Civile

Determinazione del valore della controversia ai fini della liquidazione delle spese processuali – CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n. 19014 del 11/09/2007


Le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale sorto in merito alla determinazione del valore della controversia quale paramentro per la liquidazione delle spese legali a carico della parte soccombente.
Per i Supremi giudici, ai fini della liquidazione del rimborso delle spese di lite posto a carico della parte soccombente, il valore della controversia va determinato in considerazione del criterio del quid disputatum (con riferimento, cioè, a quanto richiesto dalla parte attrice nell’atto introduttivo). In ogni caso occorre considerare che, nella ipotesi di accoglimento parziale della domanda, cio’ che rileva è il contenuto effettivo della decisione (criterio del decisum), salva l’ipotesi che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice convenuta in giudizio. In tale evenienza, il giudice, su istanza di parte dovrà nerere conto anche del disputatum, ove nel caso concreto riconosca la fondatezza dell’intera domanda.
 
CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n. 19014 del 11/09/2007
(Presidente V. Carbone, Relatore G. Amoroso)
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
1. T. C., già dipendente di un ente locale, proponeva ricorso al Pretore di Messina per ottenere dall’INADEL l’adeguamento dell’indennità premio di fine servizio corrispostale in misura incompleta dall’ente a seguito dell’errata applicazione del divieto, previsto dall’art. 2 d.l. n. 12 del 1977, convertito nella l. n. 91 del 1977, di riconoscere trattamenti retributivi più favorevoli, per effetto della scala mobile, di quelli previsti dagli accordi interconfederati del 1957 e del 1975.

L’INADEL resisteva alla domanda di cui chiedeva il rigetto.

Il Pretore, con sentenza n. 1624 del 1986, accoglieva parzialmente la domanda della ricorrente e condannava l’ente previdenziale al pagamento della somma di lire 9.217.040, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, nonchè spese di lite.

Tale decisione veniva appellata dall’INADEL che contestava che fossero dovuti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali a partire dall’entrata in vigore del sopravvenuto d.l. 31 agosto 1987, n. 359, conv. in l. 29 ottobre 1987, n. 440. Il giudizio proseguiva quindi, in grado d’appello, solo limitatamente alla rivalutazione e agli interessi monetari, ossia solo su una parte dell’originario petitum, avendo l’Istituto prestato acquiescenza quanto alla sorte del credito azionato dall’originaria ricorrente.

L’appello veniva accolto parzialmente dal Tribunale di Messina che, con sentenza n. 130 del 1989, dichiarava non dovuta la rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 359/1987, cit.

Proponeva ricorso per cassazione la C. che contestava l’applicazione retroattiva della norma sopra indicata sicchè il giudizio proseguiva ulteriormente solo quanto alla debenza, o meno, della rivalutazione monetaria.

Nelle more del giudizio di cassazione sopravveniva la sentenza n. 85 del 1994 della Corte costituzionale che dichiarava l’illegittimità costituzionale del cit. art. 23, quarto comma, d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito in l. 29 ottobre 1987, n. 440, nella parte in cui disponeva che le somme dovute a titolo di riliquidazione della indennità premio di servizio non davano luogo a rivalutazione monetaria.

Proprio richiamando tale sopravvenuta pronuncia, questa Corte accoglieva il ricorso della C. con sentenza n. 7765 del 1994, affermando che trovava piena applicazione per detto credito previdenziale (divenuto esigibile prima dell’entrata in vigore dell’art. 16, sesto comma, l. 30 dicembre 1991, n. 412) la disciplina dell’art. 442 c.p.c. (nel testo risultante dalla sentenza n. 156 del 1991 della Corte costituzionale); talchè il credito stesso deve essere quindi rivalutato dal momento della sua maturazione. Quindi cassava la sentenza d’appello con rinvio al Tribunale di Patti.

2. In sede di rinvio – si tratta del primo giudizio di rinvio avente ad oggetto solo la debenza della rivalutazione monetaria – il Tribunale di Patti con sentenza del 16-25 ottobre 1995 confermava integralmente la sentenza del pretore di Messina che, nel riconoscere la sorte del credito azionato dall’originaria ricorrente, aveva condannato l’Istituto resistente al pagamento anche della rivalutazione monetaria (in aggiunta alla sorte, agli interessi ed alle spese di lite); compensava le spese del giudizio di legittimità e condannava l’INPDAP, subentrato all’INADEL ex art. 4 d.lgs. n. 479 del 1994, al pagamento delle spese del giudizio di rinvio.

3. Questa pronuncia veniva impugnata con ricorso per cassazione dalla C. che lamentava la violazione dei minimi tariffari, la mancata motivazione del rigetto delle richieste relative ai diritti di procuratore e l’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di liquidazione delle spese del giudizio di appello davanti al Tribunale di Messina. Da questo momento il giudizio proseguiva ulteriormente solo per le spese di lite.

