Incostituzionale la distruzione immediata delle intercettazioni indirette o casuali di conversazioni di parlamentari – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 390 del 23/11/2007
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La Corte
Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi
2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione
dell’art. 68 della Costituzione nonchè in materia di processi penali nei
confronti delle alte cariche dello Stato), nella parte in cui stabilisce che la
disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni
debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del
Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate.
CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 390 del 23/11/2007
(Presidente Bile, Etensore Flick)
nel giudizio
di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20
giugno 2003 n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della
Costituzione nonchè in materia di processi penali nei confronti delle alte
cariche dello Stato), promosso con ordinanza del 9 gennaio 2006 dal Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico
di M.U.G. ed altri, iscritta al n. 108 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale,
dell’anno 2006.
Visto
l’atto di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria
Flick.
Ritenuto in
fatto
1. ” Con
l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e
6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art.
68 della Costituzione nonchè in materia di processi penali nei confronti delle
alte cariche dello Stato), nella parte in cui prevede che ” ove la Camera
competente neghi l’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni
“indirette” o “casuali” di conversazioni cui ha preso parte un membro del
Parlamento ” la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta, e
che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in
violazione del disposto dello stesso art. 6, debbano essere dichiarati
inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento; anzichè limitarsi a
prevedere l’inutilizzabilità di detta documentazione nei confronti del solo
parlamentare indagato.
Il
rimettente riferisce che, nel procedimento a quo, il pubblico ministero
aveva fatto istanza, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003,
affinchè fosse richiesta alla Camera dei deputati l’autorizzazione
all’utilizzazione di alcune conversazioni telefoniche, intercettate su utenze in
uso a terzi, alle quali aveva preso parte un membro di detta Camera, iscritto
nel registro delle notizie di reato per fatti di turbativa d’asta aggravata in
concorso.
I
difensori del parlamentare si erano opposti alla richiesta, osservando che il
citato art. 6 concerneva ” per espressa previsione del comma 1 ” le
intercettazioni di conversazioni di membri del Parlamento eseguite nel corso di
procedimenti “riguardanti terzi”: ipotesi, questa, che non ricorreva nella
specie, essendo il parlamentare indagato nel medesimo procedimento. I medesimi
difensori avevano quindi prospettato al giudice a quo la seguente
alternativa: o ritenere applicabile l’art. 4 della legge n. 140 del 2003 (che
richiede l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza al fine di
eseguire intercettazioni nei confronti di un membro del Parlamento), dichiarando
di conseguenza inutilizzabili le conversazioni telefoniche; ovvero sollevare
questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 4 e 6, nella parte in
cui ” non disciplinando espressamente il caso in esame ” sembrerebbero
consentire all’autorità inquirente di intercettare “indirettamente” (ossia
tramite utenze in uso a terzi) il parlamentare indagato, rimettendo
successivamente all’autorità giudiziaria la scelta se utilizzare le
conversazioni intercettate senza alcuna autorizzazione, ovvero se chiedere una
autorizzazione “postuma”, in applicazione analogica dell’art. 6, comma 2. Ad
avviso della difesa, anche questa seconda opzione interpretativa sarebbe stata
irragionevole e non rispettosa della garanzia prevista dell’art. 68, terzo
comma, Cost., il quale fa riferimento alle intercettazioni, “in qualsiasi forma,
di conversazioni o comunicazioni”: e, dunque ” secondo l’assunto difensivo ”
anche alle intercettazioni “indirette” del parlamentare, eseguite nell’ambito
del procedimento in cui risulta indagato.
Il
giudice a quo dichiarava manifestamente infondata l’eccezione di
legittimità costituzionale sollevata dalla difesa, ritenendo che la norma
applicabile nel caso di specie fosse proprio l’art. 6 della legge n. 140 del
2003, e non l’art. 4, che disciplina le intercettazioni su utenze in uso al
parlamentare. Di conseguenza, richiedeva l’autorizzazione all’utilizzazione
delle intercettazioni alla Camera dei deputati, la quale, con delibera assunta
nella seduta del 20 dicembre 2005, la negava.
Cio’
premesso, il rimettente osserva come ” a fronte del diniego della Camera ”
l’art. 6, comma 5, della legge n. 140 del 2003 imporrebbe l’immediata
distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni telefoniche delle
conversazioni cui ha preso parte il parlamentare. Prima di dar corso alla
distruzione, il giudice a quo ritiene, tuttavia, di dover sollevare
questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2, 5 e
6 del citato art. 6.
Al
riguardo, il rimettente muove dall’assunto che la disciplina complessiva,
risultante dalla norma impugnata, si sarebbe spinta “ben oltre il raggio di
operatività delle guarentigie parlamentari, previste dall’art. 68 Cost.”. Tali
guarentigie atterrebbero, infatti, unicamente alle intercettazioni “dirette”
delle conversazioni dei parlamentari: non potendosi far leva, in contrario,
sulla locuzione “in qualsiasi forma”, impiegata nel terzo comma dello stesso
art. 68 Cost., la quale si riferirebbe non già alle intercettazioni “indirette”
od “occasionali”, ma soltanto alle differenti modalità con le quali la
captazione delle conversazioni puo’ avvenire ed ai diversi mezzi di
comunicazione intercettati. Occorrerebbe, di conseguenza, stabilire se
l’estensione della guarentigia, ad opera del legislatore ordinario, anche alle
conversazioni e comunicazioni contemplate dall’art. 6 della legge n. 140 del
2003 esponga la disciplina adottata a censure di illegittimità costituzionale.
