Rito societario. Illegittima la mancata previsione del diritto di replica dell’attore – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 321 del 01/08/2007
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Con la sentenza n.
321/2007 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
(con riferimento all’art. 24 Cost.) dell’art. 8, comma 2, lettera a), del
decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in
materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre
2001, n. 366), nella parte in cui non prevede anche l’ipotesi che il convenuto
abbia svolto difese dalle quali sorga l’esigenza dell’esercizio del diritto di
replica dell’attore.
L’ 8, comma 2,
lettera c) dà facoltà al convenuto di presentare istanza di fissazione
dell’udienza entro venti giorni dalla propria costituzione qualora non abbia
proposto domande riconvenzionali, nè sollevato eccezioni non rilevabili di
ufficio, nè chiesto di chiamare in causa un terzo. In tale evenienza l’art. 10,
comma 2, del Dlgs. n. 5/2003 commina la decadenza dell’attore dal diritto di
modificare la domanda o di proporne di nuove, di dedurre prove ed esibire
documenti, con evidente grave lesione del diritto di difesa dell’attore qualora
il convenuto abbia determinato un ampliamento dell’oggetto della controversia ”
deducendo, ad esempio, fatti non allegati dall’attore, e abbia formulato istanze
istruttorie. La conseguenza del combinato disposto delle due disposizioni citate
è l’applicazione del comma 2-bis dell’art. art. 10, (art. 4 del Dlgs 310/2004),
sicchè l’istanza di fissazione dell’udienza rende pacifici i fatti allegati
dalle parti e in precedenza non specificamente contestati.
La Corte ha
rilevato che 8, comma 2, lettera a) disciplina il diritto di replica ed assicura
lo svolgimento del contraddittorio in casi specifici di allargamento del thema
decidendum. E’ proprio la specificità delle ipotesi a rendere illegittima la
norma, sicchè a queste va aggiunta, per identità di ratio e in conformità al
sistema del Dlgs. n. 5 del 2003, la generale prescrizione che il diritto di
replica sia conseguenza delle difese del convenuto.
(M.M. © Litis.it,
25 Settembre 2007)
CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 321 del 01/08/2007
Presidente F. Bile, Relatore F. Amirante)
Ritenuto in fatto
1.1.”” Nel corso di un giudizio civile promosso da alcuni privati nei confronti
della Cassa di risparmio di Bra s.p.a., per la dichiarazione di nullità di due
contratti inerenti la negoziazione, la sottoscrizione e il collocamento di
alcuni strumenti finanziari, il Giudice relatore del Tribunale di Alba ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione,
questione di legittimità dell’art. 8, comma 2, lettera c), del decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di
diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia bancaria
e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n.
366).
Rileva il giudice a quo che la Cassa di risparmio convenuta, nel costituirsi in
giudizio, ha depositato una comparsa di risposta nella quale, pur non svolgendo
domande riconvenzionali e non sollevando eccezioni non rilevabili d’ufficio, ha
introdotto nuove circostanze di fatto, producendo documenti ed articolando
richieste istruttorie, anche di prove orali. La stessa convenuta, che non aveva
fissato agli attori il termine per la memoria di replica nella suddetta
comparsa, con atto notificato ai medesimi ha chiesto la fissazione dell’udienza,
ai sensi dell’art. 8 del decreto impugnato. Il Presidente del Tribunale ha
nominato il giudice relatore, davanti al quale gli attori hanno lamentato
l’illegittima preclusione del proprio diritto di replica, mentre la parte
convenuta ha eccepito la tardività e l’inammissibilità di tutte le istanze
istruttorie degli avversari.
Cio’ posto, il remittente precisa, sotto il profilo della rilevanza, di essere
chiamato a decidere in ordine all’ammissibilità dei mezzi di prova e di dovere,
quindi, fare applicazione degli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 5 del 2003,
aggiungendo anche di essere legittimato a sollevare la presente questione
ancorchè la causa sia di competenza del tribunale in composizione collegiale.
Poichè, infatti, è compito del giudice relatore decidere in ordine all’ammissibilità
delle prove, non assume rilievo il fatto che il collegio sia successivamente
chiamato, ai sensi dell’art. 16 del decreto in esame, a confermare o revocare il
decreto del giudice delegato, perchè questi deve applicare “in prima battuta”
le norme processuali sulle preclusioni istruttorie.
Il giudice a quo, poste queste premesse, osserva, quindi, che la disposizione
censurata consente al convenuto che non abbia proposto domande riconvenzionali e
non abbia sollevato eccezioni non rilevabili d’ufficio di presentare istanza di
fissazione di udienza, a seguito della quale si determinano, in base all’art.
10, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, la decadenza dal potere di proporre nuove
eccezioni, di modificare la domanda e di formulare richieste istruttorie. In tal
modo, a suo avviso, si maturano gravi preclusioni a carico dell’attore “per
scelta unilaterale del convenuto”, riguardanti in particolare le facoltà
riconosciute dall’art. 6 dell’impugnato decreto.
Il remittente sostiene, per quel che riguarda il merito della questione, che la
disposizione censurata si pone, in primo luogo, in contrasto con l’art. 3 Cost.
in quanto, del tutto irragionevolmente e contraddittoriamente, consente al
convenuto ” attraverso l’utilizzabilità, senza alcuna limitazione, dello
strumento processuale della presentazione dell’istanza di fissazione di udienza
” di ostacolare l’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte
dell’attore, con conseguente disparità di trattamento fra le parti e
concessione di un favor non giustificato a vantaggio di uno dei contendenti. La
disposizione stessa violerebbe, in modo evidente, anche il diritto di difesa di
cui all’art. 24, secondo comma, Cost., perchè attribuisce ad una delle parti
“la possibilità [ ] di incidere sulle facoltà di allegazione ordinariamente
riconosciute alla controparte”, permettendole cosi’ di stabilire unilateralmente
il thema decidendum e il thema probandum, “con arbitraria neutralizzazione del
diritto di replica della controparte”. Il suddetto meccanismo, antitetico
rispetto alla disciplina del nuovo rito civile introdotta dalla legge 26
novembre 1990, n. 353 ” la quale, pur essendo ispirata al principio di
preclusione o di eventualità, ne condiziona l’operatività alla concessione di
termini perentori per le repliche, al fine di garantire la parità delle armi
tra le parti riconosciuta dallo stesso art. 24 Cost. (si vedano soprattutto gli
artt. 183 e 184 cod. proc. civ.) ” si porrebbe, altresi’, in contrasto con
l’art. 111, secondo comma, Cost., perchè, compromettendo gravemente detta
parità, attribuisce al convenuto la facoltà di anticipare il momento di
maturazione delle singole preclusioni a carico dell’attore, cosi’ negando a
quest’ultimo il diritto di replica rispetto alle conclusioni della comparsa di
costituzione e risposta e impedendo la piena attuazione del contraddittorio.
Infine, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con l’art. 76 Cost. in
quanto, oltrepassando i limiti della delega di cui all’art. 12, comma 2, della
legge 3 ottobre 2001, n. 366, “si discosta nettamente, nella definizione delle
scadenze processuali, dalla disciplina del processo ordinario di cognizione”.
Tuttavia, precisa il giudice piemontese, la disposizione da censurare è l’art.
8, comma 2, lettera c), del decreto n. 5 e non l’art. 10 del medesimo decreto, a
suo tempo impugnato dal Tribunale di Lamezia Terme (cosi’ intendendosi riferire
alla questione esaminata da questa Corte nella sentenza n. 415 del 2006).
Poichè pertanto, a suo dire, la norma non è suscettibile di un’interpretazione
adeguatrice, non resta che chiedere la declaratoria di illegittimità
costituzionale della medesima.
1.2.”” Si sono costituiti in giudizio, con un unico atto, le parti private
attrici nel giudizio a quo, chiedendo, anche in una memoria depositata in
prossimità dell’udienza, l’accoglimento della prospettata questione.
Dopo aver sinteticamente ricapitolato le vicende del giudizio in corso, le parti
ricordano che l’esatta portata della norma in esame è stata oggetto di numerose
controversie interpretative: se interpretata alla lettera, infatti, essa
“porterebbe inevitabilmente ad un’indebita compressione del diritto di difesa
dell’attore, concretando una palese violazione degli artt. 24 e 111 Cost.”. In
casi come quello in esame, invero, pur non essendo state proposte domande
riconvenzionali o eccezioni non rilevabili d’ufficio, tuttavia il convenuto ha
introdotto fatti nuovi, producendo numerosi documenti ed articolando capitoli di
prova, sicchè l’accoglimento dell’istanza di fissazione di udienza determina la
preclusione, per l’attore, di ogni attività difensiva di replica.
