Anche il bacio sul collo è violenza sessuale – CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 19808 del 09/06/2006
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Tentare di baciare una collega sulla bocca e ripiegare poi, a seguito del
rifiuto della stessa, sul collo, puoi’ integrare gli estremi della violenza
sessuale. Per la Cassazione costituisce violenza sessuale, oltre ad ogni forma
di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto
corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorchè fugace ed
estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo,
sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di
autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale. La violenza
richiesta per l’integrazione del reato, sottolinea la Corte, non è soltanto
quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la
resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico,
ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido
dell’azione criminosa, cosi’ venendosi a superare la contraria volontà del
soggetto passivo.
CASSAZIONE
PENALE, Sezione III, Sentenza n. 19808 del 09/06/2006
(Presidente:
G. De Maio; Relatore: A. Fiale)
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
La Corte di Appello di
Genova, con sentenza del 18/10/2002, confermava la sentenza 29/9/2000 del
Tribunale di San Remo, che aveva affermato la penale responsabilità di G. G. in
ordine al reato di cui agli artt. 609 bis e 61, n.9, cod. pen. (perchè,
abusando delle proprie qualità di assistente capo della Polizia di Stato e
comandante di una pattuglia, costringeva la collega C. R. a subire atti sessuali
consistiti in baci sul collo e tentativi di baci sulla bocca, dopo averla
stretta a sè – in San Remo, il 10/6/1994)
e,
riconosciute sia la diminuente di cui al 3° comma dell’art.609 bis cod. pen. sia
le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, lo
aveva condannato alla pena principale di anni uno e mesi due di reclusione ed
alla pena accessoria di legge, con i doppi benefici.
Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso il difensore del G., il quale – sotto i profili
della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito
l’insussistenza del reato per carenza della connotazione oggettiva, in quanto la
sfera sessuale della parte offesa non sarebbe stata attinta dalle condotte
contestate, consistenti in mere "avances" non
incidenti sulla libertà di determinazione sessuale della donna.
MOTIVI DELLA
DECISIONE
Il ricorso
deve essere rigettato, perchè infondato.
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Con riferimento alla
condotta tipica del reato di "violenza sessuale" devono ribadirsi le
considerazioni già svolte da questa Corte Suprema nella sentenza 23/9/2004 n.37395,
ove è stato posto in rilievo che l’individuazione di tale condotta si
riconnette alla definizione della nozione, del contenuto e dei limiti della
locuzione "atti sessuali", di cui alla legge 15/2/1996, n.66, in quanto l’art.609
bis cod. pen. (introdotto appunto da tale legge) ha concentrato in una
fattispecie unitaria le previgenti ipotesi criminose previste dagli artt.519 e
521, individuando quale unica condotta composita, idonea a ledere il bene
giuridico della libertà sessuale, in luogo della
"congiunzione carnale" e degli "atti di libidine
violenti", il fatto di chi con violenza o minaccia o mediante abuso di
autorità "costringe" taluno a compiere o a subire "atti sessuali".
In ordine al
problema dell’individuazione del minimum di condotta
penalmente rilevante perchè resti integrato il delitto di violenza sessuale, la
giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che il concetto attuale di
"atti sessuali" è semplicemente la somma dei concetti previgenti di
congiunzione carnale e atti di libidine (vedi Cass., Sez. III, 3/11/1999, n.2941,
P.G. in proc. Carnevali).
Punto focale
è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona che ne è
titolare e la condotta vietata dall’art.609 bis cod. pen. ricomprende – se
connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione
ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni inferiorità fisica o psichica
– oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi
in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorchè fugace
ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo,
sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di
autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale.
Le finalità
dell’agente e l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale non
assumono un rilievo decisivo ai fini del perfezionamento del reato, che è
caratterizzato dal dolo generico e richiede semplicemente la coscienza e
volontà di compiere atti pervasivi della sfera sessuale altrui (vedi Cass.,
Sez. III, 10/4/2000, n.4402, Rinaldi).
