Corte Costituzionale

Infortunio sul lavoro e rendita per invalidità permanente. Il Dlgs 38/2000 supera l’esame della Consulta – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 426 del 19/12/2006

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RENDITA PER
INVALIDITA’ PERMANENTE – La separata considerazione degli eventi lesivi
ricadenti sotto la disciplina dell’art. 13 del Dlgs 38/2000, rispetto a quelli
pregressi, è una scelta razionale del legislatore, nel pieno rispetto degli
artt. 76, 3 e 38 Cost., fondata su un’obiettiva differenza dei parametri
valutativi.

Con la
seguente pronuncia la Corte Costituzionale respinge l’ipotesi di illegittimità
costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto
legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali a norma dell’art.
55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), formulata dai tribunali di
Pisa e Trieste nella parte in cui non consente di procedere ad una valutazione
complessiva dei postumi conseguenti ad infortuni sul lavoro o malattie
professionali verificatisi o denunciati prima della data di entrata in vigore
del decreto ministeriale 12 luglio 2000 (Approvazione di “Tabella delle
menomazioni”; “Tabella di indennizzo danno biologico”; “Tabella dei
coefficienti”; relative al danno biologico ai fini della tutela
dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali) e di quelli
intervenuti dopo tale data. Dopo aver argomentato le motivazioni per cui non
sarebbe configurabile un contrasto con gli artt. 3, 38 e 76 del dettato
Costituzionale, risolve la questione affermando che in caso di evento lesivo
posteriore al 25 luglio 2000 preceduto da altra menomazione già indennizzata,
il nuovo sistema assicura una prestazione aggiuntiva ove la lesione posteriore
sia di grado superiore al 5 per cento, assicurando oltre all’indennizzo in
capitale o rendita, spettante ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000,
rendita corrisposta ai sensi della disciplina precedente; rendita alla quale si
applicheranno tutti gli istituti giuridici già previsti dal testo unico del
1965 (revisione, rivalutazione, quote integrative).

Nel caso in
cui , ivece, la menomazione precedente non sia stata indennizzata, il danno
biologico sopravvenuto sarà rapportato non all’integrità psico-fisica
completa, ma a quella ridotta per effetto della preesistente menomazione.

 

 


La vicenda


 

Il fatto alla
base della vicenda giuridica che verrà di qui a poco delineata si origina in
occasione di un giudizio promosso da un privato cittadino, titolare di rendita
di inabilità lavorativa ottenuta in seguito ad infortunio sul lavoro
verificatosi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 23 febbraio
2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali, a norma dell’art. 55 della legge 17 maggio
1999, n. 144), contro l’ Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL), al fine di vedersi
riconosciute delle prestazioni assicurative dovute per un infortunio sul lavoro
verificatosi successivamente.

Pertanto, in
corso di giudizio, il Tribunale di Pisa con ordinanza del 24 febbraio 2004
solleva una questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il secondo e
terzo periodo del sesto comma dell’art. 13 del citato d. lgs. n. 38 del 2000
sono in contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 38, secondo comma, e 76 della
Costituzione.

 


La questione
di diritto sollevata

 

Secondo il
tribunale rimettente, si configurerebbe un superamento dei limiti della delega
di cui all’art. 55 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di
investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione
e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino
degli enti previdenziali).

La suddetta
legge, infatti, <<rimetteva  al Governo il preciso compito di estendere
l’oggetto dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, ricomprendendovi la copertura del rischio “danno biologico”,
fermi restando i livelli di sicurezza sociale fino ad allora garantiti .>>.

Percio’ si
deve, secondo il rimettente, valutare l’esistenza di un  “intervento demolitore”
di quello che era il meccanismo già prefigurato dall’art. 80 del d.P.R. 30
giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) nel
momento in cui << la percentuale di inabilità riportata nell’infortunio
successivo non sia idonea nè a garantire un ristoro capitalizzato, perchè
inferiore al 6 per cento, nè un incremento della rendita>>.

Per quanto
concerne, invece, il contrasto con l’art. 38, secondo comma, Cost., si afferma
che << la previsione della franchigia di indennizzo da parte del legislatore
delegato non è conforme al parametro evocato risolvendosi in una vera e propria
ablazione del diritto ad ottenere i mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso
di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria>>.

Infine,
risulterebbe leso anche il principio dell’eguaglianza tra cittadini in quanto
potrebbe << accadere che, per patologie identiche, si abbiano trattamenti
diversi, a seconda che la loro coesistenza si ponga a cavallo tra il vecchio e
il nuovo regime, ovvero esclusivamente nel nuovo>>.

