Applicazione cumulativa delle misure cautelari personali solo se espressamente previsto dalla legge – CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 29907 del 30/05/2006
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La Corte di
Cassazione, Sezione Unite Penali, con sentenza n.29907 del 30 maggio 2006 si è
pronunciata in materia di misure cautelari a seguito di ricorso presentato
contro l’ordinanza del Tribunale della libertà di Milano, con la quale – a
seguito di istanza presentata dall’imputato che chiedeva l’autorizzazione ad
allontanarsi dal domicilio, per effettuare attività riabilitativa ”
sostituiva la misura degli arresti domiciliari con l’obbligo di presentazione
alla polizia giudiziaria e di dimora, accompagnato dal divieto di allontanarsi
dall’abitazione nelle ore notturne, sul presupposto che la legge processuale non
esclude l’applicazione di due misure non custodiali, tra loro compatibili, nel
momento in cui salvaguardano le esigenze cautelari.
Le Sezioni
Unite intervengono con la sentenza de quo a risolvere la questione “se
l’applicazione cumulativa di misure coercitive è sempre consentita, o deve
essere applicata solo nei casi previsti dalla legge.”
Un prevalente
orientamento sposato dalle Sezioni Unite, afferma in, ossequio al principio di
legalità e tassatività delle misure cautelari personali, che, al di fuori dei
casi in cui sia espressamente prevista da singole norme processuali (artt. 276,
comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.), non è ammessa l’applicazione simultanea,
in un mixtum compositum, di due diverse misure cautelari tipiche, omogenee o
eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali ad esempio
il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il
divieto o l’obbligo di dimora ex artt. 281, 282 e 283 c.p.p. (Cass., sez. II, 29
novembre 2001 n. 641/02, Colella, rv. 221151; sez. IV, 15 maggio 2003 n. 34380,
Zazzaro, rv. 226016; sez. III, 4 maggio 2004 n. 37987, Mosca, rv. 230025; sez.
IV, 23 febbraio 2005 n. 32944, Pagliaro, rv. 231725). Inoltre, l’art. 275
c.p.p., indicando i “criteri di scelta delle misure”, usa sempre il singolare –
“ciascuna”, “ogni”, “ogni altra” -, come se volesse evidenziare l’intento
legislativo di fare riferimento ad una misura coercitiva per volta e non
all’applicazione cumulativa delle stesse.
Quindi, la possibilità di cumulo delle misure cautelari resta
riservata all’unica fattispecie normativamente prevista dall’art. 276, comma 1,
c.p.p. il quale afferma che il giudice puo’ disporre, se non vi è una
‘intrinseca incompatibilità tra le misure e solo in caso di trasgressione alle
prescrizioni imposte con una misura cautelare, oltre la sostituzione, “il cumulo
con altra più grave”, anche di natura coercitiva se si tratta di violazione
delle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva.
Rilievo assume anche, l’art.307 comma 1 bis cpp, in virtù del
quale ,” in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, solo qualora si
proceda per taluno dei più gravi delitti annoverati nel catalogo dell’art. 407,
comma 2 lett. a), il giudice dispone le misure coercitive non custodiali
indicate dagli artt. 281, 282 e 283 “anche cumulativamente”.
Oltrettutto nell’ambito delle disposizioni generali, l’art 272
dispone che tipiche e nominate sono le figure delle misure cautelari personali,
come tipici e nominati sono i casi, le forme e i presupposti in virtù dei quali
le misure cautelari possono essere disposte.
Quindi la Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, alla stregua
di quanto detto, afferma che al di fuori dei casi espressamente previsti da
specifiche norme processuali non sono ammissibili nè l’imposizione “aggiuntiva”
di ulteriori prescrizioni non previste da singoli disposizioni che regolano le
misure cautelari, nè l’applicazione cumulativa di misure cautelari personali
anche se tra loro astrattamente compatibili e pertanto ha ritenuto di annullare
l’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà di Milano.
(Anna Sabia, © Litis.it, 9 Ottobre, 2006)
CASSAZIONE PENALE,
Sezioni Unite, Sentenza n. 29907 del 30/05/2006
(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore G.
