Può essere licenziato il dipendente che denigra la propria azienda – CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 19232 del 17/09/2007
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Rischia di andare incontro
al licenziamento il lavoratore che parla male dell’azienda per cui lavora,
diffondendo notizie in grado di ledere l’immagine della struttura. Lo sottolinea
la Cassazione, annullando con rinvio una sentenza della Corte d’appello di
Milano che, nel 2004, aveva confermato l’illegittimità del licenziamento,
pronunciata dal primo giudice, intimato ad un’infermiera professionale e capo
sala, dipendente di una struttura ospedaliera. In particolare, i giudici del
merito avevano ritenuto che i fatti in contestazione ("espressioni offensive
sulla capacità e sulla professionalità del personale" e divulgazione di
addebiti contenuti in una lettera di contestazione relativi al ritrovamento di
prodotti scaduti presso il blocco operatorio) non integrassero una giusta causa,
nè un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Contro tale decisione
aveva presentato ricorso in Cassazione la struttura ospedaliera, secondo la
quale l’infermiera, diffondendo notizie riservate, aveva leso "l’estimazione di
serietà di una struttura particolarmente nota e di alto prestigio". Per gli
‘ermellini’ della sezione lavoro (sentenza n.19232), il ricorso è fondato: nel
caso in esame, rilevano, "una valutazione globale del comportamento è
assolutamente assente" e i singoli fatti addebitati "non sono stati in alcun
modo valutati nell’ambito della particolare delicatezza della funzione assegnata
(infermiera professionale in un ospedale), dello specifico settore in cui il
lavoro si svolgeva (blocco operatorio), della elevata responsabilità che ne
conseguiva e della fiducia che esigeva". Inoltre, la Corte d’appello non ha dato
"ragione alcuna della ritenuta assenza di danno – aggiungono ancora i giudici di
piazza Cavour – che la divulgazione (anche nei confronti dello stesso personale
dell’azienda, nonchè per la diffusiva potenzialità verso l’esterno) della
notizia assumeva per l’immagine di una struttura ospedaliera". Per questo,
conclude la sentenza, il caso dovrà essere rivisto dalla Corte d’appello di
Brescia