Corte Costituzionale

Dalla Consulta via libera alla conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 77 del 12/03/2007

La Corte costituzionale ” intervenendo sulla
questione della translatio iudicii con conservazione degli effetti della
domanda, su cui si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite civili con la
sentenza 22 febbraio 2007, n. 4109 ” E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 30
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi
regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e
processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si
conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito
davanti al giudice munito di giurisdizione.

 

(Litis.it,
27 marzo 2007)

 


CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 77 del 12/03/2007


 


(Presidente F. Bile – Relatore R. Vaccarella)


 

RITENUTO IN FATTO

1.” Con ordinanza depositata il 21 novembre 2005 il Tribunale amministrativo
regionale per la Liguria ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 111 e 113
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 della
legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi
regionali), nella parte in cui non consente al giudice amministrativo, che
declini la giurisdizione, di disporre la continuazione del processo con salvezza
degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

1.1.” Il dubbio è stato prospettato nel corso di un giudizio intentato da una
società al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità e la
conseguente condanna del Comune di Genova e dell’Azienda Multiservizi e d’Igiene
Urbana s.p.a. (AMIU), al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei
danni causati dalla collocazione di una serie di “cassonetti a cascata”,
destinati alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nelle
immediate vicinanze dei locali, da essa occupati, adibiti ad attività di
ristorazione.

La società attrice lamentava che, ottenuto dal comune un permesso di
occupazione permanente del suolo pubblico antistante l’esercizio commerciale, se
l’era visto, in parte, rioccupare dall’ente che, “senza comunicare l’avvio del
procedimento”, aveva iniziato lavori edili interessanti lo spazio oggetto di
concessione ed aveva collocato, a pochi metri di distanza dall’entrata del
locale, una sorta di impianto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani.

La società, dopo avere infruttuosamente inoltrato segnalazioni e diffide
all’amministrazione, aveva agito sia in via possessoria sia ex art. 700 del
codice di procedura civile innanzi al tribunale civile al fine di ottenere il
ristoro dei danni, la reintegrazione nel godimento dei beni e l’adozione di
misure atte a scongiurare la lesione del diritto alla salute.

Il giudice ordinario adito aveva, pero’, dichiarato il proprio difetto di
giurisdizione a decidere la controversia, per essere la stessa devoluta, in
quanto involgente la materia urbanistica ed edilizia, alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’art. 7, legge 21 luglio
2000 n. 205.

Proposto ricorso innanzi al TAR, questo rilevava che l’intervento della sentenza
della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ” dichiarativa della parziale
illegittimità degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo
n. 80 del 1998 “, aveva fatto venir meno la giurisdizione del giudice
amministrativo, come eccepito dai convenuti.

1.2.” Il giudice a quo osserva, in ordine alla rilevanza della questione, che
l’art. 30 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, impone al giudice amministrativo la
mera declaratoria di difetto di giurisdizione, da adottare anche d’ufficio,
precludendogli l’adozione di ogni altra pronuncia volta ad assicurare la
possibilità di riassumere il processo davanti al giudice fornito di
giurisdizione, con conseguente salvezza degli “effetti sostanziali e
processuali” della domanda, laddove la translatio iudicii consentirebbe di non
vanificare l’attività processuale svolta e impedirebbe alla parte di subire gli
effetti della decadenza “nel frattempo maturata”, segnatamente di quella dalle
azioni possessorie, da promuoversi nel termine annuale.

1.3.” In ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio, l’inutile “palleggio
di giudizi” tra giudici appartenenti a giurisdizioni diverse, ma non separate,
con gli inevitabili effetti distorsivi costituiti dal dispendio di energie
processuali e di risorse economiche e dalla incolpevole perdita del diritto alle
azioni possessorie, sarebbe, a giudizio del rimettente, in contrasto col
principio costituzionale della ragionevole durata del processo e del diritto
all’attuazione della legge, e cioè con gli artt. 24, 111 e 113 Cost.

Precisa anche il rimettente che, per scongiurare siffatte evenienze, non solo
non sarebbe percorribile la via dell’interpretazione estensiva dell’art. 5 cod.
proc. civ., perchè il diritto vivente nega la praticabilità della perpetuatio
iurisdictionis allorchè la norma attributiva della giurisdizione venga
dichiarata costituzionalmente illegittima, ma neppure sarebbe evocabile
l’istituto dell’errore scusabile, comunque inidoneo a surrogare il meccanismo
processuale della translatio iudicii, essendo il relativo riconoscimento pur
sempre rimesso ad una valutazione del giudice.

