Assegnazione della casa familiare e figli naturali – CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 20688 del 02/10/2007
Aanche sotto
il vigore della legge 6 marzo 1987, n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l’art. 6
della legge 1 dicembre 970, n. 898, la disposizione contenuta nel comma 6 della
norma appena richiamata consente il sacrificio della posizione del coniuge
titolare di diritti reali o personali sull’immobile adibito ad abitazione
familiare, mediante assegnazione di siffatta abitazione in sede di divorzio
all’altro coniuge, solo alla condizione dell’affidamento a quest’ultimo di figli
minori o della convivenza con esso di figli maggiorenni ma non ancora provvisti,
senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, laddove, in assenza di tali
condizioni, coerenti con la finalizzazione dell’istituto alla esclusiva tutela
della prole e del relativo interesse alla permanenza nell’ambiente domestico in
cui essa è cresciuta, l’assegnazione medesima non puo’ essere disposta in
funzione integrativa o sostitutiva dell’assegno divorzile, ovvero allo scopo di
sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente
più debole, a garanzia delle quali è destinato unicamente l’assegno anzidetto,
onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata agli
imprescindibili presupposti sopra indicati
CASSAZIONE
CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 20688 del 02/10/2007
Con sentenza
di divorzio pronunciata tra i coniugi I. C. e T. L., il Tribunale di Bergamo
disponeva l’affidamento del figlio M., di sedici anni, alla madre e
l’assegnazione alla stessa della casa familiare (di proprietà comune), nonchè
l’obbligo del padre di corrispondere per il ragazzo un assegno mensile di lire
500.000. A causa dei contrasti esistenti tra il figlio M. e il nuovo compagno
della madre, dalla cui unione era nato un altro figlio, il primo lasciava la
casa materna, trasferendosi a casa del padre. A seguito della mutata situazione,
l’I. chiedeva al Tribunale di Bergamo l’affidamento del figlio e
conseguentemente l’assegnazione della casa coniugale, nonchè la corresponsione
da parte della T. di un assegno mensile di euro 500,00 per il mantenimento del
figlio.
Il Tribunale
di Bergamo, con decreto depositato l’11 aprile 2005, disponeva l’affidamento del
figlio M. al padre, assegnandogli la casa familiare e disponendo a carico della
T. un assegno di mantenimento di euro 200,00 mensili.
Avverso tale
provvedimento proponevano reclamo sia l’I. che la T., chiedendo, il primo,
l’aumento dell’assegno e la seconda la riduzione dell’assegno stesso, nonchè la
modifica del provvedimento concernente l’assegnazione della casa familiare. La
Corte d’appello di Brescia, con decreto depositato il 22 luglio 2005, rigettava
entrambi i reclami. Quanto alla questione dell’assegnazione della casa
familiare, la Corte rilevava che l’art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970
consente, in deroga al regime ordinario dettato dalle norme in materia di
proprietà e nell’esclusivo interesse della prole minore o non autosufficiente,
comune ad entrambi i coniugi, l’assegnazione dell’ex casa coniugale al genitore
affidatario, dovendosi escludere che la norma possa trovare applicazione nel
caso in cui il minore sia figlio di uno solo dei coniugi divorziati. La T.,
pertanto, non poteva invocare detta norma per pretendere l’assegnazione della
casa coniugale adducendo la propria convivenza con il figlio minore nato da
persona diversa dall’ex coniuge, nè la giurisprudenza in tema di diritti dei
figli naturali, trattandosi di affermazioni di principio riferibili a figli
comunque nati dai medesimi genitori. Ed anzi, nel caso di specie, la norma
doveva trovare applicazione in favore dell’I., in quanto coniuge affidatario del
figlio comune M..
Quanto
all’entità dell’assegno, la Corte rilevava che la somma posta a carico della T.
dal Tribunale per il mantenimento del figlio M. era congrua e proporzionata alle
attuali capacità economiche della T.
Per la
cassazione di questo provvedimento, ricorre T. L., sulla base di due motivi;
resiste, con controricorso, I. C., il quale propone altresi’ ricorso incidentale
affidato ad un motivo.
