Il venditore di cose altrui può procurarsi direttamente dall’effettivo proprietario i beni da trasferire – CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n. 11624 del 18/05/2006
In tema di obbligazione assunta dal
promittente venditore di una cosa altrui la Corte ha raggiunto un orientamento
unitario, superando i contrasti verificatisi in materia in precedenza.
Essa ritiene, oggi, che non sussistono validi
motivi per escludere che la prestazione possa essere eseguita "procurando" il
trasferimento del bene direttamente dall’effettivo proprietario, senza
necessità di un doppio trapasso; il 2° comma dell’art. 1478 menziona bensi’
l’acquisto che eventualmente compia l’alienante, nel caso di vendita
(definitiva) di cosa altrui, ma come una particolare modalità di adempimento,
alla quale eccezionalmente riconnette l’effetto di far diventare senz’altro
proprietario il compratore.
La vicenda –
La questione nello specifico riguarda la
risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare avente ad oggetto la
vendita di un immobile, una casa colonica sita in Larciano.
Il giudice di primo grado e
la Corte d’Appello avevano pronunciato rispettivamente sentenze di condanna alla
restituzione degli acconti ricevuti, e di risoluzione dell’accordo di vendita.
In particolare, la Corte
d’Appello ha dichiarato che unica ragione della mancata stipula va icondotta
alla mancata proprietà del bene da parte della promittente venditrice e che ..d’altronde
indiscusso che in caso di preliminare di vendita l’obbligo del promittente
venditore è quello di procurarsi la proprietà del bene o di ottenere dal
proprietario il consenso o l’autorizzazione alla vendita.
Avverso tali dettami gli
acquirente dell’immobile si sono rivolti alla Cassazione.
La questione di diritto sollevata –
I ricorrenti, nell’impugnare la sentenza
della Corte di Appello, hanno evidenziato un ben noto problema in tema di
contratto preliminare di compravendita, quella in cui l’alienante non aveva
messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l’immobile fosse di proprietà
di altri.
In tal caso, è possibile per il compratore
chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel
frattempo, acquistato la proprietà della cosa.
Infatti, la legge al riguardo prevede la
possibilità per l’alienante di acquisire la proprietà della cosa per poi
trasferirla all’acquirente.
Tuttavia, nel caso di specie cio’ era tanto
più importante perchè esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i testi,
problemi di esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la
conseguenza che i ricorrenti non avrebbero più avuto la garanzia da parte del
loro originale contraddittore e promittente venditore.
Nella giurisprudenza di legittimità si sono
verificati due orientamenti in contrasto in tema di adempimento dell’obbligazione
assunta dal promittente venditore di una cosa altrui.
I primo luogo, ha affermato che la
prestazione puo’ essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e
ritrasmettendolo al promissario, oppure facendoglielo alienare direttamente dal
reale proprietario,e cio’ in quanto l’art. 1478 c.c. – relativo al contratto
definitivo di vendita di cosa altrui, ma applicabile per analogia anche al
preliminare – dispone che il venditore “è obbligato a procurarne l’acquisto al
compratore”, il che puo’ ben avvenire anche facendo si che il terzo, al quale il
bene appartiene, lo ceda egli stesso al promissario (v., tra le più
recenti, Cass. 6 ottobre 2000 n. 13330, 23 febbraio 2001 n. 2656, 27 novembre
2001 n. 15035, 5 novembre 2004 n. 21179, 24 novembre 2005 n. 24782).
L’altro orientamento ha disposto che
l’obbligazione in questione deve invece essere adempiuta acquistando il bene e
ritrasferendolo, in particolare nel caso in cui l’altra parte non fosse stata
consapevole dell’altruità, poichè l’art. 1479 c.c. anch’esso dettato per la
vendita definitiva, ma estensibile a quella preliminare – abilita il compratore
a “chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l’ha concluso, ignorava che
la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non
gliene ha fatto acquistare la proprietà” (v. Cass. 5 luglio 1990 n. 7054,
10 marzo 1999 n. 2091, relative, rispettivamente, a un contratto definitivo e a
uno preliminare di vendita di cosa altrui).
La soluzione adottata dalla Corte
– Al riguardo è intervenuta la Suprema Corte a sezioni Unite. Essa ritiene,
oggi, che non sussistono validi motivi per escludere che la prestazione possa
essere eseguita "procurando" il trasferimento del bene direttamente
dall’effettivo proprietario, senza necessità di un doppio trapasso; il 2°
comma dell’art. 1478 menziona bensi’ l’acquisto che eventualmente compia
l’alienante, nel caso di vendita (definitiva) di cosa altrui, ma come una
particolare modalità di adempimento, alla quale eccezionalmente riconnette
l’effetto di far diventare senz’altro proprietario il compratore.