Canzio)
Ritenuto in fatto
Nicola La Stella ha proposto ricorso per cassazione contro
l’ordinanza 13/7/2005 del Tribunale della libertà di Milano, con la quale era
stato confermato il provvedimento della Corte di appello che, su conforme
richiesta del P.G., in seguito all’istanza dell’imputato di essere autorizzato
ad allontanarsi dal domicilio per accedere alla piscina comunale in orario
domenicale per un’attività riabilitativa, aveva sostituito la misura degli
arresti domiciliari, imponendogli gli obblighi congiunti di presentazione alla
polizia giudiziaria e di dimora, con il divieto di allontanarsi dall’abitazione
nelle ore notturne. Ha ritenuto, infatti, il Tribunale che la legge processuale
non esclude l’applicazione cumulativa di due misure non custodiali, tra loro
compatibili, laddove esse risultino – come nella specie – adeguate a
salvaguardare le concrete esigenze cautelari, in sostituzione della più grave
misura custodiale.
Con un primo motivo di ricorso il difensore dell’imputato deduce
che la sostituzione della misura degli arresti domiciliari è stata disposta
dalla Corte d’appello senza che egli l’abbia richiesta; con il secondo motivo
censura l’ordinanza impugnata sotto entrambi i profili della violazione di
legge, poichè l’applicazione congiunta di due misure è prevista solo nei casi
regolati dagli artt. 276 e 307, comma 1-bis, c.p.p., e del difetto di
motivazione, avendo l’ordinanza impugnata illogicamente ritenuto che il nuovo
regime cautelare fosse meno afflittivo del precedente.
La sezione V della Corte, assegnataria del ricorso, rilevato che la
censura articolata dal ricorrente, con riguardo al tema dell’applicazione
congiunta di misure coercitive, postula l’esame di questioni sulle quali si
registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, ne ha rimesso con
ordinanza dell’1/2/2006 la decisione alle Sezioni Unite, richiamando, da un
lato, l’indirizzo interpretativo secondo il quale la possibilità del cumulo,
essendo diretta ad evitare l’adozione di misure custodiali altrimenti
indispensabili, sarebbe consentita in virtù del principio del favor libertatis,
e dall’altro l’opposto orientamento che considera preclusa, in tutti i casi in
cui non sia espressamente prevista da singole norme processuali, l’applicazione
congiunta di misure coercitive che pure siano tra loro astrattamente
compatibili.
Con successivo decreto il Primo Presidente ha assegnato il ricorso
alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza in
camera di consiglio.
Considerato in diritto
1.- Il primo motivo di ricorso, attinente alla mancanza di
un’espressa richiesta dell’imputato di sostituzione della misura degli arresti
domiciliari, si palesa privo di pregio perchè la Corte d’appello di Milano, che
procedeva al giudizio di appello nei confronti dello stesso per il reato di
bancarotta, per un verso era tenuta a deliberare sull’autonoma richiesta di
applicazione delle meno gravi, ma congiunte, misure dell’obbligo di
presentazione e di dimora, formulata ex art. 299, comma 4-bis, dal Procuratore
Generale, al quale era stata comunicata l’istanza dell’imputato di variazione
delle modalità applicative dell’originaria misura coercitiva, e comunque era
legittimata a provvedere “anche di ufficio”, ai sensi dell’art. 299 comma 3
c.p.p., alla revoca o alla sostituzione in melius della misura cautelare
personale.
2.- Con riguardo alla violazione di legge denunziata con il secondo
motivo di ricorso, le Sezioni Unite, registrandosi nella giurisprudenza di
legittimità un perdurante e radicato contrasto interpretativo, sono chiamate a
risolvere la questione “se l’applicazione cumulativa di misure coercitive sia
sempre consentita, ovvero possa essere disposta soltanto nei casi espressamente
previsti dalla legge”.
Secondo un primo indirizzo (Cass., sez. V, 14 aprile 2000 n. 2361,
Goglia, rv. 216543; sez. VI, 30 marzo 2004 n. 23826, Milloni, rv. 230000),
l’applicazione congiunta di misure coercitive, che siano tra loro compatibili,
deve ritenersi ammessa anche fuori dalle ipotesi disciplinate dagli art. 276
(provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte) e 307
(provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini), posto che
la legge impone l’adozione del trattamento meno afflittivo, tra quelli idonei ad
assicurare le esigenze cautelari del caso concreto, e la combinazione tra i
vincoli derivanti da più misure, avendo effetto ampliativo delle possibilità
offerte al giudice, consente di rinunciare ai più incisivi provvedimenti
custodiali, altrimenti necessari, cosi’ rispondendo al più generale favor
libertatis.