Motivi della
decisione
Deve
preliminarmente essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale, in quanto proposti avverso il medesimo provvedimento (art. 335 cod.
proc. civ.).
Con il primo
motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 261, 147 e 148 cod. civ, 32
Cost., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. La censura si
riferisce alle statuizioni relative all’assegnazione della casa coniugale. La
ricorrente sostiene che la ratio dell’art. 6 della legge n. 898 del 1970
dovrebbe operare anche con riferimento al coniuge che abbia vissuto nella casa
coniugale con un figlio minore nato da persona diversa dall’ex coniuge; in
proposito, indica a sostegno del proprio assunto la sentenza della Corte
costituzionale n. 166 del 1998, in tema di parità di diritti tra figli naturali
e figli legittimi; nè potrebbe essere criterio utile quello di favorire il
figlio comune dei coniugi divorziati perchè egli potrebbe assommare alla
comproprietà della madre anche quella del padre, circostanza che favorirebbe il
figlio stesso a discapito dell’altro figlio minore di uno dei due coniugi.
Con il
secondo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 148 cod. civ., in
relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. La censura si riferisce alle
statuizioni del provvedimento impugnato in ordine alla misura dell’assegno, che
sarebbe squilibrata e non rapportata, tenuto conto dei rispettivi redditi degli
ex coniugi, alla misura dell’assegno posta a carico dell’I. allorquando il
figlio M. era stato affidato ad essa ricorrente. Ella, del resto, aveva dato la
propria disponibilità a concorrere nel limite massimo di 150,00 euro mensili,
ma sul presupposto del permanere dell’assegnazione della casa coniugale;
presupposto invece venuto meno con l’assegnazione della casa coniugale all’I..
Erronea sarebbe poi la valutazione operata dalla Corte d’appello circa la sua
scelta di optare per il part-time; tale scelta, nel provvedimento impugnato, non
è stata considerata come un elemento idoneo a giustificare la riduzione
dell’assegno, ma solo a respingere la domanda dell’I. di aumento dell’assegno
stesso.
Con l’unico
motivo di ricorso incidentale, I. C. deduce violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. e dell’art. 445 cod. civ. Nel proprio reclamo, evidenzia il ricorrente
incidentale, egli aveva lamentato che il giudice di primo grado, disponendo il
contributo a carico della T. per un importo mensile di 200,00 euro, aveva
fissato la decorrenza di tale assegno dalla data dell’emissione del decreto
anzichè dalla data di proposizione della domanda ed aveva conseguentemente
chiesto che la Corte stabilisse la corretta decorrenza di quell’assegno. E su
tale domanda ritualmente proposta con il reclamo manca qualsiasi statuizione nel
provvedimento impugnato.
Il primo
motivo del ricorso principale è manifestamente infondato.
Al riguardo,
è sufficiente osservare come la giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla
nota sentenza delle Sezioni Unite n. 11297 del 28 ottobre 1995, condivisa da
Cass. 17 gennaio 2003, n. 661; Cass. 18 settembre 2003, n. 13736; Cass. 6 luglio
2004, n. 12309; Cass. 1 dicembre 2004, n. 22500) possa ormai dirsi consolidata
nel senso che, anche sotto il vigore della legge 6 marzo 1987, n. 74, il cui
art. 11 ha sostituito l’art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, la
disposizione contenuta nel comma 6 della norma appena richiamata consente il
sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali o personali
sull’immobile adibito ad abitazione familiare, mediante assegnazione di siffatta
abitazione in sede di divorzio all’altro coniuge, solo alla condizione
dell’affidamento a quest’ultimo di figli minori o della convivenza con esso di
figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti
redditi propri, laddove, in assenza di tali condizioni, coerenti con la
finalizzazione dell’istituto alla esclusiva tutela della prole e del relativo
interesse alla permanenza nell’ambiente domestico in cui essa è cresciuta,
l’assegnazione medesima non puo’ essere disposta in funzione integrativa o
sostitutiva dell’assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze
di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente più debole, a garanzia
delle quali è destinato unicamente l’assegno anzidetto, onde la concessione del
beneficio in parola resta subordinata agli imprescindibili presupposti sopra
indicati (Cass., n. 8221 del 2006).