Cio’ vale anche per il caso in cui il
promissario avesse ignorato, al momento della conclusione del preliminare, la
non appartenenza del bene al promittente.
La stessa dottrina ha più volte evidenziato
che il contratto preliminare non è più visto come un semplice pactum de
cantrahendo, ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di
interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il
definitivo, sicchè il suo oggetto è non solo e non tanto un facere,
consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente
predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un sia
pure futuro dare. Nel caso in cui il bene già appartiene al promittente, i due
aspetti coincidono ma nel caso dell’altruità rimangono distinti, appunto
perchè lo scopo puo’ essere raggiunto anche mediante il trasferimento diretto
della cosa dal terzo al promissario, il quale ottiene comunque cio’ che gli era
dovuto, indipendentemente dall’essere stato – o non – a conoscenza della non
appartenenza della cosa a chi si era obbligato ad alienargliela.
Pertanto la conclusione della Corte puo’
sintetizzarsi in due principi:
·
la conclusione del definitivo
non assorbe nè esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a
regolare i rapporti tra le parti, sicchè il promittente alienante resta
responsabile per le garanzie di cui si tratta (v., da ultimo, Cass. 27 novembre
2001 n. 15035).
·
il promittente venditore di una
cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell’altra parte, puo’
adempiere la propria obbligazione procurando l’acquisto del promissario
direttamente dall’effettivo proprietario.
(Annaflora Sica, © Litis.it, 21 Giugno 2006)
CASSAZIONE CIVILE,
Sezioni Unite, Sentenza n. 11624 del 18/05/2006
(Presidente
V. Carbone, Relatore E. Bucciante)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18 marzo 1998 il
Tribunale di Pistoia ha pronunciato la risoluzione, per inadempimento di Mirella
Profeti, di un contratto preliminare con il quale costei si era obbligata a
vendere a W. G. e T. V.un podere con casa colonica sito in Larciano, e ha
condannato la promittente alienante alla restituzione degli acconti ricevuti,
nella misura di lire 17.000.000, nonchè al rimborso delle spese di giudizio.
Impugnata in via principale da W. G. e Teresa
Virdo’, incidentalmente da Mirella Profeti, la decisione è stata riformata
dalla Corte di appello di Firenze, che con sentenza del 21 marzo 2000, in
parziale accoglimento di entrambi i gravami, ha dichiarato il contratto risolto
per inadempimento del La Gamba e della Virdo’, ha rideterminato in lire
16.000.000 la somma che doveva essere loro rimborsata, ha confermato il rigetto
della domanda di risarcimento di danni formulata dalla Profeti, ha posto a
carico degli appellanti principali metà delle spese di entrambi gradi di
giudizio, compensando tra le parti per l’altra metà. A queste pronunce il
giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo: che “unica ragione della
mancata stipula va … ricondotta alla mancata proprietà del bene da parte
della promittente venditrice, ma appare pacifico che in realtà anche tale
questione era stata risolta precedentemente (il che assorbe ogni rilievo
relativo all’effettiva conoscenza di tale altruità da parte dei La Gamba)
essendosi la P. M. presentata munita di procura a vendere del tutto rituale,
relativa al bene de quo e rilasciata dai proprietari due giorni prima e
davanti allo stesso notaio”; che “è d’altronde indiscusso che in caso di
preliminare di vendita l’obbligo del promittente venditore è quello di
procurarsi la proprietà del bene o di ottenere dal proprietario il consenso o
l’autorizzazione alla vendita – Casa. 18.4.96 n. 3677; 14.2.77 n. 367;
11..8.90 n. 8228 – per cui non è dato vedere cosa possa imputarsi alla P.
M. che era perfettamente in grado di vendere il bene alla data prefissata”; che
“nè puo’ sostenersi – come sembrano fare i La Gamba – che essi acquistando da
"altri" potevano risultare meno garantiti, rispetto alla Profeti: invero nei
loro confronti e in relazione alle garanzie loro spettanti per legge, unico
interlocutore era e restava la P. M. personalmente e direttamente, per cui solo
sulla P. M. continuavano a ricadere tutte le garanzie in materia di vizi o di
evizione – v. Cass. 6.7.84 n. 3963”; che “non vi è alcuna prova (che la P. M.
nemmeno ha chiesto di fornire) “, in ordine ai danni da lei lamentati.
W. G. e T. V.hanno proposto ricorso per
cassazione, in base a un motivo. Mirella P. M. si è costituita con
controricorso, formulando a sua volta due motivi di impugnazione in via
incidentale, e ha depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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