Dal canto
suo, l’INAIL, propendendo per l’infondatezza della questione sotto tutti i
profili prospettati, afferma che << i princà­pi e criteri direttivi enunciati
dalla legge di delegazione vanno ricostruiti tenendo conto della disciplina
complessiva e delle finalità che ispirano la delega, laddove il rimettente si
è riferito alla sola lettera s) dell’art. 55, comma 1, della legge n. 144 del
1999, avulsa dal suo contesto>>.

E’
intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, invocando la declaratoria di
inammissibilità, o, comunque, di infondatezza della questione.

L’Avvocatura
erariale rileva che <<i nuovi criteri di calcolo degli indennizzi per inabilità
permanente connessi al danno biologico non sono affatto confrontabili con quelli
previsti dalla precedente normativa. L’unificazione delle inabilità ” secondo
l’interveniente ” puo’ avvenire solo a parità di parametri di calcolo e,
conseguentemente, per eventi verificatisi in vigenza della nuova
disciplina lungi dall’eccedere l’ambito della delega, la norma impugnata si
inquadra armonicamente nel nuovo sistema caratterizzato da una rimodulazione
delle rendite e dell’ammontare dei premi che sono stati ricalibrati in vista
della risarcibilità del danno biologico .>>

La decisione
è rimessa al parere insindacabile della Corte costituzionale.

 

 


La decisione
adottata dalla Corte Costituzionale

 

Nella fase
iniziale del disposto, la Corte, chiarifica che la sua pronuncia riguarderà la
questione

di
legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 13, comma 6,
secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38
(Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17 maggio
1999, n. 144), ritenuto in contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 38, secondo
comma, e 76 della Costituzione nella parte in cui non consente di procedere ad
una valutazione complessiva dei postumi conseguenti ad infortuni sul lavoro o
malattie professionali verificatisi o denunciati prima della data di entrata in
vigore del decreto ministeriale 12 luglio 2000 (Approvazione di “Tabella delle
menomazioni”; “Tabella di indennizzo danno biologico”; “Tabella dei
coefficienti”; relative al danno biologico ai fini della tutela
dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali) e di quelli
intervenuti dopo tale data.

In primis,
ritiene necessario disporre la riunione dei giudizi aventi ad oggetto la
medesima questione e si pronuncia per la non fondatezza della questione.

La Corte
ritiene che << l’art. 76 Cost. non impedisce l’emanazione di norme che
rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle
scelte espresse dal legislatore delegante>>. (sentenze n. 198 del 1998 e n. 117
del 1997).

Da tale
considerazione è possibile ricavare che l’art. 55 della legge 17 maggio 1999,
n. 144, nel delegare il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al
fine di ridefinire taluni aspetti dell’assetto normativo in materia di
assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ha
indicato, alla lettera s), tra i principi ed i criteri direttivi, la previsione,
nell’ambito del sistema di indennizzo e di sostegno sociale, proprio del d.P.R.
30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), “di
un’idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con
conseguente adeguamento della tariffa dei premi”.

Percio’,
possiamo dire che prima della riforma legislativa in materia erogava prestazioni
economiche riferite all’attitudine al lavoro che di fatto già comprendevano, in
parte o per intero, il danno biologico, mentre invece a seguito dell’intervento
del legislatore la situazione appare assai mutata.

Oggi,
infatti, la legge su menzionata copre esplicitamente tale danno all’art. 13,
precisando che “le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono
determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del
danneggiato” (art. 13, comma 1).

La Corte in
merito afferma che << il d.lgs. n. 38 del 2000, in coerente attuazione della
delega, considera i rapporti della nuova normativa con le situazioni pregresse
disciplinandoli compiutamente. E’ chiaro, quindi, che cosi’ facendo il
legislatore non ha ecceduto i limiti della delega, ma ha solo dato ad essa uno
sviluppo coerente>>.

Per quel che
concerne il configurato contrasto con l’art.3 Cost., la Corte sancisce che << la
separata considerazione degli eventi lesivi ricadenti sotto la disciplina
dell’art. 13, rispetto a quelli pregressi, è conseguenza di una ragionevole
scelta discrezionale del legislatore e quindi rispettosa del principio di
eguaglianza. L’obiettiva differenza dei parametri valutativi e delle conseguenze
indennizzabili richiedeva un’articolazione che tenesse conto delle diversità ed
al tempo stesso non lasciasse, nell’ambito di ciascuno dei diversi regimi, alcun
vuoto di tutela>>.

Già in
passato, occorre rilevare,  la Corte aveva del resto dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto legge 22
maggio 1993, n. 155 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 1° giugno 1993, n. 243, nella parte in cui individua,
con decorrenza dal 1° giugno 1993, ai f

mailto:annaflora.sica@tiscali.it

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