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E’ riciclaggio anche rendere difficile l’accertamente della provenienza del danaro – CASSAZIONE PENALE, Sezione II, Sentenza n. 2818 del 12/01/2006

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E’ riciclaggio, art. 648 bis
c.p. anche il solo compimento di operazioni volte a rendere più difficile
l’accertamento della provenienza del denaro

 

La questione di
diritto sollevata e la soluzione della Corte –

Con il D.L.vo 20 febbraio 2004 n. 56 ” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 49
del 28 febbraio del 2004 ” ed entrato in vigore il 14 marzo del 2004 ed in
particolare con il decreto n. 141 del 3 febbraio 2006, il Governo ha introdotto
nuovi adempimenti in materia di antiriciclaggio.

Tali obblighi consistono
principalmente nei doveri di identificazione e registrazione  di cui al Capo II
del D. L.vo n. 141 del 3/2/06 e nell’obbligo di segnalazione delle operazioni
sospette di cui al Capo II dello stesso D. L.vo .

L’identificazione
avviene registrando, al momento dell’inizio della prestazione professionale, i
dati del cliente in appositi registri, informatici o cartacei.

Gli obblighi di
segnalazione delle operazioni sospette ” Capo III ”  consistono nell’onere di
segnalare all’UIC tutte quelle operazioni che, per caratteristiche, entità,
natura o per altra ragione conosciuta in ragione delle funzioni esercitate e
tenuto conto anche delle capacità economiche e dalla attività svolta dal
cliente, induca a ritenere che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle
operazioni possano provenire da fonti illecite ” artt.

648 bis 648 ter c.p..

Com’è noto – spiega la
Corte – si ha riciclaggio ogniqualvolta si pongono in essere operazioni in modo
da ostacolare l’identificazione della loro provenienza. Al riguardo va precisato
che ostacolare non significa impedire in modo insormontabile, ma soltanto
rendere difficile l’accertamento della provenienza della res, attraverso un
qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione
dell’attività posta in essere.

Non è necessario ”
puntualizzano i giudici di legittimità ” vagliare tutte le operazioni che
vengono compiute, essendo sufficiente che almeno un comportamento presenti il
carattere richiesto dalla norma.

La Corte, quindi, nel caso
preso in esame, ha ritenuto configurabile il reato di riciclaggio nella
complessa condotta dell’operatore bancario consistente nel versamento di una
somma contante sul libretto di deposito a risparmio, intestato al figlio del
soggetto responsabile di un’attività d’usura, con l’apparente firma del
titolare del libretto e per mezzo del contestuale prelievo a nome dell’autore
del delitto di usura da un libretto al portatore aperto da quest’ultimo proprio
su suggerimento dell’operatore bancario.

 

(Lorenzo Sica, © Litis.it, 6
Luglio 2006)

 


CASSAZIONE PENALE, Sezione
II, Sentenza n. 2818 del 12/01/2006

(Presidente A. Rizzo, Relatore A. Morgigni)


 

   O S S E R V A

 

Il 30 luglio 2005 il Tribunale di Lecce ha
confermato l’ordinanza del G.I.P. locale, che il 19 luglio 2005 ha disposto la
misura degli arresti domiciliari nei confronti di Luciana C., indagata per il
delitto di riciclaggio " poichè in concorso con F. C. e con più azioni
esecutive di un medesimo disegno crI.noso, la prima quale direttrice e la
seconda quale ragioniera della filiale del S. P. I. B. di Napoli di C. S. M.,
sostituivano, trasferivano e comunque ponevano in essere altre operazioni su
denaro e titoli di credito, con versamento dei relativi importi su conti
correnti e libretti al portatore intestati a S. S., M. L. e a persona non
identificata sotto la dicitura "C. S. M.", cosi’ ostacolando l’identificazione
della loro provenienza dal delitto di usura posto in essere da P. L." .

Ricorre il difensore,
lamentando la violazione degli artt. 648 bis cod. pen e 273 cod. proc. pen.
nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Assume che il tribunale
dopo avere identificato tre ipotesi attraverso le quali puo’ essere perpetrato
il reato in questione, non avrebbe poi chiarito a quali delle tre dovrebbe
essere riferita la condotta contestata alla C., direttrice della filiale di C.
S. M. del S.P. B. di Napoli.

Dal testo del provvedimento
impugnato risulta che, presso detta filiale del citato istituto di credito, era
acceso un libretto nominativo (contraddistinto dal n ), intestato a
P. L. e C. De L.: su questo venivano versati dal L. tre assegni, asseritamente
provento di operazioni usurarie.

