Penale

La sentenza di patteggiamento costituire causa di revoca della sospensione condizionale della pena – CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 17781 del 23/05/2006


Importante decisione delle
Sezioni Unite che, hanno ritenuto superato il precedente orientamento (Sez. un.,
8 maggio 1996, Di Leo; Sez. un., 26 febbraio 1997, Bahrouni; Sez. un., 22
novembre 2000, Sormani) che negava alla sentenza di patteggiamento l’idoneità a
costituire causa di revoca della sospensione condizionale della pena.


Avuto riguardo allo ius
superveniens (L n. 479 del 1999, n. 97 del 2001 e n. 134 del 2003) le SS.UU
hanno affermato il principio di diritto secondo cui la sentenza di
patteggiamento, essendo equiparata ai sensi dell’art. 445.1″bis c.p.p. ad una
pronuncia di condanna, costituisce titolo idoneo per la revoca di diritto, a
norma dell’art. 168 comma 1 n. 1 c.p., della sospensione condizionale della pena
precedentemente concessa. 

 

La vicenda – Nell’applicare la pena su
richiesta delle parti, Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia
applicava a D. O. la pena di mesi tre di reclusione ed € 600 di multa per il
reato continuato di illecita cessione a terzi di hashish e, contestualmente,
procedeva a revocare

ex

art. 168 c. 1 n. 1 c.p
.
la sospensione condizionale
della pena precedentemente concessa.
I difensori di D. O. hanno proposto ricorso per inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 168 c.p. e 444 c.p.p. ed hanno chiesto l’annullamento
della sentenza nella parte in cui ha disposto la revoca delle sospensioni
condizionali precedentemente concesse, deducendo che la revoca valica i limiti
dell’accordo tra le parti e si fonda sull’erroneo presupposto che la sentenza di
patteggiamento implichi l’accertamento della responsabilità dell’imputato; un
principio contrastante con la consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite
della Corte di cassazione le quali hanno più volte statuito che la sentenza che
applica la pena su richiesta non è titolo idoneo per la revoca, a norma
dell’art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., considerate le differenze formali,
strutturali, genetiche e funzionali rispetto alla decisione di condanna. 
Con ordinanza 13 maggio 2005, la IV Sezione di questa Corte, cui il ricorso è
stato assegnato, ha rimesso il ricorso stesso alle Sezioni unite perchè
riesaminino, anche alla luce della nuova disciplina introdotta dalla legge 12
giugno 2003, n. 134, la questione concernente la revoca della sospensione
condizionale della pena, in forza dell’art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., a seguito
di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

 

La questione di diritto sollevata – Il
problema è stato già ampiamente affrontato dalle Sezioni Unite, che in tre
occasioni, hanno risolto in maniera negativa la questione, escludendo che con la
sentenza di patteggiamento il giudice possa disporre la revoca di diritto della
sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, dal momento che
presupposto della medesima è che la nuova sentenza contenga un “accertamento di
responsabilità ovvero un giudizio di colpevolezza in ordine ad un delitto o ad
una contravvenzione, con conseguente condanna dell’imputato. Il giudizio di
colpevolezza, però, non può essere desunto da una sentenza con la quale venga
applicata la pena su richiesta delle parti, la quale non presuppone quell’accertamento
pieno e incondizionato sui fatti che rappresenta, nel rito ordinario, la
premessa necessaria per l’applicazione della sanzione penale” (Cass., Sez. Un.,
8 maggio 1996, De Leo, in Cass. pen., 1996, p. 3581).

Tale tesi  è stata
ribadita dalle stesse S.U. che hanno, inoltre, aggiunto che “il legislatore non
poteva comprendere la revoca della sospensione condizionale della pena tra gli
effetti penali che non dovevano conseguire alla pronuncia della sentenza
conclusiva di quel procedimento, perchè trattavasi di un effetto estraneo alla
sfera di previsione dell’art. 445 c.p.p..

Poichè, dal un lato, la revoca della sospensione
condizionale della pena, allorquando ricorrono le condizioni di cui all’art. 168
comma 1 n. 1 c.p., è correlata non già all’applicazione di una pena, bensí
all’accertamento giudiziale di un fatto-reato attribuito ad un soggetto e,
dall’altro,  la sentenza pronunciata in base all’art. 444 c.p.p. prescinde da
tale accertamento, la sua strutturale incapacità a provocare quell’effetto ne
rendeva del tutto superflua la menzione” (Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1997,
Bahrouni, in Cass. pen., 1997, p. 2672).

Nonostante le numerose perplessità di alcuni giudici di
merito (Trib. Milano, 9 aprile 1997, Sadik, in Cass. pen., 1997, p.
3197), la successiva giurisprudenza (Trib. Biella, 27 gennaio 2004, in Dir.
giust.,
n. 12, p. 67) si è adeguata alla interpretazione data con la duplice
pronuncia delle Sezioni Unite.

