumono rilevanza per la determinazione della posizione fiscale del primo e limitatamente al periodo di imposta cui si riferisce la violazione che assume rilevanza penale.

Si pensi, ad esempio, al rapporto tra consolidante e consolidata che si determina nell’ambito del consolidato nazionale previsto dall’articolo 127 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), istituto di natura fiscale che consente ai gruppi societari di determinare il proprio reddito imponibile, ai fini IRES, in forma unitaria e globale in capo ad un unico soggetto controllante (cosiddetto consolidante), in presenza di rapporti partecipativi che abbiano i requisiti previsti dagli artt. 117 e 120 del TUIR.

Tenuto conto che, in ipotesi di consolidato, il procedimento di accertamento sul gruppo si compone di due livelli legati da un nesso di consequenzialità, per cui alla rettifica operata in capo alla società consolidata consegue sempre la rettifica del reddito complessivo globale ai fini della determinazione della maggiore imposta dovuta (salvo, ovviamente, il caso di autonoma rettifica del modello Consolidato Nazionale e Mondiale), si ritiene che la proroga dei termini in capo alla consolidata comporti l’estensione della medesima anche nei confronti della consolidante.

Analoghe considerazioni valgono in relazione alle ipotesi di società legate da rapporti di controllo che abbiano aderito alla procedura di liquidazione IVA di gruppo, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, nonché di società che abbiano optato per il sistema di tassazione per trasparenza ai sensi dell’articolo 115 del TUIR.

A tale ultimo riguardo, la proroga in argomento si applica agli aspetti tributari che assumono rilevanza per la determinazione della posizione fiscale della società partecipata, limitatamente ai redditi di partecipazione imputati a ciascun socio.

A sostegno di tale impostazione vi è la considerazione che, diversamente interpretando, la finalità della disposizione verrebbe frustrata realizzandosi, al contempo, un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di quanti, invece, non siano soggetti ad altrui controllo

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