Con sentenza n. 616 del 22 gennaio 1999 questa Corte di cassazione, nuovamente investita in questo giudizio, accoglieva il ricorso sotto un duplice profilo: per difetto di motivazione nella parte in cui il tribunale di Patti aveva disatteso la dettagliata nota delle spese di giudizio e per omessa pronuncia nella parte in cui non aveva comunque tenuto conto delle spese del giudizio d’appello che parimenti avrebbero dovuto essere liquidate. Cassava quindi la sentenza del tribunale di Patti e rinviava la causa davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.

4. Nel secondo giudizio di rinvio – avente ad oggetto solo l’esatta determinazione delle spese di lite – l’INPDAP chiedeva la conferma della liquidazione operata dal Tribunale di Patti e la compensazione delle spese del nuovo giudizio di rinvio.

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con la sentenza n. 95 del 2002, ha ritenuto: a) che il valore della causa, al fine della liquidazione dei diritti di procuratore, fosse da determinarsi in base non già al disputatum, bensi’ al decisum e su tale base ha liquidato le spese di lite relative al primo giudizio di rinvio svoltosi davanti al Tribunale di Patti ed avente ad oggetto la sola rivalutazione monetaria sul credito azionato con l’originaria domanda nell’entità maturata dalla decorrenza prevista dalla sentenza del medesimo tribunale, rivalutazione che l’Istituto contestava essere dovuta; b) ha invece ritenuto corrispondente a giustizia l’integrale compensazione delle spese processuali del giudizio d’appello svoltosi davanti al Tribunale di Messina in considerazione del fatto che la causa era stata decisa sulla base dell’intervento della Corte Costituzionale successivo alla pronuncia di primo grado; c) ha poi escluso la spettanza dei diritti di procuratore per il successivo giudizio di cassazione e ha commisurato gli onorari a carico dell’Istituto in relazione al valore della controversia rapportato al decisum; d) con lo stesso criterio (quello del decisum) ha liquidato, sempre a carico dell’Istituto, le spese del giudizio davanti a sè, avente ad oggetto solo le spese di lite.

5. Ricorre per cassazione la C. con un unico motivo di impugnazione.

L’INPDAP non ha svolto difesa alcuna.

Fissata la trattazione della causa, all’udienza del 31 gennaio 2006 la Sezione Lavoro di questa Corte ha emesso ordinanza di trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite su un rilevato contrasto di giurisprudenza in ordine ai criteri di determinazione del valore della controversia al fine dell’esatta applicazione delle tariffe forensi.

La causa è quindi stata nuovamente fissata innanzi a questa Corte a Sezioni Unite.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 10 e 14 c.p.c. e dei criteri per la determinazione del valore della controversia ai fini della liquidazione delle spese processuali, dolendosi altresi’ della violazione degli artt. 91 c.p.c. e 24 l. 13 giugno 1942, n. 794, nonchè del decreto del Ministro della giustizia del 5 ottobre 1994, n. 585, recante l’approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense del 12 giugno 1993, che stabiliva i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti ad avvocati e procuratori legali per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali.

In sostanza la C. lamenta che la determinazione del valore della causa sia stata di volta in volta effettuata in ragione della sola parte della domanda contestata in quel grado del giudizio o della somma concretamente attribuita alla parte vittoriosa in quel grado; ed afferma che tale criterio è in contrasto in particolare con quanto prescritto dall’art. 14 c.p.c. secondo cui il valore delle cause relative a somme di denaro si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore al momento iniziale della lite senza che esso possa subire riduzioni per la successiva delimitazione della materia del contendere.

La censura riguarda esclusivamente le spese relative al primo giudizio di rinvio, avente ad oggetto la debenza della rivalutazione monetaria sul credito originariamente azionato, nonchè al successivo giudizio di cassazione ed al secondo giudizio di rinvio, aventi entrambi ad oggetto la sola determinazione delle spese di lite.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Nella citata ordinanza pronunciata all’udienza del 31 gennaio 2006 la Sezione Lavoro di questa Corte ha rilevato che la questione centrale posta dal ricorso riguarda la liquidazione delle spese in una causa iniziata dalla ricorrente, già dipendente di un ente locale, nei confronti dell’INADEL, cui poi è subentrato l’INPDAP ex art. 4 d.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, per il pagamento della maggior somma richiesta a titolo di indennità premio di fine servizio e proseguita – dopo che sulla sorte e sugli interessi si era formato il giudicato favorevole alla ricorrente stessa – in ordine alla debenza della rivalutazione monetaria e successivamente alle sole spese di lite. Tale questione puo’ quindi essere ricondotta al tema della liquidazione delle spese di giudizio a carico della parte soccombente secondo il criterio del decisum ovvero quello del disputatum.