2.” Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto alla
Corte di dichiarare inammissibile o manifestamente infondata la proposta
questione, per carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo.

Secondo la difesa erariale, infatti, la circostanza che nulla il rimettente
espliciti in ordine al concreto svolgimento del processo e, in particolare, in
ordine alle eventuali acquisizioni probatorie (assunte nel primo giudizio civile
o in quello successivo, davanti al giudice amministrativo) da assicurare
nell’instaurando processo innanzi al giudice ordinario, nonchè in ordine alla
data in cui si sarebbe verificata la lamentata lesione del possesso, all’epoca
della proposizione della prima domanda e del successivo ricorso innanzi al TAR,
si tradurrebbe in una inemendabile mancanza di elementi la cui conoscenza
sarebbe invece assolutamente indispensabile ai fini della valutazione della
rilevanza della prospettata questione rispetto al giudizio in corso.

Considerato in diritto

1.” Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria dubita, in riferimento
agli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, della legittimità costituzionale
dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali
amministrativi regionali), nella parte in cui non consente al giudice
amministrativo che declini la giurisdizione di disporre la continuazione del
processo con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

2.” La questione è fondata nei sensi di seguito precisati.

3.” Il Tribunale rimettente pone, in termini di legittimità costituzionale, il
problema ” in ordine al quale la dottrina ha da tempo e ripetutamente preso
posizione ” dell’estensione al difetto di giurisdizione del principio della
conservazione degli effetti della domanda che, con il codice di procedura civile
del 1942, è stato introdotto limitatamente al caso del difetto di competenza;
estensione che, nei più organici progetti di riforma del processo civile, era
prevista in puntuali disposizioni dei relativi disegni di legge delega.

3.1.” Sollevando la questione in esame, il giudice rimettente si fa interprete
del diffuso disagio, per i gravi (e, non di rado, irreparabili) inconvenienti
provocati da una disciplina che, in sostanza, parte dal presupposto che l’atto
introduttivo del giudizio rivolto ad un giudice privo di giurisdizione sia
affetto da un vizio che lo rende radicalmente inidoneo a produrre gli effetti,
sia sostanziali che processuali, che la legge collega ad un atto introduttivo
che violi le regole sul riparto di competenza.

Tale disagio è accresciuto, in primo luogo, dalla circostanza che una cosi’
rigorosa disciplina concerne un vizio dell’atto introduttivo che scaturisce da
una estremamente articolata e complessa regolamentazione del riparto di
giurisdizione: sicchè non solo è tutt’altro che agevole il compito della parte
attrice, ma altrettanto disagevole è quello del giudice il cui eventuale
errore, tuttavia, ricade interamente sulla parte (si pensi al caso del giudice
che erroneamente declini la propria giurisdizione con nuova proposizione della
domanda al giudice indicato come munito di giurisdizione, il quale, a sua volta,
la declini: la domanda riproposta al primo giudice non potrebbe “ancorarsi” alla
prima e far risalire ad essa gli effetti sostanziali e processuali).

Questa Corte è consapevole che il fenomeno appena illustrato ha assunto
proporzioni ancor più vistose a seguito di una propria recente pronuncia
dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di talune norme che, secondo il
criterio dei “blocchi di materie”, ripartivano la giurisdizione tra autorità
giudiziaria ordinaria e giudice amministrativo: l’inapplicabilità, secondo la
giurisprudenza assolutamente dominante, all’ipotesi di sopravvenuta
dichiarazione di illegittimità costituzionale del principio della perpetuatio
iurisdictionis codificato nell’art. 5 cod. proc. civ. ha certamente acuito la
diffusa sensazione della sostanziale ingiustizia della disciplina vigente in
quanto, nonostante la domanda fosse stata rivolta al giudice munito di
giurisdizione secondo la legge vigente al momento della sua proposizione, la
sopravvenuta carenza di giurisdizione ne impediva o pregiudicava la tutela
giurisdizionale.

