Civile

Nel contenzioso tributario la produzione in giudizio del processo verbale di constatazione grava sull’Ufficio – Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 3456 del 12/02/2009

La Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui il contribuente ha soltanto l’onere di depositare in giudizio l’atto impugnato, che è appunto l’avviso di accertamento. In relazione agli atti impositivi notificati prima dell’entrata in vigore della l. 212/2000, per i quali non era necessaria la contestuale notifica del processo verbale di constatazione il contribuente non ha l’onere di produrre in giudizio il richiamato processo verbale di constatazione, trattandosi di adempimento che, anche in sede contenziosa, grava sull’ufficio. Il mancato deposito del processo verbale di constatazione non produce effetti negativi a carico del contribuente ma nemmeno rappresenta causa di inammissibilità del ricorso essendo quest’ultima ipotesi prevista solo nei casi di mancato deposito dell’originale o fotocopia dell’atto impugnato.


Anna Sabia, Litis.it

 Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza n. 3456 del 12/02/2009

FATTO

La Boutique Liberty s.r.l., ha impugnato un avviso di accertamento IVA notificato il 16 giugno 1999, relativo agli anni 1994 e 1995, motivato mediante rinvio al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza, a seguito di verifica generale.

A sostegno dell’originario ricorso, la società eccepiva la nullità dell’accertamento motivato per relationem e la sostanziale infondatezza dei recuperi basati su errori che sarebbero stati commessi dai verificatori.

I giudici di merito aditi, in primo ed in secondo grado, hanno rigettato il ricorso sul rilievo che la mancata produzione del processo verbale di constatazione non consentiva di valutare la fondatezza del ricorso del contribuente.

Avverso la decisione della CTR, meglio indicata in epigrafe, ricorre la società con tre motivi, con i quali denuncia la violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova (in quanto la mancata produzione del p.v.c., intesa come mancata prova della legittimità dei recuperi, implicava il fallimento dell’onere della prova gravante sull’amministrazione finanziaria), la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 22 e 58 d.lgs. 546/1992 (in quanto il contribuente che impugna un atto di accertamento ha soltanto l’obbligo di depositare tale atto) e per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia in relazione alla eccepita illegittimità della motivazione per relationem, con riferimento alla eccepita mancanza di una autonoma valutazione, da parte dell’ufficio, titolare del potere di accertamento, degli elementi acquisiti dai verificatori).

Resiste con controricorso l’amministrazione finanziaria.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e merita accoglimento, in relazione ai primi due motivi di ricorso.

Erroneamente i giudici di merito hanno rigettato il ricorso della società sul duplice rilievo

a) che la parte ricorrente avesse l’obbligo di depositare, unitamente al ricorso e all’avviso di accertamento impugnato, anche il p.v.c. al quale rinviava la motivazione dell’avviso stesso, in quanto si trattava di un unico composito documento;

b) che, comunque, la mancata produzione del p.v.c., eventualmente anche in corso di giudizio, comportava la soccombenza della parte ricorrente, la quale in tal modo non aveva offerto ai giudici gli elementi necessari per valutare la fondatezza del ricorso.

Preliminarmente, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, è legittima la motivazione per relationem degli avvisi di accertamento notificati, come nella specie, prima dell’entrata in vigore dell’art. 7, primo comma, della l. 212/2000 (in forza del quale «se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama») (v. ex multis Cass. 9220/2008, 2462/2007). Questa prassi giurisprudenziale, però, affermatasi prima dell’entrata in vigore dello statuto del contribuente, nell’intento di semplificare il lavoro degli uffici (evitando laddove possibile un lavoro di mera duplicazione di atti), non può ritorcersi in danni dei contribuenti, sul piano sostanziale. Né altera la distribuzione del carico probatorio. Libero l’ufficio di motivare per relationem, ma non fino al punto che poi il contribuente debba provare “accusa e difesa”. In altri termini, la tecnica della redazione della motivazione non incide sull’onere della prova. L’ufficio può anche motivare in maniera indiretta, ma poi, dinanzi al giudice, in quanto attore in senso sostanziale, deve fornire la prova del proprio assunto. Il contribuente ha soltanto l’onere di depositare l’atto impugnato, che è appunto l’avviso di accertamento. Tanto più nel caso in cui, come nella specie, il contribuente contesti proprio la legittimità della motivazione per relationem. Non gli si può chiedere di produrre un atto del quale contesti la idoneità a costituire supporto probatorio dell’avviso impugnato. Peraltro, con la entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, della l. 212/2000, l’amministrazione non può pretendere di accollare sul contribuente l’onere di produrre documenti in possesso della stessa amministrazione, nemmeno in sede contenziosa.

In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto: in relazione agli atti impositivi notificati prima dell’entrata in vigore della l. 212/2000, per i quali non era necessaria la contestuale notifica del p.v.c. richiamato in motivazione, il contribuente non ha l’onere di produrre in giudizio il p.v.c. richiamato, trattandosi di adempimento che, anche in sede contenziosa, grava sull’ufficio.

Il mancato deposito del p.v.c., non soltanto non produce effetti negativi a carico del contribuente (restando un onere che deve soddisfare l’ufficio), ma nemmeno rileva come possibile causa di inammissibilità del ricorso: “la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti previsti dal primo comma dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 (tra i quali è compreso l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato), non anche degli atti previsti dal quarto comma dello stesso articolo; ne consegue che l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato può essere prodotto anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, che si avvalga dei poteri previsti dal quinto comma dell’articolo citato” (Cass. 18872/2007).

Risultano dunque fondati i primi due motivi di ricorso.

Non merita invece accoglimento il terzo motivo, con il quale si eccepisce che la motivazione per relationem non lascerebbe spazio ad una autonoma valutazione che compete all’ufficio titolare del potere di accertamento. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte, condivisa dal Collegio, “la motivazione degli atti di accertamento “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. 10205/2003; conf. 17243/2003, 2546/2005).

Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione ai primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Lombardia per la decisione della causa utilizzando i principi di diritto sopra affermati. Al giudice del rinvio anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

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