In particolare l’ordinanza suddetta fa riferimento al contrasto di giurisprudenza insorto quanto ai criteri di liquidazione delle spese di lite nel giudizio proseguito solo per la loro quantificazione nei gradi precedenti, essendosi talora considerato l’autonomo valore della lite residuata (Cass. n. 19839 del 2004), talaltra il valore iniziale (Cass. n. 15874 del 2004) oppure, talaltra ancora, il primo scaglione in ogni caso (Cass. nn. 9359 del 2005, 20273 del 2004).

L’ordinanza quindi pone essenzialmente due questioni riguardanti rispettivamente la determinazione del valore di una controversia in base al disputatum o al decisum ed i criteri di liquidazione delle spese processuali di un giudizio proseguito per la sola liquidazione delle spese relative alle precedenti fasi.

2.2. Ancorchè nella specie la vicenda processuale sia complessa perchè, oltre al giudizio di primo grado, ci sono già stati un giudizio d’appello, due giudizi di cassazione e due giudizi di rinvio, il motivo di ricorso è pero’ unico e riguarda l’esatta determinazione del rimborso delle spese di lite a carico dell’Istituto soccombente relativamente (non già all’intero processo, bensi’) a tre distinte fasi del giudizio: la ricorrente si duole solo del fatto che il secondo giudice di rinvio (tribunale di Barcellona P.G.) abbia erroneamente quantificato: a) le spese di lite relative al primo giudizio di rinvio innanzi al tribunale di Palmi che aveva per il resto confermato integralmente la sentenza del giudice di primo grado – pretore di Messina – di accoglimento parziale della domanda; b) le spese del successivo giudizio di legittimità che ha riguardato unicamente la questione delle spese di lite; c) le spese del giudizio innanzi al medesimo Tribunale, quale secondo giudice di rinvio, innanzi al quale la causa è parimenti proseguita solo per le spese di lite.

L’impugnata sentenza ha poi compensato le spese del giudizio d’appello, ma di cio’ la ricorrente non si duole; nè si duole del fatto che la medesima sentenza, che nel resto ha tenuto ferma la precedente sentenza del tribunale di Patti, non abbia reso un’espressa pronuncia quanto alle spese di lite del primo giudizio di cassazione che erano state parimenti compensate tra le parti dal tribunale di Patti.

Secondo la prospettazione difensiva della ricorrente il secondo giudice di rinvio, la cui sentenza è attualmente impugnata per cassazione, avrebbe errato – nella sua triplice liquidazione delle spese (primo giudizio di rinvio, successivo giudizio di cassazione, secondo giudizio di rinvio) – nel considerare il criterio del decisum in luogo di quello – asseritamente corretto – del disputatum.

La difesa della ricorrente ed in vero anche l’impugnata sentenza non considerano invece che – come emerge dalla menzionata ordinanza della Sezione Lavoro – in giurisprudenza si è affermato anche il criterio di determinazione delle spese di lite con riferimento al primo scaglione delle tabelle professionali allorchè la controversia prosegua, come nella specie, solo per l’esatta determinazione delle spese stesse.

3. Giova preliminarmente premettere – al fine di ricostruire il quadro normativo di riferimento e di verificare l’ammissibilità della censura sotto il profilo della violazione di legge – che l’articolo unico della l. 7 novembre 1957, n. 1051 (Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile) ha previsto che i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e ai procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile sono stabiliti dal Consiglio nazionale forense con le modalità contemplate dall’art. 1 della l. 3 agosto 1949, n. 536, e relative agli onorari e alle indennità in materia penale e stragiudiziale. Disposizione questa che prescrive che i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati e ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense, approvata dal Ministro di grazia e giustizia.

E’ stata cosi’ parificata la regolamentazione delle tariffe forensi nella materia civile e di quelle nella materia penale adottando per entrambe il criterio della ricezione della disciplina interna prodotta dal Consiglio nazionale forense.

In precedenza un analogo sistema previsto in generale per le tariffe forensi, consistente nell’approvazione del Ministro di grazia e giustizia delle determinazioni dell’associazione categoriale (art. 57 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante l’Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore), era stata derogata, quanto alle tariffe civili, dalla l. 13 giugno 1942, n. 794 (sugli onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile), invocata dalla difesa della ricorrente, che in apposite tabelle fissava – ex lege e quindi direttamente con atto di normazione primaria – gli onorari dovuti e ne regolamentava la disciplina ponendo tra l’altro, all’art. 9, i criteri per la “determinazione del valore delle cause”, che è il profilo che interessa in questo giudizio, nonchè, all’art. 24, l’inderogabilità di onorari e diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e degli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati.

Il cit. art. 57 r.d.l. n. 1578/1933 è stato dapprima espressamente sostituito dall’art. 3 d.lgs.lgt. 22 febbraio 1946, n. 170, con il richiamo recettizio – quanto agli onorari e alle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale – della delibera del Consiglio dell’ordine degli avvocati e dei procuratori, approvata dal Ministro di grazia e giustizia, e poi modificato implicitamente dal cit. art. 1 della l. 3 agosto 1949, n. 536, nei termini sopra indicati.

Invece

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