Peraltro, l’orientamento del Consiglio di Stato, di gran lunga prevalente,
fondato sul potere di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione anche
quando, essendosi su di essa esplicitamente pronunciato il TAR, contro tale capo
della pronuncia non sia stata proposta impugnazione, fa si’ (ed ha fatto si’ in
numerosi casi interessati dalla citata sentenza di questa Corte) che il giudizio
debba essere proposto ex novo davanti al giudice ordinario perfino dopo che
sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo si sia formato
il giudicato.

3.2.” La dottrina, a sua volta, è pressochè unanime nel sollecitare una
riforma legislativa che preveda meccanismi idonei ” come accade per l’ipotesi di
difetto di competenza ” ad assicurare, con la trasmigrazione del giudizio
davanti al giudice munito di giurisdizione, la conservazione degli effetti che
la legge collega alla proposizione della domanda giudiziale.

Una parte della dottrina, poi, ha sostenuto che alle pronunzie emesse dalla
Corte di cassazione in tema di giurisdizione potrebbe conseguire ” in base al
combinato disposto degli artt. 50, 367 e 382 cod. proc. civ. ” la translatio
iudicii con conservazione degli effetti della domanda giungendo, recentemente, a
desumere da tale conclusione che ” non potendosi imporre alle parti, affinchè
operi il meccanismo della translatio iudicii, di adire necessariamente la
Suprema Corte a sezioni unite ” analogo risultato sarebbe conseguibile, de iure
condito, nel caso di declinatoria di giurisdizione da parte di un giudice di
merito.

3.3.” Recentemente, nel tentativo di risolvere con strumenti ermeneutici
l’annoso e grave problema, la Corte di cassazione (Sezioni unite 22 febbraio
2007, n. 4109) ha affermato – nel rinviare al Consiglio di Stato, per violazione
del giudicato interno,una controversia definita dal medesimo Consiglio con una
pronuncia declinatoria della giurisdizione – che tale rinvio costituiva modifica
del proprio “precedente, risalente orientamento, secondo cui la decisione del
giudice ordinario o del giudice speciale, con la quale viene dichiarato il
difetto di giurisdizione, non consente che il processo possa continuare dinanzi
al giudice fornito di giurisdizione”.

Ricordato che tale tralaticio orientamento si fondava sulla circostanza che
l’art. 50 cod. proc. civ. prevede la riassunzione del processo solo nel caso di
difetto di competenza, e non anche di giurisdizione, e che l’art. 367 prevede la
riassunzione, a seguito di regolamento di giurisdizione, solo davanti al giudice
ordinario, e fatto proprio il “principio fondamentale dei nostri Autori classici
secondo cui il processo deve tendere ad una sentenza di merito”, le Sezioni
unite “ritengono che, in base ad una lettura costituzionalmente orientata della
disciplina della materia, che tenga conto delle argomentazioni emergenti dalle
intervenute modifiche legislative e delle prospettazioni in parte nuove svolte
di recente dalla dottrina sul tema, sussistono le condizioni per potere
affermare che è stato dato ingresso nell’ordinamento processuale al principio
della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa,
in caso di pronuncia sulla giurisdizione”.

“Premessa indispensabile è la considerazione di carattere generale” che, se è
assente per la giurisdizione la disciplina prevista per la competenza, “neppure
sussiste la previsione di un espresso divieto della translatio iudicii nei
rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale”. Rilevato, poi, che la
cassazione senza rinvio è possibile, a norma dell’art. 382, comma terzo, cod.
proc. civ., in caso di difetto assoluto di giurisdizione, dovendosi in ogni
altro caso cassare con rinvio al giudice munito di giurisdizione, la Corte di
cassazione osserva, da un lato, che la norma che esclude l’incidenza sul merito
della pronuncia sulla giurisdizione (art. 386) è indice della “proseguibilità”
del giudizio e, dall’altro lato, che l’estensione legislativa del regolamento di
giurisdizione al processo amministrativo e a quello tributario impone di
interpretare estensivamente l’art. 367, comma secondo, cod. proc. civ.,
ammettendo la riassunzione anche davanti al giudice speciale.

Ne consegue che, a seguito sia di ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, cod. proc.
civ., sia di regolamento di giurisdizione, sarebbe sempre ammessa la
riassunzione del processo davanti al giudice (ordinario o speciale) munito di
giurisdizione e tale riassunzione sarebbe possibile ” aggiunge la Corte “per
ragioni di completezza sistematica” ” “anche nel caso di sentenza del giudice di
merito, che abbia declinato la giurisdizione”.

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