Cio’ posto, le parti private richiamano alcune delle numerose pronunce con le
quali vari giudici di merito hanno dichiarato inammissibile l’istanza di
fissazione di udienza nell’ipotesi in cui il convenuto aveva ampliato il thema
decidendum ed il thema probandum o, comunque, aveva svolto difese “diverse dalla
semplice negazione dei fatti affermati dall’attore”, a differenza di quanto è
invece accaduto nel caso di specie. L’interpretazione letterale della norma
accolta dal Tribunale di Alba farebbe si’ che il convenuto possa avvalersi “di
una facoltà assolutamente illegittima che gli permette di comprimere il diritto
di difesa dell’attore”, non consentendogli di replicare ad attività difensive
che pure ampliano i termini del dibattito processuale. Nel caso specifico,
infatti, la parte convenuta ha notificato un’ampia comparsa di risposta, ha
formulato molteplici istanze istruttorie, riservandosi di produrre e specificare
ulteriormente nel prosieguo del giudizio, ed ha effettuato una dettagliata
articolazione di capitoli di prova, allargando il tema del giudizio e, di fatto,
impedendo all’attore di esprimersi su tali deduzioni.
Secondo le parti, la novella normativa che ha introdotto il cosiddetto rito
societario è animata da altre finalità, prima fra tutte quella della
disponibilità della rinuncia alle proprie facoltà di replica: in altre parole,
la parte che ha il potere di replicare puo’ rinunziarvi, chiedendo
immediatamente la fissazione dell’udienza, ma se intende avvalersi di tale
potere, allora deve anche concedere quello di controreplica all’avversario. La
facoltà di replica costituirebbe, in pratica, “un’esplicazione dei principi
costituzionali”, mentre la disposizione in esame, consentendo di proporre
un’immediata istanza di fissazione di udienza, finirebbe col creare una
disparità tra attore e convenuto. Simile disparità, inoltre, verrebbe ad
essere oggettivamente aggravata dalla disposizione dell’art. 10, comma 2-bis,
del d.lgs. n. 5 del 2003, in base al quale i fatti allegati dalle parti e non
specificamente contestati vengono dati per pacifici; in tal modo l’attore
verrebbe a trovarsi, in caso di comparsa di risposta “corposa ed estesa, con
affermazione di fatti nuovi”, nella sostanziale impossibilità di contestarli,
sicchè tali elementi verrebbero acquisiti e ritenuti pacifici nel processo.
L’istanza di fissazione di udienza, in conclusione, sarebbe compatibile solo con
una comparsa di risposta snella, che non amplii il thema decidendum ed il thema
probandum, ossia che non dia adito alla necessità di replicare.
1.3.”” Si è altresi’ costituita in giudizio la Cassa di risparmio di Bra s.p.a.,
chiedendo, anche in una memoria aggiunta, che la prospettata questione venga
dichiarata inammissibile o infondata.
In primo luogo, la Cassa sostiene che il giudice relatore non è legittimato,
nell’ambito del processo societario, a sollevare questioni incidentali di
legittimità costituzionale, in quanto la sua posizione è affatto diversa da
quella del giudice istruttore nel processo civile ordinario. Nel processo
societario, infatti, ad una fase di litis contestatio che si svolge tra le parti
segue una fase giudiziale vera e propria, affidata alla competenza del collegio
(art. 16 del d.lgs. n. 5 del 2003). E’ vero che al giudice delegato spettano una
serie di poteri relativi all’ammissione dei mezzi di prova, ma è anche vero che
i provvedimenti da lui emessi sono privi dei connotati della definitività,
poichè il collegio puo’ confermarli o revocarli. Ne dovrebbe conseguire,
pertanto, che il potere di sollevare questioni di legittimità costituzionale
dovrebbe spettare al solo collegio.
Quanto alla rilevanza della questione, la parte osserva che nel caso in esame il
determinarsi delle preclusioni conseguenti alla domanda di fissazione di udienza
non è stato il frutto di una “scelta unilaterale del convenuto”, quanto
piuttosto la conseguenza di un comportamento della parte attrice la quale, non
formulando richieste istruttorie nell’atto di citazione, ha accettato il rischio
di consentire alla controparte l’immediata definizione della materia del
giudizio.
Secondo l’istituto bancario la questione appare non fondata nel merito, poichè
il rito societario si basa su esigenze di speditezza e di attenuazione del
rigore formale, con la conseguenza che le parti sono tenute alla massima
completezza possibile degli atti introduttivi, insorgendo il diritto di replica
soltanto nell’ipotesi di allargamento del thema decidendum da parte del
convenuto. In altre parole, il sistema è costruito nel senso che “un ritardo
nell’inserzione delle proprie allegazioni potrebbe costare caro”, in quanto
l’avversario ha la possibilità di cristallizzare il contraddittorio, evitando
che vengano azionate manovre dilatorie.
Infondate risulterebbero, quindi, tutte le censure di cui all’ordinanza di
rimessione, sia in riferimento all’art. 3 Cost. che all’art. 24 Cost.; quanto
alla censura di eccesso di delega, infine, dovrebbero valere le argomentazioni
della giurisprudenza di questa Corte circa la necessità di tenere conto del
c