Parmalat, dalla Consulta disco verde per le azioni revocatorie – CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza N. 409 del 07/12/2006
Legittime le azioni revocatorie messe in atto dall’amministratore straordinario
di Parmalat Enrico Bondi. Anche se sono stati adottati programmi liquidatori,
le azioni revocatorie sono sempre esperibili in quanto hanno finalità
conservativa del patrimonio produttivo
ORDINANZA
della Corte costituzionale N. 409 dell’ANNO 2006
(Franco
BILE Presidente; Romano VACCARELLA, Relatore)
nei giudizi
di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003,
n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in
stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio
2004, n. 39, come modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater
del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119
(Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in
stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004,
n. 166, promossi con ordinanze del 16 e del 23 febbraio 2006 dal Tribunale
ordinario di Parma nei procedimenti civili vertenti tra Parmalat s.p.a. in
amministrazione straordinaria e G.E. Capital Finance s.p.a. e tra Parmalat
Finance Corporation B. V. in amministrazione straordinaria e UBS Limited ed
altra, iscritte ai numeri 162 e 163 del registro ordinanze 2006 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23,
prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti
gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e
di Parmalat Finance Corporation B. V. in amministrazione straordinaria, di G.E.
Capital Finance s.p.a., di UBS Limited, nonchè gli atti di intervento di
Parmalat s.p.a. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Romano
Vaccarella.
Ritenuto
che, nel corso di due giudizi civili, il Tribunale ordinario di Parma, con
distinte ordinanze di pressochè identico contenuto, emesse l’una il 16 febbraio
2006 e l’altra il 23 febbraio 2006, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3
e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6
del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la
ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come
modificato dagli artt. 4-ter e 4-quater
del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed
integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza),
convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in
cui stabilisce che le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo
1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), possono essere proposte anche in costanza
di un programma di ristrutturazione dell’impresa sottoposta ad amministrazione
straordinaria;
che entrambe
le ordinanze di rimessione premettono, in punto di fatto, che la Parmalat
s.p.a., con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre
2003, è stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria ai
sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 e del decreto legislativo n. 270 del
1999, e che il Tribunale ordinario di Parma, con sentenza del 27 dicembre 2003,
ha dichiarato lo stato di insolvenza della medesima società, con estensione
della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. e ad altre società
facenti parte di un unico gruppo;
che, nel
primo giudizio (n. 162 r.o. 2006), Parmalat s.p.a. in amministrazione
straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in
giudizio G.E. Capital Finance s.p.a. per ottenere la revoca dei pagamenti
eseguiti da Parmalat s.p.a., a favore della convenuta, nell’anno precedente alla
dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza per un importo complessivo di
euro 82.463.693,47, ovvero, in subordine, per ottenere la declaratoria di
inefficacia, ai sensi dell’art. 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52
(Disciplina della cessione dei crediti d’impresa), di cessioni di crediti per un
importo complessivo di euro 62.062.693,40;
che, nel
secondo giudizio (n. 163 r.o. 2006), il commissario straordinario di Parmalat
Finance Corporation B. V., anch’essa sottoposta alla procedura di
amministrazione straordinaria, ha convenuto in giudizio UBS Limited per ottenere
la revoca degli accordi intercorsi tra la stessa Parmalat Finance Corporation B.
V., Parmalat s.p.a. e la convenuta UBS Limited in data 9 giugno 2003, e, in
particolare, dell’acquisto da parte della prima "delle CLN Banco Totta" e,
conseguentemente, la condanna di UBS Limited alla restituzione della somma di
euro 290.000.000,00;
che, in
entrambi i giudizi, le convenute hanno resistito alla domanda, eccependo in via
pregiudiziale l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n.
347 del 2003, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.;
che, quanto
alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, i giudici
rimettenti affermano che essa è insita "nella proposizione dell’azione
revocatoria" fallimentare, resa ammissibile anche "in presenza di autorizzazione
all’esecuzione del programma di ristrutturazione" proprio in virtù della norma
censurata;
che, quanto
alla non manifesta infondatezza, i giudici a quibus,
riproducendo la motivazione di altra ordinanza di rimessione pronunciata dallo
stesso Tribunale in data 18 novembre 2005, osservano che l’amministrazione
straordinaria cosiddetta "accelerata" (introdotta dal decreto-legge n. 347 del
2003) e la procedura di amministrazione straordinaria "ordinaria" (disciplinata
dal d.lgs. n. 270 del 1999) si differenziano per quanto attiene alle "fasi di
ingresso" ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e
l’entità dei debiti, senza che le innovazioni introdotte dal decreto-legge n.