Non possono
qualificarsi, pertanto, come "atti sessuali" – nel senso richiesto dalla norma
incriminatrice in esame – tutti quegli atti i quali, pur essendo espressivi di
concupiscenza sessuale, siano pero’ inidonei (come nel caso dell’esibizionismo,
del feticismo, dell’autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad
assistervi o del "voyeurismo") ad intaccare la sfera della sessualità fisica
della vittima, comportando essi soltanto offesa alla libertà morale di quest’ultima
o (ricorrendone i presupposti) al sentimento pubblico del pudore (vedi cass.,
Sez. III, 3/11/1999, n.2941, P.G. in proc.Carnevali).
Anche i
palpeggiamenti ed i toccamenti possono costituire una indebita intrusione nella
sfera sessuale ed il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali,
ma comprende pure quelle ritenute "erogene" (stimolanti dell’istinto sessuale)
dalla scienza medica, psicologica ed antropologico – sociologica (vedi Cass.,
Sez. III, 1/12/2000, n.12446, Gerardi; 30/3/2000, n.4005, Alessandrini;
27/11/1999, n.1137, De Marco; 5/6/1998, n.6652, Di Francia).
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Questa Corte, inoltre, ha
già prestato adesione (con la sentenza n.37395/2004) all’orientamento
dottrinario secondo il quale "le fattispecie incriminatrici, per loro stessa
natura, implicano una valutazione umana e sociale, culturalmente condizionata,
dei comportamenti presi in considerazione", sicchè deve convenirsi che
"la determinazione di cio’ che è sessualmente
rilevante in materia penale non puo’ in realtà prescindere dal riferimento al
costume e alle rappresentazioni culturali di una collettività determinata in
un determinato momento storico".
Non basta,
dunque, talvolta, il solo riferimento alle parti anatomiche aggredite dal
soggetto attivo e/o al grado di intensità fisica del contatto instaurato, non
potendo trascurarsi la valenza significativa dell’intero "contesto" in cui il
contatto si realizza e la complessa dinamica intersoggettiva si sviluppa in una
situazione che, oltretutto, è connotata dalla presenza di fattori coartanti.
Più aderente alla logica dell’apprezzamento penalistico va considerato,
conseguentemente, un approccio interpretativo di tipo sintetico, volto cioè a
desumere il significato della violenza sessuale da una
valutazione complessiva di tutta la vicenda sottoposta a giudizio.
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Appare opportuno
ricordare, infine, che – secondo parte della dottrina – il concetto di
violenza è ben diverso da quelli della
sorpresa e dell’insidia,
sicchè non realizzerebbero violenza sessuale gli atti non violenti ma attuati
di sorpresa, pure essendo manifestazioni di immoralità e spesso di
degenerazione, riconducibili eventualmente ad altre ipotesi di reato.
La
giurisprudenza di questa Corte, invece, è orientata nel senso che la violenza
richiesta per l’integrazione del reato non è soltanto quella che pone il
soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta,
tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che
si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, cosi’
venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (vedi Cass.,
Sez. III, 1/2/2001, n.3990).
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Nella fattispecie in
esame i giudici del merito si sono correttamente attenuti ai principi di
diritto dianzi enunciati e le condotte tenute dal G. nei confronti della
donna, che svolgeva con lui servizio istituzionale di pattuglia, sono state
valutate in relazione all’intero contesto in cui i comportamenti si sono
realizzati.
Risulta
accertato, invero, che:
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la R. fu comandata
dall’imputato di raggiungere, in ora notturna, una spiaggia isolata e, che ivi
giunti, dopo avere spento il motore dell’autovettura di servizio, quegli di
sorpresa la strinse a sè e tento’ di baciarla, provocando l’immediata
reazione di lei, che si divincolo’ ed allontano’ il collega "mettendogli una
mano sulla bocca"; -
segui’ un nuovo ordine di
portarsi su uno spiazzo panoramico, ove per la seconda volta l’imputato
repentinamente strinse la donna con forza tra le braccia, baciandole il collo,
a fronte dell’aperto dissenso da lei manifestato.
Condotte
rapide ed insidiose, idonee ad offendere la libertà di autodeterminazione
sessuale della R., poste in essere nella piena consapevolezza di u rifiuto
inequivocamente e reiteratamente palesato.
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Al rigetto del ricorso
segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte
Suprema di Cassazione,
visti gli
artt.607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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