Più di
recente, questa Corte ha affermato che “il previgente art. 155 cod. civ. ed il
vigente art. 155-quater cod. civ. in tema di separazione e l’art. 6 della legge
sul divorzio subordinano il provvedimento di assegnazione della casa coniugale
alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente
conviventi con i coniugi; in assenza di tale presupposto, sia la casa in
comproprietà o appartenga a un solo coniuge, il giudice non potrà adottare,
con la sentenza di separazione, un provvedimento di assegnazione della casa
coniugale, non essendo la medesima neppure prevista dall’art. 156 cod. civ. in
sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento. In mancanza di
norme ad hoc, la casa familiare in comproprietà resta soggetta alle norme sulla
comunione, al cui regime dovrà farsi riferimento per l’uso e la divisione”.
(Cass., n. 6979 del 2007).
Se, dunque,
alla luce di tali principi deve escludersi che possa darsi luogo ad assegnazione
della casa coniugale al coniuge non affidatario dei figli minori o non
convivente con figli maggiorenni non autosufficienti economicamente, la
situazione non muta allorquando, come nella specie, con il coniuge divorziato
che richieda detta assegnazione conviva un figlio minore che non sia anche
figlio dell’altro coniuge, ma di una persona diversa. La disciplina
dell’assegnazione della casa coniugale postula invero, come correttamente
ritenuto dalla Corte territoriale, che i soggetti alla cui tutela è preordinata
l’assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la
disponibilità, in via esclusiva o in comproprietà, della casa coniugale.
In tale
prospettiva si rivela del tutto inconferente la sentenza n. 166 del 1998 della
Corte costituzionale, richiamata dalla ricorrente, potendosi anzi da detta
pronuncia desumere ulteriori argomenti nel senso che i figli alla cui tutela
deve essere preordinata l’assegnazione della casa coniugale sono proprio quelli
nati dai genitori della cui separazione si discute. Con tale pronuncia, infatti,
la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, con riferimento agli artt. 3 e 30 Cost. , la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 155, comma quarto, cod. civ., nella parte
in cui non prevede la possibilità di assegnare in godimento la casa familiare
al genitore naturale affidatario di un minore, o convivente con prole
maggiorenne non economicamente autosufficiente, anche se lo stesso genitore
affidatario non sia titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile.
A tale
conclusione la Corte è giunta sulla base delle seguenti argomentazioni: la
questione deve essere risolta ponendosi sul piano del rapporto di filiazione e
delle norme ad esso relative; l’art. 261 cod. civ. enuncia il fondamentale
principio in forza del quale il riconoscimento del figlio naturale comporta, da
parte del genitore, l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli
ha nei confronti dei figli legittimi; nello spirito della riforma del diritto di
famiglia del 1975, il matrimonio non costituisce più elemento di discrimine nei
rapporti tra genitori e figli (legittimi e naturali riconosciuti), identico
essendo il contenuto dei doveri, oltrechè dei diritti, degli uni nei confronti
degli altri, e la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al
vincolo coniugale, non puo’ determinare una condizione deteriore per i figli,
poichè quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di
filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e
di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova
fondamento nell’art. 30 Cost., il quale richiama i genitori all’obbligo di
responsabilità; il valore costituzionale di tutela della filiazione trova
concreta specificazione nelle disposizioni previste dagli artt. 147 e 148 cod.
civ., che, in quanto complessivamente richiamate dal successivo art. 261, devono
essere riguardate nel loro contenuto effettivo, indipendentemente dalla menzione
legislativa della qualità di coniuge, trattandosi dei medesimi doveri imposti
ai genitori che abbiano compiuto il riconoscimento dei figli naturali; l’obbligo
di mantenimento della prole, sancito dall’art. 147 cod. civ., comprende in via
primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente
alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo
psicologico e fisico del figlio, e segnatamente, tra queste, la predisposizione
e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti,
di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale
alla formazione armonica della personalità del figlio.
L’inte