347 del 2003 alterino i caratteri comuni a quelli della procedura disciplinata
dal d.lgs. n. 270 del 1999;
che in
entrambe le procedure è prevista l’esperibilità dell’azione revocatoria
fallimentare, ma che essa, nella procedura cosiddetta "ordinaria", è consentita
"soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei
complessi aziendali" (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999), e cio’
coerentemente con la ratio dell’azione, che, secondo
la concezione indennitaria, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore,
ovvero, secondo la configurazione antindennitaria, tende a distribuire le
perdite nell’ambito di una cerchia di creditori più ampia rispetto a quella che
comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della
procedura;
che,
nonostante questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non sia
conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, la
norma denunciata ha irragionevolmente esteso a questa ipotesi l’ambito di
applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo
"immotivatamente quel legame di continuità [ ] tra finalità concretamente
perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi";
che
l’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha "ampliato
il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art.
49" del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza,
poichè le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure
analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo;
che non vale
sostenere la compatibilità dell’azione revocatoria con l’ipotesi di cessione
dell’attività d’impresa, realizzata mediante un concordato, ad un soggetto
terzo (l’assuntore o una diversa società), in quanto la norma impugnata prevede
in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia
stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla
circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del
decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante un concordato, che puo’
costituire uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis,
comma 1, del decreto-legge citato);
che "le
censure di illegittimità si incentrano sulla disciplina generale della
procedura" disciplinata dal decreto-legge n. 347 del 2003, "nell’ambito della
quale l’epilogo naturale del processo di risanamento è costituito dal ritorno
dell’imprenditore all’ordinaria operatività industriale, a conclusione del
programma di ristrutturazione con qualunque modalità attuato (artt. 4 e 4-bis),
ivi compreso il concordato con assunzione, che costituisce un’ipotesi del tutto
eventuale e residuale di conclusione del programma di ristrutturazione
dell’impresa, cui il legislatore assegna la sola valenza di determinare
l’immediata chiusura della procedura rispetto alla fisiologica durata ed al suo
naturale espletamento";
che, in
riferimento all’art. 41 Cost., i giudici a quibus
osservano che il risanamento dell’impresa attuato mediante l’esperimento
dell’azione revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio
per l’impresa ammessa alla procedura e realizza un effetto distorsivo della
concorrenza, in quanto il ricavato dell’azione revocatoria non è destinato al
soddisfacimento dei creditori, ma costituisce una forma di finanziamento forzoso
a favore dell’impresa insolvente ed a carico dei terzi;
che nel primo
giudizio (n. 162 r.o. del 2006) dinanzi a questa Corte si è costituita Parmalat
s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario
straordinario, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, comunque,
l’infondatezza delle questioni, richiamando la sentenza di questa Corte n. 172
del 2006, con la quale sono state dichiarate non fondate analoghe questioni;
che, nel
medesimo giudizio, si è costituita G. E. Capital Finance s.p.a., parte
convenuta nel processo principale, chiedendo che la questione sia accolta, in
quanto l’art. 6 del citato decreto-legge n. 347 del 2003, consentendo al
commissario straordinario di "proporre le azioni revocatorie previste dagli
articoli 49 e 91 del decreto legislativo n. 270 anche nel caso di autorizzazione
all’esecuzione del programma di ristrutturazione, purchè si traducano in un
vantaggio per i creditori", e non soltanto nel caso previsto dall’art. 49 della
"legge Prodi-bis", determina disparità di
trattamento "tra le imprese (ed i loro creditori concorsuali) che possono essere
ammesse alla procedura di cui alla legge Prodi-bis
rispetto alle imprese che possono essere ammesse alla procedura di cui alla
legge Marzano"; "tra un’impresa (ed i suoi creditori concorsuali) ammessa alla
procedura di cui alla legge Prodi-bis, su istanze dei
creditori o d’ufficio, e altra impresa ” avente le stesse caratteristiche
patrimoniali e dimensionali ” ammessa invece, su istanza del debitore, alla
procedura di cui alla legge Marzano"; nonchè "tra i terzi che hanno contratto
con l’impresa insolvente ammessa alla procedura di cui alla legge Prodi-bis
rispetto ai terzi che hanno contratto con un’impresa insolvente ammessa alla
procedura di cui alla legge Marzano";
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