L’opposto e prevalente orientamento sostiene invece, in ossequio al
principio di legalità e tassatività delle misure cautelari personali, che, al
di fuori dei casi in cui sia espressamente prevista da singole norme processuali
(artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.), non è ammessa l’applicazione
simultanea, in un mixtum compositum, di due diverse misure cautelari tipiche,
omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali
ad esempio il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia
giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimora ex artt. 281, 282 e 283 c.p.p.
(Cass., sez. II, 29 novembre 2001 n. 641/02, Colella, rv. 221151; sez. IV, 15
maggio 2003 n. 34380, Zazzaro, rv. 226016; sez. III, 4 maggio 2004 n. 37987,
Mosca, rv. 230025; sez. IV, 23 febbraio 2005 n. 32944, Pagliaro, rv. 231725).
Le Sezioni Unite ritengono di condividere la ratio decidendi delle
sentenze risalenti a quest’ultimo, più rigoroso, orientamento giurisprudenziale
per le seguenti considerazioni di ordine logico-sistematico.
3.- Il progetto di riforma del codice di procedura penale del 1978
stabiliva, con l’apposita disposizione dell’art. 265 (limite alla cumulabilità
delle misure), che “salvi i casi previsti dalla legge, una stessa persona non
puo’ essere sottoposta contemporaneamente a più di una misura”. La rigidità di
tale regola era peraltro attenuata, prevedendo singole norme l’applicazione
congiunta, in via di eccezione, del divieto di espatrio con ogni altra misura
coercitiva (art. 269 comma 4), nonchè del divieto o obbligo di dimora con
l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 271 comma 5) e con
l’obbligo di rimanere in una determinata abitazione (art. 272 comma 2). Inoltre,
in caso di violazione del divieto di espatrio, il giudice poteva disporre “una o
più” tra le altre misure, mentre in caso di trasgressione alle prescrizioni
imposte con quest’ultime poteva solo disporsi “una misura più grave”.
Nella medesima ottica del principio di adeguatezza delle misure
cautelari personali, l’art. 282 del c.p.p. 1930, secondo l’ultima formulazione
ad opera dell’art. 43 l. 5/8/1988 n. 330 e quindi pochi mesi prima
dell’approvazione del nuovo codice di procedura penale, consentiva al giudice,
“anzichè emettere il mandato di cattura”, di disporre l’applicazione di “una o
più” delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare, quali la
prestazione di cauzione o malleveria, l’obbligo di presentazione periodica
all’autorità di polizia giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimorare in un
dato luogo, se le stesse apparivano sufficienti a tutelare nel caso concreto le
esigenze cautelari indicate nell’art. 253.
Ben diversa si prospetta, invece, la regolamentazione del fenomeno
nel nuovo codice di rito del 1988.
Non è confermata la regola preclusiva dell’art. 265 del progetto
riformatore del 1978 (Relazione al Progetto preliminare, p. 73), ma neppure è
dato rinvenire alcuna disposizione che, almeno nella fase genetica di
applicazione delle misure cautelari personali, ne preveda espressamente la
cumulabilità, configurandosi da parte del legislatore solo una specifica
ipotesi di contaminazione dei tipi nella “più blanda” figura della misura
domiciliare di cui all’art. 283 comma 4 c.p.p., quale prescrizione “minore e
accessoria” all’obbligo di dimora (Relazione al Progetto preliminare, p. 74).
Nel sottolineare inoltre che l’art. 275 c.p.p., indicando i
“criteri di scelta delle misure”, declina queste sempre al singolare –
“ciascuna”, “ogni”, “ogni altra” -, sembrando evidenziare l’intento legislativo
di fare riferimento ad una misura coercitiva per volta e non all’applicazione
cumulativa delle stesse, non appare priva di significato la circostanza che
l’applicazione della misura “aggiuntiva” del divieto di espatrio a una delle
altre misure coercitive ex art. 281, comma 2-bis, che non era prevista
dall’originaria disciplina codicistica, sia s