Il ricorso “per saltum” è negozio giuridico processuale cui devono partecipare le parti di persona – CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n. 16993 del 26/07/2006
AMMISSIBILITA’ E NATURA DEL RICORSO PER SALTUM:
Il ricorso "per saltum" è un negozio giuridico processuale cui devono
partecipare le parti di persona, non essendo sufficiente che l’accordo
intervenga tra i rispettivi procuratori ad litem. Cassazione Civile, sezioni
unite, sentenza n. 16993 del 26 luglio 2006
La Cassazione con il seguente orientamento,
supportato anche dalle più recenti pronunce giurisdizionali, ritiene il
ricorso "per saltum" un negozio giuridico
processuale, quanto meno sotto il profilo della rilevanza della manifestazione
di volontà dei dichiaranti, il cui effetto immediato è quello di rendere non
appellabile la sentenza oggetto dell’accordo.
Al suddetto patto devono partecipare le parti
di persona, non essendo sufficiente che l’accordo intervenga tra i rispettivi
procuratori ad litem; tale conclusione trova conferma nella disposizione citata
di cui all’art. 366 c.p.c., secondo cui l’accordo in questione deve risultare –
come già rilevato – mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai
loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato da
unirsi al ricorso stesso.
La vicenda
La vicenda giudiziaria da cui
trae inizio l’insegnamento giurisprudenziale della Corte ha ad oggetto la
proposizione di un ricorso in opposizione alla misura disciplinare del
licenziamento, adottata in seguito a regolare procedimento disciplinare; il
procedimento disciplinare era stato aperto a seguito della sentenza del
Tribunale di Prato che aveva condannato il ricorrente a tre anni di reclusione
per il reato di concussione. Nel ricorso viene chiesto, in via principale,
l’annullamento della sanzione disciplinare del licenziamento in quanto sanzione
sproporzionata alla concreta entità dei fatti commessi, riconosciuti dal
giudice penale "di speciale tenuità"e, in via subordinata, l’annullamento della
decisione del Collegio Penale di Disciplina.
In seguito al rigetto della
domanda, viene presentato ricorso alla Suprema Corte.
La questione di diritto e la soluzione
adottata dalla Corte
Occorre a monte osservare che la Corte ha
dichiarato immediatamente l’inammissibilità del ricorso perchè proposto
avverso una pronuncia di primo grado senza un valido accordo delle parti per il
ricorso c.d. per saltum.
Come evidenziato da precedenti orientamenti in
tal senso (Cass. 22 aprile 2004 n. 7707; Cass. 29 aprile 1998 n. 4397), ed ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c., puo’ essere impugnata con ricorso
per cassazione una sentenza appellabile del Tribunale, soltanto se le parti sono
d’accordo per omettere l’appello.
Inoltre, l’ultimo comma dello stesso art. 366
stabilisce da chi puo’ essere concluso tale accordo ("dalle … parti o dai loro
difensori muniti di procura speciale") e le modalità con cui puo’ essere
manifestata la volontà ("mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti,
oppure mediante atto separato da unirsi al ricorso stesso").
In altri ambiti e pronunce giurisprudenziali
la Corte ha affermato “che va condivisa l’opinione espressa in dottrina e
giurisprudenza sulla natura e sulla portata dell’accordo tra le parti previsto
dall’art. 360 c.p.c., secondo cui esso va ritenuto un negozio giuridico
processuale, quanto meno sotto il profilo della rilevanza della manifestazione
di volontà dei dichiaranti, il cui effetto immediato è quello di rendere non
appellabile la sentenza oggetto dell’accordo”. (Cass. 29 aprile 1998 n.
4397).
Al suddetto patto devono partecipare le parti
di persona, la Corte infatti sostiene anche che “non è sufficiente che
l’accordo intervenga tra i rispettivi procuratori ad litem; tale conclusione
trova conferma nella disposizione citata di cui all’art. 366 c.p.c., secondo cui
l’accordo in questione deve risultare – come già rilevato – mediante visto
apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura
speciale, oppure mediante atto separato da unirsi al ricorso stesso”.
E’ infatti la previsione di una manifestazione
negoziale che sia immediatamente ricollegabile alle parti del processo a
giustificare ed a fondare la natura e l’importanza stessa del ricorso per
saltum.