A tale
interrogativo il rimettente risponde in senso affermativo, assumendo che le
previsioni normative censurate risulterebbero lesive, anzitutto, del principio
di eguaglianza (art. 3 Cost.), sotto lo specifico profilo della parità di
trattamento rispetto alla giurisdizione. In rapporto a tale principio ” il quale
si colloca alle origini della formazione dello Stato di diritto ” il sistema
delle immunità e delle prerogative dei membri del Parlamento potrebbe, difatti,
venire in rilievo solo come eccezione e valere unicamente per i casi
espressamente considerati, in quanto ritenuti dal Costituente idonei ad
interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare.
L’esigenza di preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o
condizionamenti, tuttavia, non giustificherebbe affatto la distruzione della
documentazione delle intercettazioni “indirette” od “occasionali”, prevista dal
comma 5 dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003. Detta distruzione ” come pure
l’inutilizzabilità dei verbali, delle registrazioni e dei tabulati di
comunicazioni acquisiti in violazione del disposto dell’art. 6 della legge n.
140 del 2003, prevista dal comma 6 del medesimo articolo ” non avrebbe, infatti,
nulla “a che vedere” con la libera esplicazione delle funzioni parlamentari:
discutendosi, da un lato, di intercettazioni eseguite su utenze o presso luoghi
non in uso a membri del Parlamento; e, dall’altro lato, di conversazioni la cui
utilizzabilità processuale nei confronti del parlamentare risulta comunque
preclusa dalla mancata autorizzazione della Camera di appartenenza. La prevista
distruzione della documentazione si spiegherebbe, pertanto, unicamente con
l’intento di tutelare “oltre modo” la riservatezza delle comunicazioni del
parlamentare, con ingiustificata subordinazione a questa del principio di
eguaglianza.
La
disciplina censurata determinerebbe, in tale ottica, una irragionevole
disparità di trattamento fra gli indagati, a seconda che tra i loro
“interlocutori occasionali” vi sia stato o meno un membro del Parlamento (sia
esso, o no, indagato per lo stesso reato). Infatti ” in caso di diniego
dell’autorizzazione, da parte della Camera di appartenenza ” le conversazioni in
questione, benchè legittimamente acquisite dall’autorità giudiziaria,
dovrebbero essere immediatamente distrutte, anzichè rimanere inutilizzabili
soltanto nei confronti del parlamentare indagato; con la conseguenza che la
tutela delle prerogative parlamentari finirebbe per tornare a vantaggio anche
degli indagati non parlamentari.
In
secondo luogo, ad avviso del rimettente, risulterebbe leso l’art. 24 Cost.,
giacchè la distruzione immediata della documentazione ” con conseguente perdita
irrimediabile delle conversazioni intercettate ” potrebbe penalizzare o
compromettere il diritto di difesa degli indagati o di altre parti (prima fra
tutte, la persona offesa).
Da
ultimo, la disciplina denunciata si rivelerebbe incompatibile con l’art. 112
Cost., giacchè l’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale
resterebbe inevitabilmente compresso o escluso dalla impossibilità di
utilizzare le conversazioni in parola, allorchè queste costituiscano elemento
di prova rilevante nei confronti di indagati che non beneficiano delle
guarentigie di cui all’art. 68 Cost.
2. ” E’
intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile.
Ad avviso
della difesa erariale, l’avvenuta richiesta di autorizzazione all’utilizzazione
delle intercettazioni ed il diniego della stessa ad opera della Camera dei
deputati non consentirebbero di denunciare la pretesa violazione del principio
di obbligatorietà dell’azione penale tramite questione incidentale di
legittimità costituzionale: dovendo detta denuncia essere proposta sollevando
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. Solo con tale strumento,
infatti, sarebbe possibile sindacare il merito della determinazione
parlamentare: mentre un’ipotetica censura riguardante l’obbligo di richiedere
l’autorizzazione avrebbe dovuto essere formulata prima di ottemperare a tale
obbligo, diversamente da quanto è accaduto nel giudizio a quo.
Parimenti
inammissibili risulterebbero le residue censure, riferite agli artt. 3 e 24
Cost., in quanto ” una volta determinatasi l’inutilizzabilità delle
intercettazioni ” l’obbligo di distruzione resterebbe irrilevante nel giudizio
principale.
Considerato
in diritto
1. ” Il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino dubita, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140,
nella parte in cui stabilisce che ” nel caso di diniego dell’autorizzazione
all’utilizzazione delle intercettazioni “indirette” o “casuali” di
conversazioni, cui ha preso parte un membro del Parlamento ” la relativa
documentazione