Tuttavia, per ciò che concerne l’ipotesi di cui all’art.
168, c. 1, n. 2 c.p., della quale le Sezioni Unite, sia con l’ultima sentenza
citata, sia con una successiva pronuncia in tema di reiterazione del beneficio
oltre i limiti prescritti all’art. 163 c.p., ne avevano sottolineato la
differenza dall’ipotesi di cui al n. 1 (Cass., Sez. Un., 22 novembre 2000,
Sormani, in Cass. pen., 2001, p. 2998. In argomento, cfr. Cass., Sez. I,
17 settembre 2004, Franceschini, in Guida al dir., 2004, n. 45, p. 63;
Cass., Sez. I, 8 marzo 2005, in CED, 231262; Cass., Sez. V, 23 maggio
2003, Landro, in Dir giust., 2003, n. 32, p. 105; Cass., Sez. IV, 26
marzo 1998, Merendino, in Arch. n. proc. pen., 1998, p. 408. Contra,
Cass., Sez. I, 29 novembre 2001, Caterino, in Arch. n. proc. pen., 2002,
p. 285; Cass., Sez. I, 30 marzo 1999, Gramigna, in Arch. n. proc. pen.,
1999, p. 371 ).
 

 
La soluzione
adottata dalla Corte –

Visti i numerosi precedenti, con la sentenza in
commento, le Sezioni Unite – attraverso una attenta rivisitazione dell’istituto
del patteggiamento – sulla base degli interventi normativi che hanno modificato
il procedimento de quo, hanno rilevato come con l’entrata in vigore della
legge 134/2003 esso abbia “decisamente cambiato pelle”.

Il problema ” afferma la Corte – ruota intorno alla “natura”
della sentenza che applica la pena su richiesta ed, in particolare, al
significato da assegnare all’affermazione normativa per cui, “salve diverse
disposizioni di legge, la sentenza viene equiparata ad una pronuncia di
condanna” (art. 445 c. 1-bis c.p.p.).

Alla luce della novella legislativa del 2003, la Corte ha
proceduto ad una distinzione tra la sentenza resa al termine del patteggiamento
“tradizionale” e quella riconducibile al patteggiamento c.d. “allargato”, la
quale, “al contrario dell’altra, prevedendo una serie di effetti tipici delle
sentenze di condanna, implica un accertamento del fatto-reato e della penale
responsabilità dell’imputato”, con la conseguenza che “tra gli effetti penali
della sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale venga
irrogata una pena detentiva superiore ai due anni, deve comprendersi anche la
revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente
concesso” (Cass., Sez. III, 9 febbraio 2005).

La Corte, ora, ha osservato come, “dalla lettura del
complessivo sistema normativo risultante dalla legge n. 134 del 2003, ne emerga
comunque un assetto unitario, contrassegnato da talune varianti non decisive per
inferirne una sorta di asimmetria del rito, solo considerando la prevalenza
delle identità piuttosto che delle divergenze, secondo un modello entro il
quale il concomitante profilo teleologico costituisce la conferma dell’esigenza
di una unitaria qualificazione assiologica della procedura speciale
dell’applicazione di pena su richiesta”.

Dopo una considerazione in merito all’endiadi “pena
irrogata” contenuta nell’art. 445 c.p.p. ” “espressione che, tecnicamente
intesa, lungi dall’esprimere un mero dato nominalistico, sembra coordinarsi
strettamente al regime di equiparazione ed ai modelli complementari che rendono
la sentenza di applicazione della pena una sentenza di condanna, salvo il regime
derogatorio di cui all’art. 445, comma 1-bis, c.p.p.” ” la Corte ha
affermato che al principio di cui all’art 445 c. 1-bis c.p.p. deve essere
assegnato “valore esclusivamente normativo”, imponendo “la stretta
interpretazione delle varianti che compongono il regime derogatorio”.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni la Corte ha
ritenuto di dover “proseguire nella linea ermeneutica delineata dalle tre più
volte richiamate decisioni”, dovendo, cosí, enunciare il principio di diritto
per cui “la sentenza emessa all’esito della procedura di cui agli artt. 444 e
segg. c.p.p. poichè è, ai sensi dell’art. 445, comma 1-bis, equiparata, "salvo
diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna" costituisce titolo
idoneo per la revoca, a norma dell’art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., della
sospensione condizionale della pena precedentemente concessa”.

 

(Lorenzo Sica, © Litis.it , 7 Giugno 2006)

 

Testo integrale:

CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 17781 del 23/05/2006

(Presidente N. Marvulli, Relatore G. De Roberto)

https://www.litis.it

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