(Annaflora Sica, © Litis.it, 9 Ottobre 2006)
CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n.
16993 del 26/07/2006
(Sezioni Unite Civili, Presidente V. Carbone,
Relatore G. Amoroso)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l. Con ricorso depositato il
30 dicembre 2000, F. P.i esponeva: che aveva prestato servizio presso il
Tribunale di Prato in qualità di ufficiale giudiziario; che in data 10 aprile
2000, a seguito di procedimento disciplinare, il Ministero di Grazia e Giustizia
gli aveva inflitto la sanzione del licenziamento senza preavviso; che tale
decisione era stata impugnata dinanzi al Collegio Penale di Disciplina, che
aveva respinto il ricorso in data 22 settembre 2000; che il procedimento
disciplinare era stato aperto a seguito della sentenza del Tribunale di Prato
che lo aveva condannato a tre anni di reclusione per il reato di concussione;
che tale sentenza era stata riformata in appello quanto alla pena, ridotta ad un
anno e tre mesi, poichè era stata riconosciuta in suo favore l’attenuante del
"fatto di speciale tenuità" di cui all’art. 323 bis c.p. nonchè l’attenuante
di cui all’art. 62 bis c.p.; che la Corte di cassazione, con sentenza 18 giugno
1999, aveva confermato la sentenza di appello.
Deduceva quindi, in primo luogo, che la
sanzione irrogata era sproporzionata alla concreta entità dei fatti commessi,
riconosciuti dal giudice penale "di speciale tenuità"e, in secondo luogo, che
la decisione del Collegio Penale di Disciplina doveva ritenersi nulla poichè
emanata da un organo abolito per effetto del d.lgs. n. 80 del 1998, che aveva
istituito, al posto del predetto Collegio di disciplina, il Collegio di
Conciliazione di cui al successivo art. 69 bis.
Chiedeva pertanto, in via
principale, l’annullamento della sanzione disciplinare del licenziamento e, in
via subordinata, l’annullamento della decisione del Collegio Penale di
Disciplina.
Si costituiva il Ministero di Grazia e
Giustizia, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
L’adito tribunale con sentenza del 4 ottobre
2002 rigettava il ricorso.
2. Avverso questa pronuncia il Patrocelli
ricorre per cassazione con cinque motivi, di cui il quarto attinente alla
giurisdizione; talchè il ricorso veniva assegnato alle Sezioni Unite di questa
Corte.
Resiste con controricorso il Ministero della
giustizia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. II ricorso è articolato in cinque motivi.
Con il primo il ricorrente denuncia il vizio
della sentenza impugnata non avendo il Tribunale tenuto conto della nullità
della decisione del Collegio Arbitrale, atteso che l’ ad. 28 d.lgs. n. 80 del
1998 (sostitutivo dell’art. 59 bis, 2° co., d.lgs, n. 29 del 1993) ha attribuito
l’impugnativa delle sanzioni disciplinari avanti al Collegio di Conciliazione a
partire dall’entrata in vigore del primo c.c.n.l. successivo all’entrata in
vigore del medesimo d.lgs. n. 80 del 1998.
Il ricorrente poi denuncia la violazione e
falsa applicazione per violazione del principio – vigente non solo in
sede penale, ma anche in quella disciplinare – di proporzionalità e gradualità
della sanzione per l’asserita impossibilità di qualificare in sede disciplinare
come grave un illecito valutato "di particolare tenuità" dal giudice penale,
assumendo che la sanzione del licenziamento senza preavviso non sarebbe stata
"… in alcun modo graduata alla tenuità del fatto accertato in sede
penale…".
Inoltre il ricorrente, con il terzo motivo,
deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione non avendo il primo
giudice motivato su un punto decisivo della controversia prospettato dal
ricorrente, vale a dire l’asserita nullità della decisione del Collegio
Arbitrale di Disciplina.
II ricorrente poi, con il quarto motivo,
allega la violazione del principio di riparto della giurisdizione. Richiama
l’art. 45, 17° co., d.lgs. n. 80 del 1998 che sancisce la devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie su
questioni inerenti al rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998, devolvendo
al giudice ordinario quelle successive a tale data; nella specie la controversia
inerisce a contestazioni precedenti a130 giugni 1998 atteso che il dipendente,
pur se licenziato il 10 aprile 2000, già nel 1993 era stato sospeso dal
servizio.
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