Asserisce il ricorrente
difensore che tali operazioni non integrano, dal punto di vista oggettivo, il
reato di riciclaggio, trattandosi di versamenti effettuati su un libretto di
deposito a risparmio nominativo, cointestato a chi si sarebbe reso responsabile
del reato di usura: non sussisterebbe un’ipotesi di sostituzione, nè un’ipotesi
di trasferimento, nè qualsiasi altra operazione tale da frapporre ostacoli alla
ricostruzione della provenienza del denaro (melius: dei titoli) in questione.

Ricorda che successivamente
De L. prelevava dal libretto di cui si discorre (n° ) l’importo di C
4.544,47 e contestualmente accendeva un libretto al portatore denominato "C. S.
M." (contraddistinto dal n° ).

Aggiunge che queste
operazioni (effettuate personalmente da L.) non consentivano di mascherare la
provenienza del denaro, atteso che prelI.nare è l’identificazione del soggetto
che l’effettua.

Precisa che sempre presso
il citato istituto di credito, poi, veniva acceso, mediante il versamento di €
5.000,00, un altro libretto di deposito a risparmio nominativo da M. L., figlio
di P. L. e C. De L., con contestuale prelievo di pari importo dal libretto
nominativo intestato ai menzionati coniugi. Anche in tali casi non sarebbe
possibile ravvisare l’elemento oggettivo del reato di riciclaggio:

– le somme utilizzate per
accendere sia il libretto al portatore "C. S. M.", sia il libretto nominativo
intestato a L. M., infatti, erano state già oggetto di un precedente versamento
sul libretto nominativo dei coniugi L. e De L.;

         
il loro
successivo utilizzo, reso possibile da prelievi presso lo stesso istituto di
credito, non impediva di stabilire la provenienza dei titoli asseritamente
provento di operazione usurarie;

         
allo stesso
modo, le ulteriori operazioni eseguite, utilizzando il denaro versato sul
libretto di deposito a risparmio nominativo intestato a L. M. (accensione di
polizze assicurative intestate al medesimo) non impediva            alcun
accertamento sull’originaria provenienza del denaro.

La ragione dell’accensione
di un libretto al portatore, secondo P. L., sarebbe costituita dall’opportunità
di consentire anche al figlio di operare, trovandosi esso P. sempre in campagna.

Aggiunge il difensore che
sarebbe irrilevante la conoscenza da parte dell’indagata di vicende giudiziarie,
nelle quali L. era coinvolto per usura, poichè C. non aveva la consapevolezza
che le operazioni di modesta entità, eseguite presso la filiale dove lei
lavorava, avessero attinenza con i predetti addebiti; le poche operazioni,
d’altro canto, non potevano certamente facevano sorgere un sospetto tale che ne
potesse derivare l’obbligo di segnalare le medesime all’Ufficio Italiano Cambi.

Afferma, inoltre, che
l’autorizzazione data da C. agli altri dipendenti dell’istituto di credito, onde
consentire a L. di cambiare assegni presso lo sportello bancario di cui era
direttrice non integrerebbero l’elemento oggettivo del reato di riciclaggio,
poichè le operazioni sono state eseguite a nome di L. e, conseguentemente era
sempre possibile l’individuazione della provenienza dei titoli e del soggetto
che li poneva all’incasso (identificato dall’operatore di sportello):
l’autorizzazione era necessaria solo perchè vi era il rischio che la Banca
potesse subire perdite dall’eventuale mancato pagamento degli assegni da parte
della trattaria.

Il ricorrente rileva che
l’ultimo fatto addebitato concerne gli assegni tratti sul conto corrente di S.
S., cognato di P. L., il quale ultimo aveva prestato garanzia in favore del
primo.

S. su questo conto chiuso
con il suo consenso nell’aprile 2004, aveva tratto una serie d’assegni
postdatati che, una volta pervenuti in banca, potevano essere pagati, ovvero
protestati.

Assume il ricorrente che il
motivo per il quale era stata data quest’autorizzazione non integrerebbe gli
estremi del reato di riciclaggio: si trattava, infatti, d’assegni tratti da S.
su un conto garantito da L., cioè, di un debito che costoro andavano a pagare;
nulla consentiva di presumere che si fosse di fronte ad operazioni di natura
delittuosa.

In conclusione il motivo
fondamentale sul quale si basa il ricorso è il seguente: non puo’ essere
ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato di riciclaggio, poichè le
operazioni compiute non potevano neppure astrattamente impedire di risalire
all’illecita provenienza di titoli o di denaro, essendo i relativi versamenti
effettuati personalmente dal soggetto che si sarebbe reso responsabile di tali
reati.

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mailto:avv.lorenzosica@libero.it

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